invio avviso di convocazione: una sentenza che non aiuta a capire

La suprema corte torna su un tema che incide significativamente sul’attività dell’amministratore condominiale, ovvero il tempestivo invio dell’avviso di convocazione.

Cass. civ. sez. II 25 marzo 2018 n. 8275  afferma che è onere dell’amministratore provare di                                                                                                                                                  aver inviato tempestivamente la convocazione ed incomba invece al condomino, che intenda contestare l’irrituale convocazione, allegare di averla ricevuta tardivamente senza sua colpa.

La pronuncia non appare di felicissima stesura e potrebbe apparire contraddittoria laddove, da un lato, ritiene onere del condominio fornire prova dell’effettivo pervenimento dell’avviso presso il destinatario e, dall’altro, che l’amministratore sia tenuto a dimostrare solo di averlo inviato.

In realtà l’intero testo della motivazione riafferma l’onere del mittente di dar prova di aver fatto pervenire il plico tempestivamente presso il destinatario (distinguendo l’ipotesi dell’invio della convocazione da quello del verbale); è solo l’infelice parte finale che sembra limitare gli oneri probatori di colui che convoca, anche se in realtà la lettura dell’intera sentenza rende chiaro che rimane onere del condominio dar prova di aver fatto pervenire la convocazione nella sfera giuridica del destinatario tempestivamente e rimane invece onere di costui dimostrare di non averne avuto conoscenza, per fatto a lui non imputabile.

E’ dunque  opportuno che l’interprete accorto non  si abbandoni  alla facile lusinga che sia sufficiente dimostrare la spedizione nei termini, poichè neanche l’odierna pronuncia  legittima simile lettura.

Per costante orientamento di questa corte (ex multis, Cass. 26 settembre 2013 n. 22047), la invocata disposizione dell’art. 66 disp. att. c.c., viene interpretata nel senso che essa esprime il principio secondo cui ogni condomino ha il diritto di intervenire all’assemblea del condominio e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare.

Viene, inoltre, affermata la necessità che l’avviso di convocazione sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine, ivi stabilito, di almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza, avendo riguardo quale dies ad quem alla riunione dell’assemblea in prima convocazione. Con la conseguenza che la mancata conoscenza di tale data, da parte dell’avente diritto, entro il termine previsto dalla legge, costituisce motivo di invalidità delle delibere assembleari, ai sensi dell’art. 1137 c.c., come confermato dal nuovo testo dell’art. 66 disp. att. c.c., comma 3, introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, a nulla rilevando, ai fini della tempestività dell’avviso, né la data di svolgimento dell’assemblea in seconda convocazione, né che la data della prima convocazione fosse stata eventualmente già fissata dai condomini prima dell’invio degli avvisi.

La medesima giurisprudenza, peraltro, qualifica l’avviso di convocazione atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall’applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari – quale atto unilaterale recettizio, per cui esso rinviene la propria disciplina nell’art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell’atto è parificata alla conoscibilità, in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione all’indirizzo del destinatario e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza.

Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., degli atti recettizi in forma scritta giunti all’indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo dell’atto nel luogo indicato dalla norma.

L’onere della prova a carico del mittente riguarda, in tale contesto, solo l’avvenuto recapito all’indirizzo del destinatario, salva la prova da parte del destinatario medesimo dell’impossibilità di acquisire in concreto l’anzidetta conoscenza per un evento estraneo alla sua volontà (cfr., per una fattispecie in tema di comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea di un condominio, Cass. 29 aprile 1999 n. 4352).

Dall’anzidetto quadro normativo viene fatto derivare l’ovvio corollario per cui, se è vero che per ritenere sussistente, ex art. 1335 c.c., la presunzione di conoscenza, da parte del destinatario, della dichiarazione a questo diretta, è necessaria e sufficiente la prova che la dichiarazione stessa sia pervenuta all’indirizzo del destinatario, tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata non consegnata per l’assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell’agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi.

Nel senso di cui innanzi si esprimono i precedenti consolidati di questa corte, che il collegio decidente condivide (v. di recente Cass. 3 novembre 2016, n. 22311, in fattispecie condominiale; v. altresì i numerosi precedenti in altre materie, soprattutto lavoristica, agraria e locatizia, anche ivi richiamati: Cass. 31 marzo 2016 n. 6256; Cass. 15 dicembre 2009 n. 26241; Cass. 5 giugno 2009 n. 13087; Cass. 24 aprile 2003 n. 6527; Cass. 27 luglio 1998 n. 7370; Cass. 1 aprile 1997 n. 2847; oltre numerose sentenze non massimate, o non massimate sul punto che rileva, tra le quali ad es. Cass. 4 agosto 2016 n. 1633).

