quando il condomino confonde solidarietà da soccombenza e parziarietà dell’obbligazione condominiale..

La pronuncia in commento (Cass.Civ. sez. II ord. 2 febbraio 2018 n. 2576)  mette in luce una vicenda davvero onirica…

La questione processuale è assai semplice: in una controversia promossa fra un singolo e il condominio (rimasto contumace), intervengono ex art 105 c.p.c.  due condomini a sostenere le ragioni comuni, che all’esito della lite risultano soccombenti insieme al condominio.

La condanna alle spese – atteso il comune interesse dei soccombenti – avviene in solido ai sensi dell’art. 97 c.p.c.

La vicenda giunge in sede di legittimità, su istanza dei condannati alle spese, che spiegano il seguente motivo di ricorso “Essendo stati condannati in solido il condominio contumace e i tre condomini interventori, stante la natura intrinsecamente parziaria delle obbligazioni condominiali affermata da questa corte a sezioni unite, gli intervenuti, secondo il ricorrente, «rispondono dell’obbligazione in favore [della controparte del precedente giudizio] solo nei limiti della loro quota e senza duplicazioni rispetto al condominio rimasto contumace».

Par di vedere quasi lo sgomento degli ermellini nello stendere la motivazione con cui respingono il ricorso: “Il tribunale, all’esito della lite che ha visto contrapposto il condominio contumace e l’attrice T.C., ha condannato in solido (cfr. art. 97 cod. proc. civ.) alle spese il condominio contumace e i tre condomini interventori.

Rettamente, dunque, confrontandosi con precedente giudicato affermativo del sussistere di un’obbligazione solidale, il tribunale di Paola, accogliendo motivo di appello, ha fatto applicazione anzitutto dell’art. 1298 cod. civ., secondo la quale norma nei rapporti interni tra i condebitori dell’obbligazione solidale ex art. 97 cod. proc. civ. la stessa si divide, non risultando nei soli interessi del condominio (cfr. art. 97 cit. per cui la statuizione giudiziale presuppone l’interesse “comune”), e ciò in parti uguali, se non risulta diversamente; indi, calcolate le parti (su cui non vi è questione in questa sede) il tribunale ha applicato l’art. 1299 cod. civ. che consente il regresso solo per la parte di ciascun condebitore.

Ciò posto, è appena il caso di chiarire che, discutendosi di obbligazione solidale nascentedall’art. 97 cod. proc. civ., è improprio il riferimento operato dal ricorrente alle obbligazioni condominiali (affermate, ratione temporis, parziarie, almeno antecedentemente alla riforma dell’art. 63 secondo comma disp. att. cod. civ. ex art. 18, primo comma, I. 11 dicembre 2012, n. 220, in vigore dal 17 giugno 2013), nozione questa che riguarda le obbligazioni del condominio e non un caso quale quello di specie, riferito a una condanna alle spese in una lite, nel quale il condomino era intervenuto personalmente, con piena responsabilità degli oneri processuali.

© massimo ginesi 12 febbraio 2018 

art. 1102 cod.civ. e aiuole condominiali: una sentenza floreale…

 

Una vicenda che arriva dalla Sardegna, per approdare in cassazione, e che riguarda un uso poetico e inusuale del bene comune e delle facoltà concesse al singolo ai sensi dell’art. 1102 cod.civ.

Un condomino utilizza le aiuole condominiali per piantarvi fiori e piante ornamentali, l’assemblea, evidentemente sorda ad ogni richiamo di bellezza e leggerezza, delibera  che tale uso non è gradito né consentito e procede alla loro rimozione e distruzione.

Delibera  quanto mai improvvida, poiché Cass.Civ.  sez. II 7 febbraio 2018 n. 2957 ha confermato la sentenza del Tribunale di Cagliari che – in riforma della sentenza di primo grado del Giudice di Pace della stessa città – aveva ritenuto lecita ai sensi dell’art. 1102 cod.civ.  l’attività di floricoltura compiuta dal singolo e condannato il condominio a pagare 849 euro per le piante rimosse e ben 3.000 euro per lite temeraria.

