D.L. 18/2020 e sospensione sfratti: che accade?

l’art. 103 comma 6 del D.L. 18/2020 ha previsto che “l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020”.

La disposizione interviene nell’ambito di un provvedimento legislativo che ha, invece, sospeso l’attività giudiziale e i  termini sostanziali e processuali sino al 15 aprile 2020, quindi con una evidente discrasia,  la cui ratio non appare percepibile.

(peraltro il 6 aprile u.s. , con un decreto di cui a tutt’oggi non vi è traccia di pubblicazione il Consiglio dei ministri ha comunicato di aver differito il suddetto termine dal 15 aprile al 11 maggio)

La formulazione letterale della norma impone di ritenere che tale bizzarra previsione si applichi unicamente all’attuazione in forma esecutiva di provvedimenti giudiziali (sfratti, sentenze, provvedimenti d’urgenza) e ne siano esclusi i provvedimenti stragiudiziali (ad esempio i verbali di mediazione).

Allo stesso modo la formulazione assolutamente generica ed onnicomprensiva comporta  che debba ritenersi applicabile ad ogni forma di locazione (abitativa e uso diverso/commerciale) nonché a qualunque provvedimento di rilascio, quale che sia la causa che l’ha determinato (finita locazione, morosità o altro).

La prima riflessione, metagiurudica, è che in questo modo il locatore che ha ottenuto provvedimento di sfratto per morosità (in data anteriore al 9 marzo 2020) non potrà metterlo in esecuzione sino al 30 giugno 2020, periodo nel quale il conduttore, già moroso, potrà rimanere nell’immobile senza versare alcunché, così che le conseguenze economiche della crisi epidemica vengono fatte ricadere sic et simpliciter sul privato.

Sotto il profilo processuale – per coloro che hanno conseguito il titolo – deve ritenersi che sia consentito notificare il precetto (atto prodromico all’esecuzione) ma non il preavviso ex art 608 c.p.c. che già costituisce attuazione dell’esecuzione per rilascio.

Quanto all’efficacia del precetto (atteso il suo termine di efficacia di novanta giorni ex art 481 c.p.c.), a fronte della causa eccezionale di sospensione va sottolineato il  dettato letterale (rectius,  universale) dell’art. 83 comma 2 D.L. 18/2020: ” Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 e’ sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso e’ differito alla fine di detto periodo.”

Appare ragionevole sostenere che  il provvedimento sospensivo di cui all’art. 83 D.L. 18/2020 possa ritenersi applicabile anche al termine di efficacia del precetto (ove quel termine si collocasse fra il 17 marzo e l’11 maggio 2020), sì che alla data del 30 giugno p.v. quel termine riprenderà a decorrere (argomentando da Cass. civ. III, 23.6.1997  n. 5577: ” Il termine di efficacia del precetto, previsto dall’art. 481, comma 1, c.p.c. rimane sospeso (non solo se contro lo stesso è proposta opposizione ma) anche qualora sopravvenga una norma – nella specie: art. 2, d.l. 24 settembre 1986 n. 579, non conv. in legge – che disponga una proroga dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili”).

La bizzarra produzione normativa di questo periodo impone di effettuare interpretazioni ad horas, poiché i differimenti e le novità sono continue: ad oggi pare preannunciato un differimento ex officio di tutte le udienze alla data dell’11 maggio p.v., di talchè deve ritenersi che non si terranno sino a quel momento udienze di convalida di sfratto;  resta tuttavia da considerare che, ove il 12 maggio 2020  riprenda l’attività giudiziale e non venga modificata la disposizione sulla sospensione della esecuzione dei provvedimenti di rilascio  di cui all’art. 103 D.L. 18/2020, anche il giudice dovrà attenersi a tale precetto nel fissare la data del rilascio a mente dell’art. 56 L. 392/1978;  comunque, ove ciò non accada, il locatore non possa mettere in esecuzione il provvedimento, prima del termine del 30 giugno 2020.

© massimo ginesi 7 aprile 2020 

 

 

Foto di enriquelopezgarre da Pixabay

la portata del giudicato del provvedimento di sfratto

Una recente pronuncia del Tribunale apuano (Trib. Massa 19.4.2018 n. 292) ripercorre gli orientamenti di legittimità nell’ipotesi in cui lo sfratto sia stato convalidato e si discuta in un successivo giudizio delle somme dovute dal conduttore moroso.

sfratto_giudicato.doc

© massimo ginesi 13 giugno 2018

decreto ingiuntivo non opposto e principio del giudicato esterno discendente: una pronuncia in tema di sfratto

Di recente la Suprema Corte (Cass. 1502/2018) ha osservato che la mancata opposizione a decreto ingiuntivo impedisce successive contestazioni giudiziali  sulle somme portate in quel decreto ingiuntivo e che l’effetto di giudicato che acquista il decreto non opposto si estende a tutto il dedotto e deducibile che poteva essere fatto valere in sede di opposizione.

Analogo principio è seguito da recente sentenza del Tribunale di Massa 23 gennaio 2018 in tema di opposizione alla convalida di sfratto, che deve essere respinta laddove il conduttore non abbia proposto opposizione al decreto ingiuntivo per i canoni non versati ottenuto dal locatore con autonomo e separato ricorso.