A fronte del predetto orientamento consolidato si pone, in senso contrario il solo precedente di Cass. 14 dicembre 2016 n. 25791 che – emesso in materia condominiale ma in riferimento al diverso termine posto dall’art. 1137 c.c., per l’impugnazione delle delibere assembleari, decorrente per gli assenti dalla comunicazione – ha ritenuto: a) che l’avviso di tentata consegna da parte dell’agente postale, non contenendo l’atto cui si riferisce, non equivalga a sua comunicazione, né può quindi reputarsi che l’atto sia giunto all’indirizzo del destinatario per gli effetti dell’art. 1335 c.c.; b) che, mancando nel regolamento postale una disciplina analoga a quella della L. n. 890 del 1982, art. 8, l’interprete debba applicare il principio di effettiva conoscenza e non la presunzione di conoscibilità di cui all’art. 1335 c.c., altrimenti ponendosi il risultato interpretativo in contrasto con l’art. 24 Cost., trattandosi di una comunicazione – si ripete, del verbale delle deliberazioni dell’assemblea del condominio nei confronti degli assenti – da cui decorre il termine decadenziale per l’esercizio della impugnazione in sede processuale; c) che, quindi, debba farsi applicazione analogica delle disposizioni di cui alla L. n. 890 del 2002, art. 8, adattate tenendo conto del fatto che – non trattandosi di notifica di atto giudiziario – il servizio postale non prevede, per gli invii ordinari, la spedizione di una raccomandata con la comunicazione di avvenuto deposito ma solo il rilascio di avviso di giacenza.
La considerazione della natura isolata del predetto precedente (che peraltro, dal punto di vista della percezione dei valori costituzionali sottesi, si pone in dissonanza implicita con Cass. 23 settembre 1996 n. 8399, decisione che, come detto, aveva in particolare valorizzato la possibilità per il destinatario di dare prova contraria rispetto alla presunzione ex art. 1335 c.c.) e, soprattutto, della circostanza che esso concerne fattispecie non pienamente sovrapponibile a quella in esame, induce a non ritenere sussistente il contrasto diacronico di giurisprudenza dedotto dal procuratore generale in udienza pubblica.

In particolare, in ordine ai caratteri distintivi della questione giuridica esaminata in detto precedente (relativa alla disciplina del termine di impugnazione ex art. 1137 c.c., della delibera di assemblea di condominio) rispetto a quella oggetto della presente controversia (relativa alla disciplina del termine dilatorio ex art. 66 disp. att. c.c., per la convocazione dell’assemblea del condominio), può essere sufficiente sottolineare che, nel primo caso, dalla comunicazione dell’atto (verbale assembleare) decorre un termine decadenziale per proporre un’azione giudiziaria mentre, nel secondo caso, dal pervenimento dello stesso (convocazione di assemblea) decorre un termine dilatorio meramente condizionante la validità della deliberazione, la quale ultima soltanto potrà essere impugnata in giudizio, previa ulteriore comunicazione di essa o partecipazione del convocato all’adunanza: sussistono, dunque, “ragionevoli differenze”, correlate alla presenza solo nella prima fattispecie di possibili pregiudizi, per effetto dell’avverarsi della decadenza, all’esercizio della tutela giurisdizionale (tema su cui, in effetti, il precedente n. 25791 del 2016 cit. si sofferma nella formulazione della ratio decidendi). Ne deriva che, al limite, detto precedente n. 25791 del 2016 introduce una cesura nella catena giurisprudenziale concernente il computo dei termini decadenziali per l’esercizio di azioni giudiziarie decorrenti dalla ricezione dell’atto (per stare ai precedenti citati, v. taluni di quelli in materia lavoristica), ma non in quella (cui pertiene la fattispecie in esame, oltre altre nei precedenti citati) in cui non decorrano – almeno in via immediata e diretta – termini della specie, bensì termini di altre tipologie (sul punto v. precedente in termini, Cass. 22 novembre 2017 n. 23396).

