ancora sui parcheggi pertinenziali: quando l’area è stata realizzata dal costruttore e ceduta a terzi.

Il tema dei parcheggi pertinenziali è assai complesso ed è stato oggetto di lunga elaborazione giurisprudenziale.

Si è più volte affermato in giurisprudenza che, ove il costruttore non provveda a realizzare le relative aree, al compratore dell’immobile non residui altro che azione risarcitoria nei suoi confronti.

Una pronuncia estiva di legittimità (Cass.civ. sez. II  22 agosto 2019 n. 21582 rel. Giusti) esamina invece l’ipotesi opposta, ovvero il caso in cui il costruttore dell’edificio condominiale abbia realizzato in concreto dette aree, disponendone poi l’alienazione a singoli, in violazione della destinazione imposta dalla norma di rilevanza pubblica (e che, come tale, è opponibile anche al terzo acquirente).

LA motivazione della sentenza è stringata ed in linea con l’orientamento della Corte Suprema, già più volte espresso;  interessante ed indispensabile ai fini di meglio comprendere la fattispecie, appare  la descrizione in fatto degli avvenimenti che hanno condotto al processo.

i fatti e il processo – “La controversia veniva promossa, con atto di citazione notificato il 4 marzo 1983, dinanzi al Tribunale di Roma da O.G. e altri contro la società Capitolina a r.l., lo.ma. , C.C. ved. Lo. , Lo.Me. e Lo.Ma. , nella qualità di eredi di Lo.Ar. , e L.A. .

Con patto d’obbligo del 16 febbraio 1968 la società Capitolina si era impegnata a destinare ad area di parcheggio una superficie di mq. 523,75; con atto di compravendita del 23 dicembre 1968 detta società trasferiva ad Lo.Ar. gli appartamenti di cui alla scala B con annessa autorimessa al piano interrato e a Lo.Ma. la proprietà dei restanti appartamenti; Lo.Ar. vendeva ad L.A. il locale autorimessa distinto con il n. 2 e il locale autorimessa con il n. 3; con successivi atti Lo.Ar. e Lo.Ma. trasferivano la proprietà dei singoli appartamenti agli attori.

Il Tribunale di Roma, a seguito della rimessione della causa dalla Corte d’appello ex art. 354 c.p.c., per difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, con sentenza n. 17041 del 2001, non definitivamente pronunciando, così provvedeva: dichiarava che la società costruttrice si era impegnata irrevocabilmente e definitivamente a destinare e mantenere permanentemente a parcheggio la superficie asservita; dichiarava nullo l’atto con cui la società costruttrice aveva venduto ad Lo.Ar. un’autorimessa privata al piano interrato con un piccolo cortiletto di servizio e accessorio a confine da tutti i lati con terrapieno; dichiarava di conseguenza nullo in parte l’atto con cui Lo.Ar. aveva venduto ad L.A. i locali ad uso autorimessa privata siti al piano interrato e distinti con il n. 2 e il n. 3; dichiarava fondata l’azione degli attori tesa a ottenere uno spazio su cui esercitare in modo esclusivo e permanente il diritto di parcheggio come riconosciuto dal legislatore; dichiarava che il bene sul quale gli attori dovevano esercitare il diritto di parcheggio andava individuato nei due locali venduti da Lo.Ar. ad L.A. e precisamente nel locale ad uso autorimessa privata sito al piano interrato, distinto con il n. 2, confinante con il garage della palazzina A, nonché nel locale a uso autorimessa privata sito al piano interrato, distinto con il n. 3, confinante con il locale caldaia; dichiarava che si doveva procedere con separata sentenza a indicare la consistenza del bene da asservire, individuare la posizione dei luoghi, indicare i lavori da eseguire, stabilire le modalità di uso, quantificare i danni patiti da L.A. da porre a carico degli eredi del dante causa, provvedere alla liquidazione delle spese; ordinava altresì l’estromissione di Lo.Ma. e compensava le spese nei suoi confronti, rimettendo con ordinanza la causa sul ruolo per l’istruttoria.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 33031 del 2004, definitivamente pronunciando, accertava che l’area da adibire all’uso di parcheggio per gli attori era di mq. 215,82 e per l’effetto condannava L.A. al rilascio dell’area, nonché all’esecuzione dei lavori specificati dal c.t.u. e ritenuti necessari per l’adattamento dell’area all’uso, oltre che al pagamento delle spese di lite in favore della parte attrice, accoglieva la domanda di risarcimento dei danni proposta dal L. nei confronti degli eredi di Lo.Ar. e per l’effetto condannava Lo.Me. e Lo.Ma. al pagamento della somma di Euro 258.958, oltre rivalutazione e interessi legali, compensando le spese di lite tra di loro, mentre condannava questi ultimi a rivalere il L. delle spese di giudizio e di c.t.u. alle quali era stato condannato, rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della C. , nonché rigettava la domanda di manleva proposta dagli eredi di Lo.Ar. nei confronti della società Capitolina e rigettava le restanti domande.