In realtà la controversia nasce  come impugnazione di delibera, con particolare riguardo a quelle che avevano disposto il divieto di utilizzo delle aiuole da parte dei singoli e la corte di legittimità si limita a statuire che – in astratto – l’uso delle fioriere da parte dei singoli è compatibile con l’art. 1102 cod.civ., mentre la delibera che tout court ne disponga il divieto (che invece ben potrebbe avere natura convenzionale) deve ritenersi illegittima.

Quanto poi l’attività del singolo ed i suoi fiori rispettino il pari diritto d’uso degli altri condomini, che comunque la norma impone, è apprezzamento di merito che rimane confinato al giudizio di merito.

La sentenza, aldilà del caso di costume (più interessante, in realtà, del pacifico principio di diritto affermato) riveste interesse anche per la preliminare questione di competenza che risolve, riguardo alle cause condominiali attribuite alla competenza per materia del giudice di pace (e per tale motivo si riporta in forma integrale qui sotto)

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© massimo ginesi 8 febbraio 2018

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l’assemblea non può imputare responsabilità e spese a singoli condomini

Si tratta di principio consolidato e pacifico, ribadito da Cass.Civ.  sez. II ord. 31 gennaio 2018 n. 2415.

Nel condominio si da corso alla rimozione di due canne fumarie in eternit, l’assemblea ritenuto che le stesse fossero al servizio di un solo condomino imputa a costui l’intera spesa, che ricorre al giudice per far valere la nullità della delibera.

Il Tribunale di Terni da ragione al condomino, ritenendo nulla la delibera, la Corte di Appello di Perugia riforma la sentenza, riconoscendo dirimente la circostanza che le canne fossero di proprietà esclusiva ed accogliendo pertanto l’impugnazione promossa dal condominio.

Il singolo ricorre in cassazione: “con il primo motivo viene allegata la violazione degli artt. 1137 e 1135, cod. civ., … la delibera assembleare aveva travalicato dai poteri che le erano propri, avendo inciso sulla sfera giuridica soggettiva del ricorrente, addebitandogli responsabilità aquiliana, così impingendo in radicale nullità;

… la doglianza è fondata, in quanto: a) all’assemblea condominiale, siccome correttamente evidenziato dal Tribunale (sul punto non consta presa di posizione della Corte d’appello), non è consentito accertare fattispecie di responsabilità in capo al singolo condomino, vertendosi al di fuori delle attribuzioni legali assegnate al meccanismo deliberativo in parola; b) questa Corte ha già avuto modo di condivisamente chiarire che è affetta da nullità (la quale può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ed ancorché abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 cod. civ.) la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali (art. 1123 cod. civ.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune; ciò, perché eventuali deroghe, venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca (Sez. 2, n. 17101, 27/7/2006, Rv. 592302; conforme Sez. 2, n. 16793, 21/72006, Rv. 591434); c) l’esposto principio è strettamente correlato alla natura del condominio, che assegna al potere deliberativo dell’assemblea le decisioni che non incidono sulle regole del riparto (salvo l’unanimità) e che non consente allo stesso di avvalersi degli strumenti di autotutela speciali, ad esso assegnati dalla legge al solo scopo di consentire il recupero dei contributi dei singoli condomini, determinati in base alle tabelle regolarmente approvate;”

Interessante anche la riflessione della corte sul conflitto di interesse:

“considerato che il secondo motivo, con il quale viene denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2373, cod. civ., poiché la delibera era stata presa in situazione di conflitto d’interesse, in quanto gli altri condomini avevano l’interesse ad addebitare lo speso in via esclusiva al C. (a non voler considerare che la censura non risulta essere stata ritualmente riproposta in appello), non ha comunque alcun fondamento, stante che la situazione di conflitto d’interesse presa in considerazione dalla legge non coincide, al contrario di quel che assume il ricorrente, con il sussistere di un interesse di fatto del singolo votante ad una decisione piuttosto che ad un’altra, che importerebbe la paralisi dell’organo deliberativo, bensì nello specifico ed elettivo interesse, diverse da quello generico e fattuale, portato da uno dei votanti, in ragione delle sua precipua posizione; che in tal senso si è già più volte espressa questa Corte, la quale ha chiarito che sussiste il conflitto d’interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio. (principio affermato dalla S.C. con riguardo alla delibera di sistemazione del tetto e ripulitura del canale di gronda, motivatamente apprezzati nella sentenza impugnata come attività inquadrabili nella manutenzione ordinaria del fabbricato e non coinvolgenti la responsabilità del costruttore – anche condomino votante -, per presunti vizi dell’edificio, tra l’altro in assenza di specifica contestazione di difetti costruttivi) – Sez. 2, n. 10754, 16/5/2011, Rv. 617841″

© massimo ginesi 7  febbraio 2018 

responsabilità da cosa in custodia e fortuito: eccezionalità e imprevedibilità non coincidono.