Va riaffermato, dunque, quale principio di diritto, che in tema di condominio, con riguardo all’avviso di convocazione di assemblea ai sensi dell’art. 66 disp. att. c.c., (nel testo ratione temporis vigente), posto che detto avviso deve qualificarsi quale atto di natura privata (del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall’applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari) e in particolare quale atto unilaterale recettizio ai sensi dell’art. 1335 c.c., al fine di ritenere fornita la prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedenti l’adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle deliberazioni, è sufficiente e necessario che il condominio (sottoposto al relativo onere), in applicazione della presunzione dell’art. 1335 c.c., richiamato, dimostri la data di pervenimento dell’avviso all’indirizzo del destinatario, salva la possibilità per questi di provare di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.

Tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata (cui il testo dell’art. 66 disp. att. c.c., affianca, nel testo successivo alla riforma di cui alla L. 11 dicembre 2012, n. 220, altre modalità partecipative), e questa non sia stata consegnata per l’assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell’agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (quali il momento in cui la lettera sia stata effettivamente ritirata o in cui venga a compiersi la giacenza).
Precisazioni ulteriori derivano dalla considerazione dell’applicazione della disciplina della regolamentazione postale, avuta presente in precedenti pronunce e costituita ratione temporis dal decreto del ministro dello sviluppo economico 01/10/2008 (recante “approvazione delle condizioni generali per l’espletamento del servizio postale universale”), cui è succeduta la delibera 385/13/CONS del 20/06/2013 dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Il regolamento (nei due testi, che sul tema dell’art. 31, non presenta variazioni) contempla, con terminologia impropria, non vincolante sul piano civilistico, che “il mittente resta proprietario dell’invio sino al momento della consegna” e che egli, prima della consegna, ha titolo a chiedere la restituzione dell’invio o la modifica della destinazione o del destinatario. Il riferimento alla “consegna” è nel senso della preclusione alla possibilità di restituzione del plico al mittente al momento dell’emissione dell’avviso di giacenza ove la consegna sia stata comunque tentata, anche se non effettuata, in caso di assenza del destinatario, per cui una volta emesso l’avviso di giacenza, gli invii restano in giacenza (nel caso in esame, per trenta giorni) a disposizione del destinatario (e non del mittente), al quale ultimo essi vengono restituiti solo all’esito, previa richiesta e pagamento di corrispettivo, in alternativa alla distruzione.

Alla luce del quadro giurisprudenziale e normativo riprodotto si osserva che nel caso di specie l’amministratore ha provato la spedizione della convocazione tramite lettera raccomandata, e la sentenza impugnata ha evidenziato, da un lato, la sussistenza della presunzione di conoscenza, tenuto conto dell’affidabilità dello strumento di spedizione utilizzato, e, dall’altro, la mancanza di alcuna allegazione e prova specifica dedotta dalla ricorrente in ordine alla impossibilità di acquisire conoscenza dell’atto senza colpa, generica la sola negazione del ricevimento dello stesso, inidonea a superare la presunzione di conoscenza dell’atto regolarmente inviato.

Con la conseguenza che correttamente è stata ritenuta validamente raggiunta, attraverso la prova della spedizione della raccomandata contenente l’avviso di convocazione in data 25.05.2006, la presunzione di ricezione dello stesso da parte della destinataria, sulla quale gravava, pertanto, l’onere di controllare assiduamente la corrispondenza a lei diretta, per un riscontro della tempestività o meno dell’inserimento dell’avviso medesimo nel rispetto dei cinque giorni previsti dalla disposizione invocata.”

© massimo ginesi 27 marzo 2019

processo telematico e deposito tardivo: non sempre compete la rimessione in termini.

L’introduzione del processo telematico e dell’obbligo di deposito solo in via informatica degli atti endoprocessuali ha posto nuovi problemi relativi al rispetto dei termini di decadenza.

Il Tribunale di Massa, in una recente sentenza (Trib. Massa 13 ottobre 2017)  affronta il problema dei malfunzionamenti del sistema informatico ministeriale e della condotta dell’avvocato che non riesca a depositare la memoria istruttoria ex art 183 VI comma c.p.c.

