la rappresentanza processuale dell’amministratore e l’azione di rivendicazione

La Cassazione ritorna su un  tema lungamente discusso: all’esito di una complessa vicenda processuale,  nella quale alcuni condomini hanno agito nei conforti di terzi per vedersi restituire un’unità posta nel fabbricato assumendosene proprietari, il Condominio interviene nel giudizio per rivendicare la proprietà condominiale dello stesso bene.

La pronuncia (Cass. civ. II sez. 5 gennaio 2017 n. 133) affronta lunghe questioni preliminari relative alla impugnazione della sentenza parziale e poi perviene alla (lunghissima) disamina del punto relativo alla legittimazione dell’amministratore, in generale e  nel giudizio di rivendicazione.

Afferma la Corte: “AI fini della trattazione dell’argomento proposto allora viene in esame la natura giuridica dell’organo cui nel condominio è affidata la gestione amministrativa e cioè dell’amministratore, e le funzioni allo stesso affidate dalla legge, con particolare riguardo alla tutela in sede giudiziaria dei diritti di cui sono rispettivamente titolari l’ente condominiale e i singoli condomini, per determinare l’estensione teleologica della legittimazione passiva dell’amministratore con riferimento ai rapporti con litisconsorzio  passivo dei condomini e alla dialettica dei giudizi di rivendicazione. Partendo dal presupposto che il condominio è privo di personalità giuridica, in quanto unicamente ente di gestione delle cose comuni e che l’amministratore può agire in virtù della sola  delibera assembleare, anche non totalitaria, a tutela della gestione delle stesse, occorre individuare il fondamento normativo del potere di rappresentanza ed i suoi limiti”.

Le norme alle quali occorre fare riferimento sono gli articoli 1130 e 1131 codice civile che, rispettivamente, disciplinano, il primo, le attribuzioni dell’amministratore, il secondo, in forma specifica, la rappresentanza del condominio da parte dell’amministratore. Dall’articolo 1131 codice civile si deduce che il potere di rappresentanza dell’amministratore è contenuto nei limiti delle attribuzioni previste dall’articolo 1130 codice  civile, ossia si riferisce alle parti e ai servizi comuni, nonché alle controversie riguardanti i beni comuni. All’amministratore del condominio compete l’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea nonché, in genere tutta l’attività di ordinaria amministrazione, giusta l’elenco analitico di attribuzioni previsto dall’articolo 1130 e civile. Nei limiti di tali attribuzioni, o dei maggiori poteri eventualmente conferitigli  dal regolamento o dalla assemblea, egli ha la rappresentanza  dei condomini e può stare in giudizio sia pe essi contro terzi sia contro uno di essi per tutti gli altri (articolo 1131, commi 1 e 2 ).

Il sistema che si delinea consiste, pertanto, nel separare le situazioni di carattere condominiale da quelle di carattere individuale del singolo condomino e soltanto in ordine alle prime l’amministratore è legittimato ad esercitare le funzioni di rappresentanza, pur ammissibile un intervento dell’amministratore anche per la tutela degli interessi esclusivi del singolo condomino, purché costui gli conferisca espressa procura. Si tratta di una figura del tutto speciale di rappresentanza, che si distingue dal modello di rappresentanza volontaria, in ragione della determinazione legale delle relative attribuzioni.

Secondo la giurisprudenza consolidata, l’amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicazione, nei rapporti tra amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato, anche se con carattere meramente sussidiario. Ovviamente, come desumibile, la rappresentanza, non soltanto processuale, dell’amministratore di condominio è circoscritta alle attribuzioni, ai compiti ed ai poteri, stabiliti dall’articolo 1130 codice civile. Con disposizione rimasta inalterata nella riforma di cui la legge numero 220 del 2012, l’articolo 1131 codice civile stabilisce che l’amministratore “può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio” e che, ove la citazione abbia un contenuto esorbitante dalle sue attribuzioni, “è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini”, pena la revoca  dall’incarico e la responsabilità per danni.

La giurisprudenza di legittimità individua la ratio della previsione normativa circa la legittimazione passiva dell’amministratore nell’obiettivo di “facilitare i terzi la convocazione in giudizio del condominio” (confrontare Cassazione numero 9213 del 2005). Riconosce, quindi, la l’illimitatezza di tale legittimazione e la asimmetria rispetto alla legittimazione attiva, quest’ultima circoscritta entro limiti delle attribuzioni dell’amministratore.

Si è detto in più occasioni che, ai sensi dell’articolo 1131, secondo comma, codice civile, la legittimazione dell’amministratore (esclusiva o concorrente con quella dei singoli condomini) non incontra limiti dal lato passivo , anche rispetto alle azioni di natura reale indirizzate contro il condominio relativamente alle parti comuni dell’edificio, in tali casi gravando sull’amministratore solo l’obbligo di riferirne all’assemblea – obbligo di mera rilevanza interna non  incidente sulla rappresentanza processuale – sì che la vocatio  in ius  dell’amministratore esclude la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo di tutti i condomini (confrontare Cassazione numero 15.547 del 2005). Emblematicamente, la legittimazione passiva dell’amministratore, in luogo del litisconsorzio necessario dei condomini, è stata riconosciuta, in modo simultaneo, nell’occasione di una lite fra i condomini, tanto per la negatoria servitùtis, quanto per la speculare confessoria (confrontare Cassazione numero 19460 del 2005). 