Una monumentale pronuncia della Suprema Corte (Cass.Civ. sez. III ord. 1 febbraio 2018 n. 2482) ripercorre la disciplina e l’inquadramento dogmatico della responsabilità da cosa in custodia, sia sotto il profilo del nesso causale che deve legare evento e res custodita, sia riguardo all‘incidenza della condotta colposa del danneggiato, che può giungere ad integrare il fortuito previsto dall’art. 2051 cod.civ., come requisito idoneo ad escludere la responsabilità del custode.

L’approfondita e sistematica disamina della fattispecie, la netta differenziazione dell’azione riguardo alla generica richiesta di risarcimento da fatto illecito ex art. 2043 cod.civ. e l’ampio panorama giurisprudenziale richiamato consigliano la lettura della lunghissima ordinanza, che consta di ben 27 pagine.

Resta tuttavia da segnalare l’aspetto  peculiare dell’evento atmosferico, analizzato dalla corte con riguardo al caso specifico, che ove eccezionale ed imprevedibile, può escludere la responsabilità del custode.

La responsabilità ex art 2051 cod.civ. trova frequente applicazione anche in condominio, con riguardo ai beni comuni ex art 1117 cod.civ. di cui l’ente condominiale risponde per i danni cagionati ai condomini e a terzi in funzione di detta norma.

LA pronuncia, dunque, anche se non riguarda espressamente la realtà condominiale, si profila di grande interesse.

Con particolare riguardo all’evento atmosferico, spesso chiamato a fungere da esimente per infiltrazioni dal tetto, o dal manto di copertura in sede di rifacimento, oppure per danni cagionati da tegole e camini volati via durante eventi meteorologici avversi, la Corte sottolinea come eccezionale non significhi, di per sé anche imprevedibile.

Alla luce dei mutamenti climatici e di fenomeni ciclici (si pensi al classico caso delle bombe d’acqua che tanto danno hanno fatto in liguria negli ultimi anni), l’evento – seppur eccezionale quanto ad intensità – potrebbe non essere considerato imprevedibile e dunque non fungere da esimente. 

La Corte osserva che la valutazione andrà dunque fatta caso per caso.

A tal fine la Corte rileva ancora che  dichiarazione di calamità naturale, resa dagli enti pubblici preposti, se è idonea ad integrare l’elemento della eccezionalità, non è di per sé integrativa, sotto il profilo civilistico, del requisito della imprevedibilità.

qui sotto la sentenza per esteso

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© massimo ginesi 6 febbraio 2018

 

l’ex amministratore che agisce per il rimborso delle anticipazioni può attivarsi sia contro il condominio che contro i singoli condomini.

La natura dell’obbligazione condominiale e le sue modalità di attuazione stanno ormai acquisendo una connotazione abbastanza consolidata nella giurisprudenza di legittimità.

Cass.Civ. II sez. 25 gennaio 2018 n. 1851 rel Scarpa affronta il tema peculiare dell’obbligazione relativa alle anticipazioni sostenute dall’amministratore uscente.

Nel caso di specie costui ha ottenuto decreto ingiuntivo contro il condominio, che propone opposizione con una tesi quantomeno bizzarra, sostenendo  che l’iniziativa doveva essere diretta solo contro i singoli condomini.

La Corte ribadisce principi noti, che non trovano deroga per il fatto che l’obbligazione riguardi l’amministratore uscente: “ l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento del mandato, che, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti) sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all’amministratore mandatario le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l’anticipazione e per effetto di essa, e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali. Soltanto ove l’ex amministratore del condominio agisca nei confronti dei singoli condomini per ottenere il rimborso di dette somme anticipate, ha rilievo il principio della limitazione del debito nei limiti delle rispettive quote, ex art. 1123 cod.civ. 

 Occorre, invero, considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 e.e. (cfr. Cass. Sez. 2,27/09/1996, n. 8530; Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148; Cass. Sez. 6 – 2, 09/06/2017, n. 14530).