Qualora il deposito sia pacificamente effettuato fuori dai termini concessi dal Giudice, per essere rimessi in termini non è sufficiente addurre il generico malfunzionamento del sistema, ma è necessario dimostrare di aver compiuto tutte le attività di parte necessarie  e di essere esenti da colpevolezza, tenuto conto che rimane onere della parte dimostrare di essere incorsa senza sua colpa nella decadenza e che l’ordinamento prevede ipotesi specifiche in cui il giudice – ove sia provato il malfunzionamento – può comunque autorizzare il deposito cartaceo.

Non valea sanare la tardività, in ogni caso, l’invio dell’atto via pec ai colleghi avversari, atteso che il deposito in cancelleria è atto ontologicamente diverso dalla scambio.

Stupisce che parte attrice, ancora nelle difese finali, affermi che “La seconda memoria scadeva il 21.01.2017 (non il 23.01.2017 come detto dal Giudice)”: il 21 gennaio 2017 cadeva di sabato e, in forza di quanto disposto dall’art. 155 V comma c.p.c. (introdotto dalla L. 263/2005), la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno non festivo, ovvero lunedì 23 febbraio 2017.
La circostanza non è affatto secondaria per valutare la sussistenza o meno della non colpevolezza di colui che è incorso in decadenza, alla luce di quanto in appresso si dirà.

Va innanzitutto osservato che il provvedimento che informava della sospensione dei servizi informatici, prodotto dallo stesso attore, prevedeva l’inizio della interruzione alle 17 del 20 gennaio 2017 con riavvio del sistema dalle 24 del 21 gennaio 2017 e sino, al massimo, alle ore 8 del 23 gennaio 2017.

Lo stesso provvedimento preannunciava la continuità dei servizi di posta elettronica certificata con possibilità dunque di deposito telematico, salva la possibilità che non si ottenesse l’esito dell’invio e segnatamente la PEC sui controlli automatici di sistema.

Il documento dunque attesta la sussistenza di un disservizio che non appare affatto impedire il deposito, così come lamentato dall’attore; ben può essere che in realtà l’interruzione dei servizi informatici abbia avuto anche tali conseguenze, ma il relativo onere della prova incombeva su chi intendeva far valere la circostanza ai fini della rimessione in termini.

A tal fine va rilevato che la difesa di parte attrice, per assolvere a tale onere, ha prodotto un semplice file PDF che rappresenterebbe (senza peraltro neanche una attestazione circa la corrispondenza) la schermata del proprio terminale con cui tentava di provvedere all’invio telematico, elemento che già sotto il profilo formale appare inidoneo a provare alcunchè in astratto, atteso che con riguardo al processo telematico deve essere depositato – ove possibile – documento informatico; in tema di notifiche via PEC e dunque in disciplina che, mutatis mutandis, nei principi ispiratori ben può applicarsi anche al caso di specie, l’art. 9 comma 1 bis e comma 1 ter della L. n. 53/94 prevedono il prioritario obbligo del deposito di documento informatico, solo ove per l’avvocato non sia possibile fornire la prova dell’avvenuta notifica con modalità telematiche, il difensore potrà procedere mediante deposito cartaceo ai sensi dell’art. 9 comma 1-bis della L. n. 53/94, quindi estraendo copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e attestarne la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Anche a voler accedere ad una interpretazione di favore e a voler considerare il file pdf prodotto dall’attore come effettivamente corrispondente alla schermata del computer del difensore all’atto del tentativo di deposito della memoria istruttoria, giova osservare che la schermata riprodotta non denota affatto un avvenuto deposito, ma semplicemente attesta che – con riguardo alla attività “tribunale di massa deposito memoria n. 2 183 cpc rg 373/16” – risulta “in attesa di essere inviato”, dunque non una attività in itinere e pervenuta a destinazione in ritardo ma, almeno per quel che risulterebbe da tale messaggio, una attività non compiuta.


Va ancora rilevato che, a mente dell’art. 51 Decreto Legislativo 24 giugno 2014, n. 90 coordinato con le modifiche della Legge 11 agosto 2014, n. 114, il procedimento di deposito telematico degli atti consta di quattro diversi passaggi – corrispondenti in realtà a quattro messaggi pec, il primo inviato da colui che deposita e gli altri tre inviati dal sistema di cancelleria telematica, e si intende perfezionato con la ricevuta di avvenuta consegna della pec, di talché almeno il messaggio di invio dipende dal soggetto che si accinge alla notifica, essendo poi rimesso al sistema ministeriale l’avviso di consegna, l’avviso dell’esito dei controlli automatici e l’avviso di accettazione.