Osserva il Tribunale apuano che “L’esistenza di un decreto ingiuntivo definitivo per i canoni impagati, ottenuto dal locatore nei confronti del conduttore per canoni che vanno a costituire la morosità sulla quale si fonda l’intimazione di sfratto, oggi convertita nel presente giudizio a rito ordinario, impedisce di riesaminare la vicenda dei rispettivi obblighi e della sussistenza di inadempimento, per il principio del giudicato implicito discendente.

L’esistenza di un titolo definitivo, che accerti che non è stato versato il corrispettivo della locazione per l’importo recato nel decreto non opposto, impedisce qualunque ulteriore valutazione sulla debenza di quelle somme e sulla sussistenza del relativo inadempimento.

Si è, con costanza, osservato in giurisprudenza che “la domanda di accertamento del canone di locazione costituisce un presupposto implicito ai fini della proposizione e dell’accoglimento della domanda di condanna al pagamento dei canoni scaduti e non pagati in cui si sostanzia il provvedimento di ingiunzione.

Sta di fatto che sul decreto ingiuntivo non opposto recante intimazione di canoni locativi arretrati accolto si forma il giudicato che fa stato perciò fra le stesse parti circa l’esistenza e validità del rapporto corrente inter partes e sulla misura del canone preteso, nonchè fa stato circa l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi o estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio di opposizione, quali quelli atti a prospettare l’insussistenza totale o parziale del credito azionato in sede monitoria dal locatore a titolo di canoni insoluti, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte in ragione di maggiorazioni contra legem del canone (v. Cass. n. 5801/1998).

Evidente, pertanto, che, in applicazione del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, qualora i conduttori avessero voluto contestare la determinazione del canone, avrebbero dovuto proporre opposizione a decreto ingiuntivo, il che non hanno fatto, con la conseguenza che l’accertamento circa la misura del canone preteso e richiesto dai locatori è da ritenersi coperto dal giudicato.” Cass 16319/2017)”

Il Tribunale ha ritenuto infondate anche due eccezioni in rito dell’opponente, che assumeva il decreto ingiuntivo dovesse essere notificato nel domicilio eletto per il procedimento di sfratto: “Va perlatro osservato che appaiono prive di pregio anche le due obiezioni avanzate dal convenuto circa la asserita nullità della notifica del decreto ingiuntivo (tesi che perlatro dovrebbero legittimare – semmai un opposizione tardiva in quel procedimento e non possono essere oggetto di valutazione nel presente, se non in via meramente incidentale):
Per quanto possa qui rilevare, quanto alla notifica alla parte ai sensi dell’art. 140 c.p.c. appaiono rispettate tutte le formalità previste dalla norma e dalle successive interpretazioni rese dalla Consulta, posto che dalla copia depositata in via telematica risulta effettuata la notifica presso la dimora del convenuto (luogo che neanche egli stesso disconosce sia tale), è stato effettuato il deposito presso l’ufficio e il contestuale avviso raccomandato di cui risulta risulta – dall’avviso di ricevimento reso con l’atto – che il destinatario non abbia curato il ritiro per dieci giorni. Né peraltro l’opponente, aldilà di generiche riflessioni circa le modalità di notifica ai sensi dell’art 140 c.pc., ha spiegato in quali violazioni sarebbe incorsa la notifica del decreto.

Quanto la doglianza circa l’omessa notifica al domicilio eletto, è di tutta evidenza che tale norma sia volta favorire le comunicazioni in corso di causa alle parti costituite, e tale non può considerarsi la notifica alla parte – in vista della esecuzione – di un decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva, che deve necessariamente essere notificato al debitore e non al suo procuratore domiciliatario e che – in ogni caso – è relativo a procedimento monitorio del tutto autonomo rispetto a quello di opposizione alla convalida per cui si discute e sarebbe, pertanto, escluso dagli atti soggetti a notifica nel domicilio eletto”.

© massimo ginesi 30 gennaio 2018

opposizione allo sfratto e mediazione obbligatoria: un tema controverso

Ove il convenuto in un procedimento per convalida di sfratto proponga opposizione, il giudice deve mutare il rito e il procedimento proseguirà secondo le norme richiamate dall’art. 447 bis c.p.c., onde pervenire ad una ordinaria sentenza che, accertato l’inadempimento del conduttore, pronunci sulla  risoluzione del contratto di locazione.

All’atto del mutamento del rito, trattandosi di materia sottoposta obbligatoriamente a mediazione ai sensi dell’art. 5 D. lgs 28/2010, il giudice disporrà affinché si proceda all’esperimento della mediazione, rinviando la causa  a nuova udienza per la verifica della condizione di procedibilità.

Può accadere che nessuna delle due parti si attivi; a quel punto il giudice dovrà necessariamente pronunciare sentenza con cui dichiara l’improcedibilità della domanda: ovviamente la domanda è quella  di risoluzione per inadempimento, azionata originariamente dal locatore in via sommaria nelle forme della intimazione di sfratto e citazione per convalida.