La Suprema Corte avuto modo di chiarire che la vocazione generale della legittimazione passiva di cui all’articolo 1131, secondo comma, codice civile resta insensibile alla distinzione tra azione di accertamento, azioni costitutive e azioni di condanna, in quanto vale sempre la ratio legislatura di agevolare i terzi nella chiamata in giudizio del condominio, ovviando alle difficoltà pratiche di promuovere e preservare il litis consorzio passivo di tutti condomini, sicché, riguardo alla negatoria e confessoria servitus , la legittimazione passiva dell’amministratore sussiste anche nel caso in cui l’azione sia diretta a ottenere la condanna alla rimozione di opere comuni.

In realtà l’attento scrutinio delle fattispecie evidenzia come non l’oggetto rivendicativo dell’azione determini la necessità del litisconsorzio di tutti i condomini bensì la linea difensiva assunta dal convenuto, il quale neghi la proprietà esclusiva e ne assuma, viceversa, la natura condominiale del bene rivendicato. Il fattore determinante risiede nella natura dell’accertamento proprietario, che, in quanto sollecitato da una mera eccezione, avviene incidente tantum: ove abbia carattere puramente incidentale, l’accertamento dominicale non eccede l’ambito di legittimazione passiva dell’amministratore e non impone il litisconsorzio  passivo di tutti condomini.

Così recente decisione  – fermo che ogni condomino può proporre le azioni reali a difesa della proprietà comune, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari, in quanto il diritto di ciascun condomino ha per oggetto il bene comune nella sua interezza, pur nei limiti dei  concorrenti diritti altrui (Cass. 19460 del 2005 cit.) – separa nettamente   l’ipotesi in cui il convenuto sollevi  eccezione riconvenzionale di proprietà esclusiva, al limitato fine di paralizzare l’avversa  domanda petitoria, dall’ipotesi in cui egli formula una domanda riconvenzionale, allo scopo di ottenere l’accertamento del proprio dominio esclusivo, il litisconsorzio  necessario di tutti condomini ricorrendo unicamente nel caso della domanda riconvenzionale, atteso che l’eccezione sollecita un mero accertamento incidente tantum, destinata ad esplicare efficacia soltanto fra le parti.

In adesione si è stabilito,  ancor più di recente, che il liticonsorzio passivo dei condomini necessita soltanto in caso di domanda riconvenzionale volta ad ottenere la declaratoria di proprietà esclusiva, non anche in caso di semplice eccezione riconvenzionale, già che soltanto nel primo caso, non anche nel secondo, l’accertamento  dominicale produce effetti di giudicato estensivo nei confronti della intera compagine condominiale (Cass. 4624 del 2013).

L’eccezione  riconvenzionale di proprietà esclusiva non delinea  alcun potenziale conflitto fra i titoli dominicali (proprietà condominiale anziché proprietà esclusiva) giacché  essa non prelude alla formazione o alla negazione di un titolo: se accolta, non costituisce un titolo di dominio solitario a favore dell’eccipiente , neppure verso la controparte attuale; se respinta, non impedisce all’eccipiente  di agire per ottenere quel titolo, anche verso la controparte attuale”

Se questo è il quadro giurisprudenziale nel quale va in quadrata la fattispecie, muovendo dall’assunto del carattere generale della legittimazione passiva dell’amministratore, che – contenuta nei limiti delle attribuzioni previste dall’articolo 1130 codice civile – è estesa a ogni interesse condominiale (alle parti e ai servizi comuni nonché alle controversie riguardanti i beni comuni) la questione sequenziale che si pone è se  di fronte al chiaro disposto dell’articolo 1131 codice civile, comma 2, in base al quale l’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio, possa escludersi tale legittimazione nel caso in cui un condomino (un terzo) rivendichi la proprietà esclusiva di parti dell’edificio che non siano espressamente ricomprese nell’articolo 1117 codice civile”

La Corte compiuta la profonda (e non innovativa) disamina che precede, cassa dunque con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Messina che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “Premessa la legittimazione passiva dell’amministratore per qualunque azione abbia ad oggetto parti comuni dello stabile condominiale, la individuazione della natura del bene controverso deve avvenire tenendo conto che l’articolo 1117 codice civile contiene  elencazione non tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio comune di tutto o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale”

La sentenza, per gli operatori professionali del diritto, merita lettura integrale anche per gli aspetti strettamente processuali che analizza (impugnabilità  della sentenza parziale).

© massimo ginesi 9 gennaio 2017