art. 96 III comma c.p.c.: lite temeraria all’esame della consulta

La questione di costituzionalità dell’art. 96 III comma c.p.c. non è fondata: lo ha stabilito la Corte Costituzionale con  sentenza 1 – 23 giugno 2016, n. 152.

Il Tribunale di Firenze ne aveva prospettato l’illegittimità laddove alla funzione sanzionatoria della norma ricollega la condanna in favore della parte vittoriosa piuttosto che dell’Erario.

La Corte Costituzionale, pur accedendo ad alcuni rilievi critici mossi dal rimettente, ritiene che la norma sia comunque compatibile con l’architettura normativa del nostro ordinamento.

Osserva la Corte che: “La ragionevolezza della soluzione auspicata dal rimettente non comporta, però, la irragionevolezza della diversa soluzione adottata dal legislatore del 2009, e tantomeno ne evidenzia quel livello di manifesta irragionevolezza od arbitrarietà che unicamente consente il sindacato di legittimità costituzionale in ordine all’esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali (ex plurimis, ordinanze n. 138 del 2012, n. 141 del 2011).
La motivazione, che ha indotto i redattori della novella a porre «a favore della controparte» l’introdotta previsione di condanna della parte soccombente al «pagamento della somma» in questione, è, infatti, plausibilmente ricollegabile – e non è mancato, in dottrina, chi l’ha così ricollegata – all’obiettivo di assicurare una maggiore effettività, ed una più incisiva efficacia deterrente, allo strumento deflattivo apprestato da quella condanna, sul presupposto che la parte vittoriosa possa, verosimilmente, provvedere alla riscossione della somma, che ne forma oggetto, in tempi e con oneri inferiori rispetto a quelli che graverebbero su di un soggetto pubblico.
L’istituto così modulato è suscettibile di rispondere, peraltro, anche ad una concorrente finalità indennitaria nei confronti della parte vittoriosa (pregiudicata anch’essa da una temeraria, o comunque ingiustificata, chiamata in giudizio) nelle, non infrequenti, ipotesi in cui sia per essa difficile provare l’an o il quantum del danno subito, suscettibile di formare oggetto del risarcimento di cui ai primi due commi dell’art. 96 cod. proc. civ.”

qui il provvedimento per esteso.

© massimo ginesi giugno 2016

 

 

 

lite temeraria, i diversi presupposti dell’art. 96 II e III comma c.p.c.

La Cassazione fa chiarezza sulla diversa natura e portata delle diverse previsioni contenute nell’art. 96 c.p.c., norma in materia di lite temeraria di recente modificata dal legislatore (che ha inteso ampliare i poteri del Giudice, con intenti plausibilmente disincentivanti nei conforti di iniziative giudiziali poco meditate).

LA Terza Sezione, con sentenza depositata ieri (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 marzo – 16 giugno 2016, n. 12413 Presidente Amendola – Relatore Barreca) chiarisce che:

“- l’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ. prevede una sanzione processuale che prescinde del tutto dall’esistenza di danni risarcibili. Pertanto, quando il Tribunale ha affermato di voler liquidare danni patrimoniali e non patrimoniali, non ha basato la decisione su questa norma;

– l’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ. prescinde dall’istanza di parte, consentendo la condanna d’ufficio. Il Tribunale non ha affatto affermato di voler esercitare il potere officioso riconosciutogli dalla norma, ma si è riferito, come detto, alla domanda della parte attrice.
Ancora, il giudice d’appello ha sbagliato in diritto quando ha ritenuto che si possa prescindere dalla mala fede e dalla colpa grave e che l’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ. possa trovare applicazione “in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia ragionevole”, compresi i casi in cui “la condotta della parte soccombente sia caratterizzata da colpa semplice… ovvero laddove una parte abbia agito o resistito senza la normale prudenza”.
Così decidendo, il giudice ha disatteso l’orientamento di questa Corte espresso già con l’ordinanza n. 21570 del 30 novembre 2012, secondo cui “La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile”. La necessaria ricorrenza dei presupposti della mala fede o della colpa grave è stata ritenuta altresì da Cass. S.U. n. 13899/13, nonché da Cass. n. 3003/14, n. 27534/14 e, da ultimo, ord. n. 3376/16… (omissis) Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare infatti che nel giudizio di appello incorre in colpa grave, giustificando la condanna ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., la parte che abbia insistito colpevolmente in tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice ovvero in censure della sentenza impugnata la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata dall’appellante in modo da evitare il gravame (così Cass. n. 24546/14, nonché n. 1115/16).”

© massimo ginesi giugno 2016