La pronuncia per l’interessante articolato processuale che riguarda l’intera vicenda, aldilà dello stretto principio di diritto enunciato, merita integrale lettura.

Cass. 2018 n 1851 anonima

© massimo ginesi 5 febbraio 2018 

 

hanno ormai

revisione delle tabelle millesimali per errore: una esaustiva e recente pronuncia

Cass.Civ. sez. VI 25 gennaio 2018 n. 1848 rel. Scarpa affronta l’annosa questione dell’errore che da luogo a revisione delle tabelle millesimali.

La Suprema Corte ha sempre ritenuto che l’errore dovesse consistere in una obiettiva divergenza fra il valore reale del bene e quello attribuito in tabella (id est errore di calcolo o erronea attribuzione di superfici, volumi o caratteristiche oggettive), sì che rimane esclusa la revisione quando la discrasia riscontrata sia da ricondurre ai parametri valutativi espressi dal tecnico che ha predisposto lo strumento.

Tuttavia, qualora emerga una inequivocabile differenza fra valore reale e valore attribuito, il giudice dovrà procedere alla revisione, principio cui non si è conformato, nel caso di specie, il giudice fiorentino.

I principi valgono anche con riguardo alle tabelle c.d. convenzionali, ovvero approvate da tutti i condomini o allegate al regolamento contrattuale, poichè la convenzione attiene ai diversi valori scientemente adottati ma non certo alle discrasie derivanti da errore.

La sentenza è di netta chiarezza e merita di riportare la motivazione per intero, poiché rappresenta una summa cristallina dei principi  che regolano la materia.

La Corte d’Appello di Firenze ha deciso la questione di diritto ad essa sottoposta senza uniformarsi all’interpretazione costante di questa Corte.

Il diritto spettante anche al singolo condomino di chiedere la revisione delle tabelle millesimali, in base all’art. 69 disp. att. c.c. (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla I. n. 220 del 2012) è subordinato all’esistenza di un errore o di un’alterazione del rapporto originario tra i valori delle singole unità immobiliari.

L’errore, in particolare, determinante la revisione delle tabelle millesimali, è costituito dalla obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente previsto.

La parte che chiede la revisione delle tabelle millesimali non ha, peraltro, l’onere di provare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella, potendo limitarsi a fornire la prova anche implicita di siffatta divergenza, dimostrando in giudizio l’esistenza di errori, obiettivamente verificabili, che comportano necessariamente una diversa valutazione dei propri immobili rispetto al resto del condominio.

Il giudice, a sua volta, sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unità immobiliari, sia per la prima caratura delle stesse, deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi – quali la superficie, l’altezza di piano, la luminosità, l’esposizione – incidenti sul valore effettivo di esse e, quindi, adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati (Cass. Sez. 2, 25/09/2013, n. 21950; Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5942).

Non rileva decisivamente, a tal fine, il mero dato che le tabelle non abbiano “origine deliberativa, ma convenzionale”, sottolineato dalla Corte d’Appello di Firenze.

Questa Corte ha già spiegato, e il principio va riaffermato, come, soltanto qualora i condomini, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c., la quale, come visto, attribuisce rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell’edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle.

Ove, invece, tramite l’approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l’accordo unanime di tutti i condomini), i condomini stessi intendano (come, del resto, avviene nella normalità dei casi) non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima), la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l’errore che, in forza dell’art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 e ss. c.c., ma consiste per l’appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito (Cass. Sez. 2, 26/03/2010, n. 7300).

La Corte d’Appello di Firenze non si è attenuta ai principi richiamati, in quanto, pur avendo accertato delle divergenze tra le tabelle millesimali in uso e le stime operate dal CTU (quanto meno per la proprietà Rione, la proprietà Lamanna e la proprietà Giraldi), ha ritenuto gli stessi sopportabilmente “contenuti nei limiti della decenza estimativa”, laddove, sussistendo una qualsiasi obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente determinato, è obbligo del giudice di eliminare l’errore riscontrato. Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, che deciderà la causa uniformandosi ai principi richiamati e tenendo conto dei rilievi svolti, e regolerà anche le spese del presente giudizio di cassazione.”

© massimo ginesi 2 febbraio 2018