responsabilità per immissioni rumorose da bar, è responsabile chi le provoca.

La Cassazione ( Cass.civ. sez. II  4 luglio 2017 n. 16407) esamina una vicenda che – con l’arrivo dell’estate – è frequente in condominio: il pub a piano terra dell’edificio tiene musica ad alto volume sino a tarda notte e turba i sonni dei condomini.

Due di costoro promuovono azione giudiziale sia nei confronti del proprietario dei locali che verso il conduttore, che è il soggetto titolare dell’attività commerciale molesta.

Il Tribunale di Sondrio condanna proprietario e locatore a pagare a ciascuno dei condomini attori l’importo di 15.000 euro (diecimila per danno biologico e 5.000 per danno morale).

LA Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza, rigetta la domanda contro il proprietario dei fondi,  lasciando integra la sola condanna in capo al conduttore dei locali, esercente l’attività commerciale.

La Corte milanese rilevava che dalla relazione dell’Arpa risultava che le immissioni intollerabili derivassero dalla musica tenuta ad alto volume all’interno dei locali fino a tarda notte, dal vociare degli avventori fuori dal locale e che il locatore avesse saputo della situazione solo poco prima del giudizio, che avesse più volte richiamato i conduttori e che nel contratto di locazione fosse stata inserita una clausola che vietava al conduttore attività rumorose. Riduceva inoltre il risarcimento a 6.000 euro per ciascun condomino, determinati in via equitativa, sull’assunto che non vi fosse prova del danno biologico nella misura lamentata.

Occorre premettere che, secondo l’indirizzo interpretativo di questa corte, l’azione di natura reale, asperità per l’accertamento dell’illegittimità dell’immissione e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono è distinta e può essere cumulata con la domanda verso altro convenuto, per responsabilità aquiliana ex articolo 2043 c.c., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionate (Cass.civ. sez. un. 27 febbraio 2013 n. 4848).

Quest’ultima domanda risarcitoria va proposta secondo i principi della responsabilità aquiliana e cioè nei confronti del soggetto individuato da criterio di imputazione della responsabilità. E, quindi nei confronti dell’autore del fatto illecito (materiale o morale), allorché il criterio di imputazione è la colpa o il dolo (art. 2043) e nei confronti del custode della cosa allorché i criterio di imputazione è il rapporto di custodia (art. 2051).

Allorché le immissioni intollerabili originano da un immobile condotto in locazione, dunque, la responsabilità ex articolo 2043 cod.civ. per i danni da essi derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, non già per aver omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizio a carico di terzi (Cass.civ. sez. III  28/5/2015 n 11125)”

© massimo ginesi 5 luglio 2017

opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, una sentenza interessante

Cass.civ. sez. II  28 giugno 2017, n. 16211 affronta con pragmatismo e rigore interpretativo una questione interessante, che coinvolge le notifiche effettuate in proprio dal difensore.

La legge 53/1994 consente all’avvocato  di procedere in via autonoma alla notifica degli atti giudiziari a mezzo posta – dunque senza ricorrere all’ufficiale giudiziario – provvedendo alla spedizione del plico mediante raccomandata ed annotando in apposito registro cronologico i dati relativi all’inoltro, peraltro con una puntigliosità e una burocraticità borboniche (va annotato numero della raccomandata, costo, numero dell’ufficio postale di spedizione diversi altri dati).

Nel caso di specie un soggetto, nei cui confronti la spedizione era stata effettuata correttamente, seppur con qualche imprecisione nella registrazione di tali dati, e per il quale – in suo assenza – il plico aveva effettuato regolare compiuta giacenza, pretende di proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo oggetto della notificazione, adducendo irregolarità formali della notifica e la circostanza che sia stato molto tempo lontano dalla propria abitazione per problemi familiari documentati in giudizio.

La Corte afferma due principi netti:

a) può essere ammesso ad opposizione tardiva solo chi dimostri che dalla irregolarità della notifica sia derivata per il destinatario l’impossibilità di conoscere tempestivamente l’atto, non rilevando la mera irregolarità formale ove la notifica abbia raggiunto lo scopo

b) colui che si assenta per lunghi periodi da casa ha l’onere di curare il ritiro della posta o di organizzare metodi alternativi che gli consentano di essere raggiunto dal servizio, senza che possa addossare al mittente – in difetto – le conseguenze della sua assenza.

