Il lasciapassare e la società del controllo

Mi soffermerò soltanto su due punti, che vorrei portare all’attenzione dei parlamentari che dovranno votare sulla conversione in legge del decreto.
Il primo è l’evidente – sottolineo evidente – contraddittorietà del decreto in questione. Voi sapete che il governo con un apposito decreto-legge, detto di “scudo penale”, n.44 del 2021, ora convertito in legge, si è esentato da ogni responsabilità per i danni prodotti dai vaccini. Quanto gravi possano essere questi danni risulta dal fatto che l’art.3 del decreto menziona esplicitamente gli art.589 e 590 del codice penale, che si riferiscono all’omicidio colposo e alle lesioni colpose.
Come autorevoli giuristi hanno notato, lo Stato non si sente di assumere la responsabilità per un vaccino che non ha terminato la fase di sperimentazione e tuttavia, al tempo stesso, cerca di costringere con ogni mezzo i cittadini a vaccinarsi, escludendoli altrimenti dalla vita sociale e, ora, con il nuovo decreto che siete chiamati a votare, privandoli persino della possibilità di lavorare.
È possibile immaginare una situazione giuridicamente e moralmente più abnorme? Come può lo Stato accusare di irresponsabilità chi sceglie di non vaccinarsi, quando è lo stesso Stato che per primo declina formalmente ogni responsabilità in merito alle possibili gravi conseguenze – ricordate la menzione degli art.589 e 590 del codice penale del vaccino?
Vorrei che i parlamentari riflettessero su questa contraddizione che configura a mio avviso una vera e propria mostruosità giuridica.
Il secondo punto sul quale vorrei attirare la vostra attenzione non riguarda il problema medico del vaccino, ma quello politico del lasciapassare, che non deve essere confuso con quello (abbiamo fatto in passato vaccini di ogni tipo, senza essere obbligati a esibire un certificato per ogni nostro movimento). È stato detto da scienziati e medici che il lasciapassare non ha in sé alcun significato medico, ma serve a obbligare la gente a vaccinarsi. Io credo invece che si possa e si debba affermare anche il contrario, e cioè che il vaccino sia in realtà un mezzo per costringere la gente ad avere un lasciapassare, cioè un dispositivo che permette di controllare e tracciare in misura che non ha precedenti i loro movimenti.
I politologi sanno da tempo che le nostre società sono passate dal modello che si usava chiamare “società di disciplina” a quello delle “società di controllo”, fondate su un controllo digitale virtualmente illimitato dei comportamenti individuali, che divengono così quantificabili in un algoritmo. Ci stiamo ormai abituando a questi dispositivi di controllo – ma fino a che punto siamo disposti ad accettare che questo controllo si spinga? È possibile che i cittadini di una società che si pretenda democratica si trovino in una situazione peggiore di quella dei cittadini dell’Unione sovietica di Stalin? Voi sapete che i cittadini sovietici erano tenuti a esibire una “propiska” per spostarsi da una paese all’altro, ma noi dobbiamo farlo anche per andare al cinema o al ristorante – e ora, cosa ben più grave, per recarci sul luogo di lavoro. E come è possibile accettare che, per la prima volta nella storia d’Italia dopo le leggi fasciste del 1938 sui cittadini non ariani, vengano creati dei cittadini di seconda classe, che subiscono restrizioni che dal punto di vista strettamente giuridico – sottolineo giuridico –, non hanno nulla da invidiare a quelle previste in quelle infauste leggi?
Tutto fa pensare che i decreti-legge che si susseguono l’uno all’altro quasi emanassero da una sola persona vadano inquadrate in un processo di trasformazione delle istituzioni e dei paradigmi di governo tanto più insidioso in quanto, com’era avvenuto per il fascismo, si compie senza alterare il testo della costituzione. Il modello che viene così progressivamente eroso e cancellato è quello delle democrazie parlamentari, con i loro diritti e le loro garanzie costituzionali e al loro posto subentra un paradigma di governo in cui , in nome della biosicurezza e del controllo , le libertà individuali sono destinate a subire limitazioni crescenti.
La concentrazione esclusiva dell’attenzione sui contagi e sulla salute impedisce infatti di percepire la Grande Trasformazione che si sta compiendo nella sfera politica e di rendersi conto che, come gli stessi governi non si stancano di ricordarci, la sicurezza e l’emergenza non sono fenomeni transitori, ma costituiscono la nuova forma della governamentalità.
In questa prospettiva è più che mai urgente che i parlamentari considerino con estrema attenzione la trasformazione in corso, che alla lunga è destinata a svuotare il parlamento dei suoi poteri, riducendolo, come sta ora avvenendo, ad approvare in nome della biosicurezza decreti che emanano da organizzazioni e persone che col parlamento hanno ben poco a vedere.

