immissioni dannose. l’accertamento in giudizio richiede indagine tecnica

schermata-2016-09-08-alle-08-11-31

Qualora da una attività industriale o commerciale derivino immissioni di fumi e rumori nelle proprietà esclusive dei vicini, per stabilire se le stesse si qualifichino come illecite ai sensi dell’art. 844 cod.civ.  è indispensabile, oltre alla assunzione delle prove ordinarie in ordine alla loro sussistenza e alle modalità con cui si manifestano, che il Giudice disponga una consulenza tecnica che accerti il superamento dei limiti della loro tollerabilità.

Solo su tali presupposti potrà fondarsi una sentenza di condanna nei confronti del soggetto che produca rumori o fumi che arrecano pregiudizio al quotidiano vivere dei vicini.

Il principio è affermato da Cass. civ. II sez. nella  sentenza 17685/2016  depositata il 7.9.2016.

La Suprema Corte ha censurato i giudici di merito che avevano respinto –  in primo e in secondo grado – la domanda dei danneggiati, ritenendo la motivazione  insufficiente; in particolare la corte di appello di Verona aveva affermato che “dalle deposizioni testimoniali e dalla documentazione amministrativa offerte da parte ricorrente emergeva che la situazione era certamente difficile a cagione dell’attività di sfasciacarrozze svolta dal convenuto … ma non vi era prova certa né del superamento dei limiti di tollerabilità cli cui all’art . 844 e.e., né dei danni al fabbricato nel quale tutte le persone coinvolte nella vicenda abitavano o lavoravano, e neppure che tutto quanto allegato e lamentato cagionasse con nesso eziologico certo, un danno alla salute. La Corte ha aggiunto che icertificati medici non fornivano la dimostrazione necessaria sul punto. Ha negato l’ammissione di accertamenti peritali relativi alla valutazione delle immissioni e al danno alla salute perché la  ctu non è un mezzo istruttorio, ma sarebbe utilizzabile solo laddove la parte assolva il proprio onere probatorio”

La Cassazione ha ritenuto tale motivazione frettolosa e inadeguata, chiarendo un principio importante in tema di ammissione della consulenza tecnica: “La valutazione sintetica addotta dalla sentenza appare quindi apodittica nel concludere per l’insufficiente assolvimento dell’onere della prova.
Trattasi di formula rinunciataria della decisione delle controversie civili, che deve essere preceduta e giustificata da un vaglio critico e da uno sforzo conoscitivo e valutativo appropriati, mediante opportuno uso delle presunzioni e dei mezzi istruttori che siano nella disponibilità del giudice.
E’ opportuna in proposito la censura sviluppata nel secondo motivo, relativa alla mancata ammissione di consulenze tecniche volte ad accertare se i danni materiali agli immobili e le patologie cliniche alle persona istanti, circostanze documentate da risultanze di cui si è detto e da certificazioni mediche, fossero direttamente ricollegabili alle lavorazioni effettuate da controparte. 

Il ricorso ha puntualmente ricordato (invocando Cass. 16256/04) che in casi siffatti la consulenza tecnica, che di regola non è mezzo di prova ma sempre è mezzo istruttorio (contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, che ha ripreso isolate massimazioni), è doverosa (cfr. Cass. 13401/05; 8297/05; 1120/06). La consulenza tecnica può assurgere al rango di fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche (tra le tante Cass. 4792/2013; 1149/11; 6155/09; 1020/06): in tal senso la valutazione del rapporto eziologico tra i fatti documentati in causa e la loro rilevanza sulla solidità dell’immobile e sulla salute degli attori, che lamentano tra l’altro ipertensione e affezioni dermatologiche, appare senz’altro ipotesi ineludibile in cui è indispensabile il conforto specialistico”.
Pertanto ha carattere di motivazione apparente quella del  giudice che eluda la decisione di merito, rifiutando l ‘ammissione di consulenza tecnica in queste circostanze.
Va aggiunto che la cessazione delle attività moleste non fa venir meno l’obbligatorietà dell’approfondimento istruttorio, che si impone al fine di verificare se sia possibile, mediante l’esame degli atti e adeguate indagini tecniche e anamnestiche, accertare la veridicità delle ipotesi di danno prospettate da chi agisce in giudizio, suffragate da riscontri presuntivi, descritti nel caso di specie dalle stesse sentenze di merito”

La sentenza di secondo grado è stata dunque cassata e il  giudizio è stato  rimesso alla corte di Appello di Trento affinché rinnovi il procedimento di secondo grado attendendosi ai principi di diritto enunciati.

Si tratta di materia di frequente applicazione in campo condominiale, ove i rumori, i fumi o gli odori provenienti dalle proprietà esclusive sono spesso oggetto di contendere dinanzi all’autorità giudiziaria: è bene a tal proposito sottolineare che per tali controversie sussiste legittimazione attiva dell’amministratore ove le immissioni riguardino (anche) parti comuni, mentre se le doglianze sono relative a disagi subiti da una unità di proprietà esclusiva rimane vicenda circoscritta alla sfera dei diretti interessati.

© massimo ginesi 8 settembre 2016