La Corte ha rilevato due errori del procedimento notificatorio: la mancanza del numero cronologico dell’atto sul registro del professionista e dell’ufficio giudiziario (tribunale di Sassari che aveva emesso il provvedimento). Ha però osservato che tali vizi non potevano determinare la mancata conoscenza e non erano quindi rilevanti ex art. 650 c.p.c…

non ogni irregolarità – quali quelle appena descritte – rileva per giustificare l’opposizione tardiva, ma solo quelle decisive per impedire la conoscenza della notificazione. Ciò non può certo dirsi né quanto alla tenuta del registro notifiche del mittente, né quanto alla modulistica degli avvisi di ricevimento, posto che questi ultimi non furono ritirati.

Era quindi stato assolto l’onere della notifica ed era conseguente onere del destinatario dimostrare sia i vizi di nullità sia che da essi fosse dipesa la mancata conoscenza della notificazione e la mancata opposizione…

chi si assenta per lunghi periodi dalla propria residenza e non effettui la modifica anagrafica conoscibile ai terzi ha l’onere di provvedere al ritiro della corrispondenza, organizzandone l’inoltro o tramite servizi di posta o tramite soggetti incaricati, dall’altro perché privi di riscontro.”

conclude dunque la Corte che “Ed è vero anche che il regime delle nullità delle notificazioni è stato rivisitato da Cass. SU 14916/16 in senso opposto a quanto dedotto in ricorso circa l’insanabilità di ogni vizio formale e sostanziale…

Orbene, le irregolarità – tutte formali – non incidono sulla mancata conoscenza; l’assenza protratta nel tempo non eliminava l’obbligo imposto dal dovere di comportarsi secondo l’ordinaria diligenza nel presidiare la residenza anagrafica conoscibile dai terzi.”

© massimo ginesi 4 luglio 2017

sopraelevazione ex art. 1127 cod.civ. e decoro architettonico

La cassazione (Cass.civ. sez. VI 28 giugno 2017, n. 16258 rel. Scarpa) sottolinea come la nazione di  decoro architettonico dell’edificio abbia peculiare natura in tema di sopraelevazione, ove deve tener conto delle caratteristiche preesistenti del fabbricato, badando a non stravolgerle.

E’ noto come l’art. 1127 c.c. sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell’edificio che non la consentono, ovvero dall’aspetto architettonico dell’edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di aria e luce per i piani sottostanti.

L’aspetto architettonico, cui si riferisce l’art. 1127, comma 3, c.c., quale limite alle sopraelevazioni, sottende, peraltro, una nozione diversa da quella di decoro architettonico, contemplata dagli artt. 1120, comma 4, 1122, comma 1, e 1122-bis c.c., dovendo l’intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore.

Il giudizio relativo all’impatto della sopraelevazione sull’aspetto architettonico dell’edificio va condotto, in ogni modo, esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile condominiale, e verificando l’esistenza di un danno economico valutabile, mediante indagine di fatto demandata al giudice del merito (cfr. Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 23256 del 15/11/2016 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10048 del 24/04/2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2865 del 07/02/2008; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1025 del 22/01/2004).

Non rileva decisivamente il distinguo che pone la ricorrente fra facciata principale, o meno, dell’edificio, in quanto, nell’ambito del condominio edilizio, le facciate stanno ad indicare l’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che connotano il fabbricato, imprimendogli una fisionomia autonoma e un particolare pregio estetico. La facciata rappresenta, quindi, l’immagine stessa dell’edificio, la sua sagoma esterna e visibile, nella quale rientrano, senza differenza, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile.

Una volta riscontrato, poi, il pregiudizio all’aspetto architettonico, esso si traduce in una diminuzione del pregio estetico e quindi pure economico del fabbricato.

Deve ancora una volta ribadirsi (visto il concreto contenuto delle censure in esame, che invocano sotto certi profili a questa Corte una rivalutazione delle emergenze istruttorie, e non un controllo di legittimità) che l’indagine rivolta a stabilire se in concreto ricorra il denunciato danno all’aspetto della facciata rientra nei poteri del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1297 del 07/02/1998), se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”

© massimo ginesi 3 luglio 2017