Intervento al Senato del 7 ottobre 2021 di Giorgio Agamben

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-lasciapassare-e-la-societa-del-controllo

Cacciari, stato di emergenza e di eccezione: perché ha ragione

Massimo Cacciari e Giorgio Agamben hanno posto la questione in tempi non sospetti: chi decide come e quando finirà lo stato di emergenza nel nostro Paese? I numeri? Quali? I contagi – con un virus che dovrebbe, almeno secondo la vulgata, diventare endemico e al pari di una normale influenza grazie ai vaccini? – o le terapie intensive? I morti? Come ricorda il sito di Nicola Porro, oramai ci siamo. Il 31 dicembre il governò potrà prolungare l’agonia di un altro mese, e teoricamente non oltre. La legge, o meglio un decreto legislativo del 2008, il numero 1, che disciplina il Codice della Protezione Civile, su questo punto parla chiaro: all’articolo 23, comma 3, precisa che «la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi». Tradotto: massimo massimo, se proprio non si riesce a farne a meno, non si possono superare i 24 mesi consecutivi.  Per un nuovo stato di emergenza, bisognerebbe ricominciare da capo la conta, ma – perlomeno – è il caso di discuterne.

Cacciari: “Così lo stato di emergenza diventa stato di eccezione”

Chi non capisce la gravità della questione non ha alcuna sensibilità costituzionale e democratica. È fatto per sottostare a uno stato hobbesiano e autoritario. Come ha spiegato Cacciari qualche tempo fa su La7 da Lilli Gruber: «E’ finito tutto. E’ finito lo stato di diritto. E’ una emergenza perenne. In base a quali algoritmi si deciderà la fine dello stato di emergenza? Visto che le ondate si succedono, andiamo avanti con lo stato di emergenza perenne? Perché così diventa stato di eccezione… Lo stato di emergenza è un concetto da protezione civile mentre lo stato di eccezione è la sospensione di certe garanzie costituzionali…».

Il pericolo è un mandarinato, come ricorda Musso su Atlantico Quotidiano, che cita le parole del filosofo: «Un popolo impotente e, al governo, i Mandarini … concentrazione del potere nell’esecutivo, che è la vera e pericolosissima tendenza di questo momento … pericolosissima, perché è lo svuotamento delle assemblee rappresentative e (ancora di più) di tutte quelle forme di organizzazione autonoma della società civile, senza cui la cosiddetta società civile non ha voce, o ha una voce solo confusacontraddittoriaincompetente e, quindi, non può contare”. Cioè, non la soppressione di Parlamento e sindacati, bensì il loro svuotamento . Per questo, secondo Cacciari, «il regime politico in cui viviamo non ha nulla a che fare con fascismi o autoritarismi di quel genere».

(di Roberto Vivaldelli)

I DIPENDENTI DELL’APPALTATORE NON POSSONO AGIRE CONTRO IL CONDOMINIO OVE COSTUI ABBIA CEDUTO IL CREDITO

Lo afferma il Tribunale Capitolino ( Trib. Roma 21.10.2021 n. 8648), sostenendo  che i dipendenti dell’appaltatore non possono giovarsi della norma di cui all’art. 1676 c.c., ove costui abbia ceduto il credito a terzi con atto avente data certa anteriore alla loro azione.

La norma codicistica prevede  una significativa garanzia in favore dei dipendenti di colui che abbia eseguito opere in appalto: «coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda».

Il Tribunale ha tuttavia stabilito, riprendendo un isolato e risalente orientamento di legittimità, che «Se l’appaltatore ha trasferito il suo credito verso il committente con atto di cessione che sia efficace riguardo ai terzi a norma dell’articolo 1265 Codice civile, e se tale efficacia si sia già avuta alla data in cui i dipendenti dell’appaltatorepropongono la domanda ex articolo 1676 Codice civile, il «debito del committente verso l’appaltatore» più non esiste, onde manca l’oggetto dell’azione diretta attribuita ai dipendenti dell’appaltatore» (Cassazione 11074/2003).”

Trib_Roma_8648_21

© massimo ginesi 2 novembre 2021