Pronunciando sull’appello principale di Lo.Me. e Lo.Ma. e sull’appello incidentale di L.A. , la Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 14 maggio 2014, in parziale riforma della sentenza definitiva, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dal L. , ha confermato nel resto le sentenze gravate come in parte motiva e ha compensato tra le parti costituite le spese del giudizio.

Per quanto qui ancora rileva, la Corte distrettuale:
ha rigettato la doglianza del L. secondo cui agli attori avrebbe dovuto essere riconosciuta solo una tutela risarcitoria e non un diritto reale d’uso;
ha escluso la sussistenza del diritto al risarcimento in favore del L. , conoscendo costui, successivo acquirente, l’entità del suo acquisto e dunque il vincolo di destinazione d’uso;
ha affermato che l’asservimento dell’area deve ritenersi limitato al solo diritto d’uso in proporzione fatto valere dagli attori e che con riguardo all’uso dei soli attori ha pronunciato il Tribunale con la sentenza gravata;
ha rilevato che nessuna domanda di quantificazione del corrispettivo per il diritto d’uso è stata proposta dal L. .”

il principio di diritto espresso dalla CassazioneÈ bensì esatto, rispondendo ad un principio più volte affermato da questa Corte regolatrice (Cass., Sez. II, 22 febbraio 2006, n. 3961; Cass., Sez. II, 7 maggio 2008, n. 11202; Cass., Sez. II, 25 maggio 2017, n. 13210), che, in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita ad un uso incompatibile con la sua destinazione; ove lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato, invece, utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto ma, eventualmente, a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso ed il riconoscimento giudiziale del diritto reale d’uso degli spazi destinati a parcheggio può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione.

Sennonché da tale principio deriva che la configurabilità della sola tutela risarcitoria si ha quando lo spazio vincolato, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura.

Ma non è questa la situazione che la Corte d’appello, confermando la sentenza del Tribunale, ha accertato, essendo risultato, alla luce delle emergenze tecniche, che la proprietà L. con la destinazione di autorimessa è localizzata all’interno della superficie destinata inderogabilmente a parcheggio (“l’area destinata a parcheggio di proprietà del L. indicata dal consulente in mq 215,82 è l’area sulla quale grava per legge il diritto d’uso”).

… La Corte d’appello si è correttamente attenuta al principio di diritto secondo cui il diritto reale d’uso di aree destinate a parcheggio, quale limite legale della proprietà del bene, deriva da norme imperative assistite, come tali, da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, sì che il vincolo da esse imposto non può legittimamente qualificarsi come onere non apparente gravante sull’immobile secondo la previsione dell’art. 1489 c.c., e non è, conseguentemente, invocabile dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non lo abbia dichiarato nel contratto (Cass., Sez. II, 18 aprile 2000, n. 4977).”

© massimo ginesi 16 settembre 2019 

 

 

 

in caso di vendita il parcheggio vincolato segue sempre l’appartamento.

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Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. II Civile,  9 settembre 2016, n. 17844, ribadendo un principio consolidato ma spesso misconosciuto.

La causa inizia nei lontani anni 90: “Nel 1994 gli odierni resistenti sigg. S. e A. hanno agito contro i signori F.N. e L.B.P. , per far dichiarare la nullità dell’atto di vendita con cui avevano acquistato dai convenuti un appartamento in XXXXXXX, nella parte in cui era stata omesso il trasferimento del diritto reale sul box destinato parcheggio”

LA domanda è accolta in primo e secondo grado.