Dunque almeno l’invio della prima PEC dovrebbe sussistere nel sistema informatico dell’attore, pur potendosi in ipotesi attribuire a disguido la mancata ricezione delle altre tre pec: di tale elemento tuttavia non è stata fornita alcuna indicazione, né risulta comunque desumibile dalla schermata prodotta, dove il messaggio risulta ancora in attesa di essere inviato e dunque, a tutto voler concedere, attesta semmai un malfunzionamento del sistema del depositante.


Giova infine osservare che – dal documento allegato dall’attore alla propria istanza di rimessione e che rappresenterebbe la sequenza dei tentati invii – risulta che il primo deposito viene tentato venerdì 20 gennaio nel pomeriggio, riscontrando problemi, nulla viene tentato sabato 21, vengono effettuati due tentativi di invio domenica 22 e altri tre lunedì mattina 23 gennaio, giorno di scadenza del termine.
Il messaggio che compare è identico in tutte le occasioni e nulla attesta circa il malfunzionamento del sistema pubblico, rimettendo il mancato invio del messaggio ad un problema non determinato ma ascrivibile alle modalità di invio del depositante: sostanzialmente colui che deposita deve veder partire la propria pec, se il sistema funziona, indirizzata alla cancelleria del Tribunale di destinazione, ove poi non riceva conferma della consegna (ovvero del momento perfezionativo del deposito) e ciò sia imputabile a disservizio del sistema pubblico, potrà eventualmente essere rimesso in termini.

Nel caso di specie già dalla schermata prodotta risulta che il messaggio fosse in attesa di invio, circostanza che fa propendere per un problema ascrivibile all’utente, circostanza che non giova ai fini della rimessione in termini, essendo onere del difensore compiere correttamente le attività a lui demandate e mantenere in efficienza e sotto controllo il proprio apparato telematico ( argom. Da Trib. Milano 8.10.2015, Cass. 14827/2016, Trib. Milano 20 aprile 2016)

Va ancora osservato che il difensore che ha incontrato tali problemi, ben poteva il giorno 23 gennaio 2017 recarsi in cancelleria e farsi rilasciare attestazione circa l’effettiva sussistenza del malfunzionamento e l’impossibilità a depositare atti in via telematica e, al contempo, chiedere di essere autorizzato al deposito in forma cartacea, secondo quanto disposto dall’art. 16 bis, 4° comma, del D.L. 179/2012 convertito nella Legge n. 221/2012 laddove chiarisce che il Presidente del Tribunale può autorizzare il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza (Tribunale, Milano, sez. IX civile, ordinanza 12/01/2015).

Ove invece avesse appurato che il problema era ascrivibile al proprio sistema ben avrebbe potuto risolverlo e provvedere nei termini Nulla di tutto ciò, che avrebbe consentito un deposito tempestivo o comunque l’attestazione di un impedimento incolpevole che avrebbe potuto legittimare la rimessione in termini, è stato posto in essere dalla difesa di parte attrice, che ha preferito inoltrare istanza sulla scorta della semplice istantanea di una schermata, che nulla prova e che deve pertanto essere ritenuta inidonea a giustificare la richiesta di rimessione.

Nessun rilievo, sotto tale profilo, possono avere le comunicazioni via pec inviate ai difensori del convenuto e del terzo chiamato (peraltro anch’esse inviate oltre il termine, in data 24 gennaio 2017), atteso che il deposito della memoria deve avvenire in cancelleria, adempimento che non può ritenersi surrogato da una mera comunicazione inter partes, atteso che la funzione del deposito ricevuto dal cancelliere è quello di inserire ufficialmente l’atto nel fascicolo (cartaceo o telematico che sia) a disposizione di tutti le figure del processo.

Parimenti ininfluente appare il provvedimento 6.2.2017, che si limita a non provvedere sull’istanza di rimessione in termini, salva la verifica della effettiva ricezione dell’atto.
Non avendo dunque l’attore dedotto tempestivamente prove sull’an, la sua domanda risulta non provata e deve essere respinta.”