Nel 2011, dopo appena 17 anni (!),  il procedimento arriva in Cassazione: “Vi si sostiene che i ricorrenti non avevano venduto il box che identificava l’area di parcheggio, perché (pag. 7): gli spazi condominiali già consentivano il parcheggio dell’auto in quanto superavano i 363 mq originariamente vincolati a parcheggio; il box individuato in favore dei F. era stato da essi destinato a magazzino con relativa variazione catastale; nell’atto di compravendita del 1991 non era stata evidenziata la alienazione del box. si sostiene che i ricorrenti non avevano venduto il box che identificava l’area di parcheggio, perché (pag. 7): gli spazi condominiali già consentivano il parcheggio dell’auto in quanto superavano i 363 mq originariamente vincolati a parcheggio; il box individuato in favore dei F. era stato da essi destinato a magazzino con relativa variazione catastale; nell’atto di compravendita del 1991 non era stata evidenziata la alienazione del box.”

il principio affermato dalla corte è netto: “La censura è infondata. La Corte di appello ha ispirato la decisione a una ineccepibile lettura dei principi giuridici in materia di aree di parcheggio disciplinare dalla L. n. 765 del 1967.
Come ha ricordato la memoria di parte resistente, la giurisprudenza di questa Corte (per uno svolgimento esauriente si può vedere Cass. 26252/20013) tiene fermo un vincolo di destinazione, di natura pubblicistica, per il quale gli spazi in questione sono riservati all’uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari delle quali si compone il fabbricato o che ad esse abitualmente accedono. Si consente la riserva di proprietà in capo al costruttore venditore purché sia rispettato il vincolo di destinazione.
Si ritiene anche che qualora non vi sia stata alcuna riserva o sia stato omesso qualunque riferimento nei titoli di acquisto, gli spazi destinati a parcheggio vengono a ricadere – per effetto del vincolo pertinenziale – fra le parti comuni di cui all’art. 1117 c.c.”

Infine, afferma la Corte, neanche le variazioni di destinazione o consistenza successivamente apportate possono incidere sul quel vincolo: “Il silenzio dell’atto del 1991 circa la individuazione del box, o la sua variazione catastale, non rilevano a fronte della persistenza di vincoli urbanistici normativamente presidiati, che cagionano la nullità della eventuale riserva: il paradosso che si pretende è quello di voler far dire ad un atto notarile ciò che esso non potrebbe mai dire, cioè che vi era sottesa una clausola nulla, quali sono le clausole degli atti privati, di disposizione degli spazi stessi, difformi dal contenuto vincolato (Cass. 6751/03; 14355/04; 28345/13; v. anche 8220/16)”.

© massimo ginesi 13 settembre 2016 

parcheggi condominiali, valgono titolo e legge vigente all’epoca della costruzione

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Gli spazi destinati a parcheggio sono fra i temi di maggior constrasto nella vita condominiale, sia per ciò che attiene alla loro regolamentazione ed utilizzo che per la complessa legislazione che si è succeduta nel tempo, con  riflessi diversi anche sulla loro circolazione quali beni autonomi: Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 aprile – 30 giugno 2016, n. 13445 Presidente Migliucci – Relatore Bianchini.

I fatti: “L.E. citò innanzi al Tribunale di Bari la spa N.G.I., dalla quale aveva acquistato un appartamento e le relative parti comuni, nello stabile sito in (omissis) , perché fosse accertato il suo diritto all’utilizzo di uno spazio a parcheggio – alternativamente: a titolo di proprietà; di comproprietà condominiale; quale esplicazione di un diritto di servitù o come diritto reale d’uso di cui all’art. 18 delle legge 765/1967- sito nel seminterrato dell’edificio condominiale; chiese inoltre di esser risarcita dei danni subiti, atteso che la privazione dell’esercizio del diritto a parcheggio l’avrebbe costretta a prendere in affitto apposito spazio. La società convenuta si oppose all’accoglimento della domanda con l’osservare che nella vendita dell’appartamento non veniva fatta menzione del trasferimento di un qualsiasi diritto sullo spazio in questione. “

Le pronunce di merito: “il Tribunale riconobbe in favore della L. il solo diritto reale d’uso richiesto in via subordinata, liquidando anche il danno per la mancata disponibilità dell’area; respinse inoltre la domanda riconvenzionale subordinata, volta al riconoscimento alla venditrice di una integrazione del prezzo. La Corte di Appello di Bari, adita in via principale dalla N.G.I. ed in via incidentale dalla L., statuì non esservi stata una pronuncia ultra petita – in ragione del fatto che il primo giudice aveva riconosciuto in favore dell’attrice un diritto di uso oneroso e non già, come richiesto, a titolo gratuito- richiamando la interpretazione di legittimità sui diritti autodeterminati e sulla conseguente non vincolatività per l’interprete del titolo posto a base della domanda; negò che potesse applicarsi la sopravvenuta legge 246/2005 che stabiliva che gli spazi a parcheggio potessero essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle unità abitative; riconobbe in favore dell’appellante principale il diritto all’integrazione del prezzo di vendita, espressamente richiamando l’esigenza di ristabilire -se del caso, anche d’ufficio- il sinallagma contrattuale; aumentò altresì la stima del valore dello spazio a parcheggio, rispetto a quella formulata dal consulente di ufficio; riformò infine anche il capo di decisione relativo alla quantificazione del danno liquidato L. in quanto ritenne che il riconoscimento del danno emergente – commisurato al canone per la locazione di un parcheggio – non potesse essere aggiunto a quello per il lucro cessante, atteso che la originaria attrice, se avesse avuto tempestivamente la disponibilità del parcheggio, o non avrebbe sopportato le anzidette spese o avrebbe goduto di un reddito per la locazione a terzi dello spazio in questione, non potendo invece trovare realizzazione contemporanea le due ipotesi risarcitorie. Quanto all’appello incidentale – per quello che conserva di interesse in sede di legittimità – la Corte di Appello ritenne applicabile alla fattispecie il regime dettato dall’art. 2 della legge n. 122 del 1989 che stabiliva la inalienabilità degli spazi a parcheggio in modo autonomo rispetto all’unità abitativa alla quale appartenevano, in ciò distinguendosi dalla precedente disciplina – art. 18 della legge 765 del 1967 – così dunque escludendo, tra l’altro, la possibilità che gli spazi in questione potessero rientrare nella previsione di afferenza condominiale secondo quanto disposto dall’art. 1117 cod. civ. – nella formulazione all’epoca vigente – o che, come pure richiesto dall’appellata, potesse alla stessa riconoscersi la piena proprietà o comproprietà sugli stessi spazi.”

La Corte di legittimità cassa con rinvio ad altra sezione della corte di appello osservando che: ” Il primo motivo è fondato, atteso che la legge n. 122/1989 disciplina gli atti di disposizione relativi a spazi a parcheggio realizzati dopo la sua entrata in vigore, mentre nella fattispecie in esame è rimasto accertato che l’edificio in cui era stato ricavato il parcheggio era stato costruito nel 1968 e l’appartamento alienato alla ricorrente aveva formato oggetto di vendita del 7 agosto 1998; la contestata interpretazione avrebbe dunque comportato l’attribuzione di una efficacia retroattiva alla legge – così contravvenendosi al disposto dell’ars 11 delle c.d. preleggi – altresì violando le norme che stabiliscono un nesso pertinenziale tra bene principale e spazio a parcheggio (artt. 26, comma V della legge 47/1985). L’erronea individuazione del referente normativo, in luogo dell’art. 18 della legge n. 765/1967, lascia dunque aperta la possibilità, per il giudice del rinvio, cassata in parte qua la gravata decisione, di una divergente delibazione dell’atto di trasferimento dell’appartamento alla L. , al fine di verificare se la inesistenza di una riserva di proprietà in capo al venditore degli spazi a parcheggio, unita alla considerazione della locazione a terzi dell’intero piano seminterrato, da epoca precedente alla compravendita (per come riportato a fol. 37 del controricorso ed a fol. 5 delle memorie ex art. 378 cpc), consentano il riconoscimento del più ampio diritto di comproprietà ex art. 1117 cod. civ. (v. ex militis Cass. Sez. II n. 11261/2003; Cass. Sez. TI n 730/2008; Cass. Sez. II n. 1214/2012).”

© massimo ginesi 4 luglio 2016