© massimo Ginesi 20 ottobre 2017 

IL DISSENSO DEI CONDOMINI RISPETTO ALLE LITI

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L’intera vita condominiale si fonda sul principio espresso dall’art. 1137 I comma cod.civ. che prevede l’obbligatorietà delle delibere assembleari per tutti i condomini.
Si tratta di norma che consente ad una collettività di esprimere una volontà rappresentativa idonea a gestire unitariamente gli interessi comuni su base maggioritaria.
Il principio vede due sole eccezioni, l’una in tema di innovazioni (art. 1121 cod.civ. ) e l’altra in tema di liti (art. 1132 cod.civ. ).
In tali casi il legislatore ha ritenuto di accordare la possibilità ai dissenzienti di sottrarsi al potere vincolante della delibera.
L’art. 1132 cod.civ. prevede che il condomino, esprimendo dissenso da comunicare entro trenta giorni dalla delibera che decide di promuoverla o di resistervi, può separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di soccombenza.
Il dissenso è atto recettizio che deve essere inviato all’amministratore ed è un quid pluris rispetto al semplice voto contrario in assemblea, che ne è presupposto logico e giuridico ma che da solo non produce effetto dissociativo.
LA giurisprudenza ha affermato che il dissenso non richiede la forma solenne che sembra richiamare la norma (notificazione) ma può essere espresso dall’assente e dal dissenziente entro trenta giorni dalla delibera, con comunicazione all’amministratore idonea a rendere incontrovertibile termine e contenuto (raccomandata, pec, consegna a mani).
La suprema corte (Cass. civ., sez. II, 18/06/2014,  n. 13885) ha anche affermato che il dissenso può trovare applicazione solo nelle cause che vedano quali parti il condominio e un terzo, non in quelle interne (ovvero fra condominio e uno o più condomini); in dottrina è invece diffusa la tesi che il dissenso possa riguardare anche queste ultime.
Una volta esercitato legittimamente il dissenso, la delibera che ponga a carico del dissenziente le spese di lite è affetta da nullità e non da semplice annullabilità (Cass. civ. sez. II, 15/05/2006 n. 11126).
E’ ormai pacifico che il dissenso possa essere esercitato solo per quel liti che vedano una deliberazione antecedente (o di successiva ratifica) e che, alla luce di CAss. SS.UU. 18331/2010 e della nuova formulazione dell’art. 1131 cod.civ., comprendono le controversie che esulano dai poteri dell’amministratore individuati dall’art. 1130 cod.civ., mentre per queste ultime può agire senza necessità di avvallo assembleare.
Del resto lo stesso art. 1132 cod.civ. ancora il dies a quo per esprimere il dissenso alla data della delibera e quindi la possibilità di esercitare il dissenso pare necessariamente ancorata alla sussistenza di una volontà assemblare espressa.
Appare comunque ragionevole estendere tale facoltà anche a quelle liti che, pur rientrando nei poteri dell’amministratore, abbiano visto comunque una delibera legittimante.
I giudici hanno invece ritenuto non applicabile la norma ove la lite venga conclusa da transazione, che vincolerà anche il dissenziente (Cass. civ. sez. II, 16/01/2014,  n. 821)
Resta invece notevolmente controversa la portata dello “scudo” predisposto dalla norma.
LA giurisprudenza di legittimità ha sempre sostenuto la mera rilevanza interna della norma (ossia l’impossibilità di opporre il dissenso direttamente al creditore, limitando i suoi effetti al diritto di regresso verso gli altri condomini), affermando altresì che la stessa preservi solo dalle spese che il Condominio è tenuto a pagare alla controparte, lasciando intatto l’obbligo per le spese sostenute dal Condomino per la propria difesa.
Di recente acuta e attenta dottrina (Celeste/Scarpa) ha evidenziato come la mera valenza interna dei criteri di riparto fosse legata alla impostazione solidaristica dell’obbligazione condominiale, tesi venuta meno con CAss. SS.UU. 9148/2008.
Ne consegue che se le Sezioni Unite hanno evidenziato la rilevanza esterna nei confronti del creditore dei criteri di riparto (rilievo che pare sussistere anche oggi a fronte del meccanismo di escussione previsto dal novellato art. 63 disp.att. cod.civ.), non vi sarebbe ragione per non riconoscere tale valenza anche all’art. 1132 cod.civ.
Allo stesso modo, se la ratio della norma è quello di consentire al dissenziente di sottrarsi agli obblighi derivanti da una delibera che non condivide, tale esonero dovrebbe riguardare tutti gli obblighi derivanti da quella delibera e non solo le spese liquidate alla parte vittoriosa.

© massimo ginesi 12 ottobre 2016