Diverse sono  le conclusioni  cui pervengono i giudici di merito sulla disciplina delle spese di lite in tale ipotesi, soluzione che comporta necessariamente una valutazione su chi avesse interesse alla mediazione e su chi debba ritenersi parte soccombente.

Il tema è affrontato da una recente sentenza del Tribunale di Massa 19 gennaio 2018.

Esaurita la fase sommaria e disposto il mutamento del rito, è stato concesso termine per l’inizio del procedimento di mediazione, termine da ritenersi seppur non perentorio(Corte di Appello di Milano24 maggio 2017) comunque non reiterabile (Tribunale, Firenze, sez. III civile09/06/2015,Tribunale di Vasto, sentenza del 09.03.2015). Va ancora ritenuto che è onere di chi abbia interesse a coltivare il procedimento dare impulso alla condizione di procedibilità.

Nel caso di specie non risulta che la mediazione sia stata introdotta né dall’attore nel dal convenuto, di talchè la domanda dovrà necessariamente essere dichiara improcedibile.

Ai fini della liquidazione delle spese, assume tuttavia rilevanza la posizione delle parti chiamate ad avverare la condizione di procedibilità, onde valutare se vi sia tecnicamente soccombenza.

A differenza del procedimento per decreto ingiuntivo, ove si discute degli effetti del mancato avveramento della condizione di procedibilità sul provvedimento monitorio, con esiti che – anche in sede di legittimità – hanno sottolineato all’interesse dell’opponente a coltivare il giudizio di opposizione, va osservato che la proposizione di opposizione alla convalida di sfratto determina il mutamento del rito con passaggio a giudizio a cognizione piena ove l’assetto processuale e l’interesse astratto ad agire delle parti andrà valutato secondo gli ordini criteri, avuto riguardo alle domande delle parti.

Si è dunque affermato che è il locatore, che ha introdotto il procedimento con rito sommario, ad avere interesse a coltivare la domanda, ove intenda ottenere accertamento nel merito dell’inadempimento del conduttore, onde ottenere sentenza che statuisca sulla l’intervenuta risoluzione e pronunci sulle spese; tali pronunce hanno rilevato come al convenuto opponente tale interesse possa riconoscersi solo ove lo stesso abbia, a propria volta, avanzato domanda riconvenzionale, di talchè abbia un effettivo ed autonomo interesse alla prosecuzione del giudizio (e, dunque, all’avveramento della condizione di procedibilità); ne consegue che, per parte della giurisprudenza di merito sul punto (Trib. Mantova 20.1.2015, Trib. Napoli 3.6.2015) le spese andrebbero poste a carico dell’intimante quale parte tecnicamente soccombente rispetto alla domanda inizialmente introdotta con rito sommario.

La tesi non appare tuttavia del tutto convincente, specie laddove sia stata emessa ordinanza di rilascio ex art 665 c.p.c.; tale provvedimento presuppone una sommaria delibazione del giudice sulla fondatezza delle ragioni delle parti, con positiva valutazione dei presupposti posti a fondamento della domanda attrice e con corrispondente 4 delibazione negativa in ordine alle ragioni poste a sostegno della opposizione: appare pertanto irragionevole condannare alle spese e ritenere soccombente tout court l’attore che abbia ottenuto un provvedimento favorevole e tendenzialmente stabile, relativamente alla domanda di rilascio, solo perché non ha dato corso a procedimento di mediazione; in tal caso costui potrebbe ragionevolmente ritenere di non aver interesse a proseguire il giudizio, sì che manterrà il provvedimento provvisorio assumendosi i relativi rischi circa la mancata pronuncia di sentenza sul merito e scegliendo di non vedersi liquidate le spese; mentre appare invece inutilmente gravatorio condannare addirittura alle spese di lite colui che – in prima battuta – appare meritevole di tutela provvisoria (arg. Tribunale Tribunale 17.11.2015 n. 21324) .

D’altro canto la circostanza che sia stata emesso l’ordinanza provvisoria di rilascio ex art 665 c.p.c. fa sorgere anche in capo al convenuto opponente l’interesse a coltivare il giudizio, al fine di pervenire ad una pronuncia di accoglimento della opposizione, che travolga nel merito il provvedimento interinale emanato dal giudice al termine della fase sommaria

Di tal chè, laddove sia stata emessa ordinanza provvisoria di rilascio, pare sussistere  interesse di entrambe le parti ad addivenire a pronuncia merito e, conseguentemente ,ad attivarsi affinché maturi  la condizione di procedibilità e possa pertanto applicarsi, in difetto di positiva condotta delle due parti, totale compensazione delle spese di lite: ( arg. Da Tribunale Pescara, 7 ottobre 2014).

Nel caso di specie va ancora rilevato che le conclusioni avanzate nella comparsa del convenuto del 12.7.2017 (essendo la prima, depositata all’udienza del 7.6.2017 in mero rito) contengono istanze che –seppur formulate in maniera sfumata e non espressamente qualificate come domande riconvenzionali – sono volte ad ottenere pronuncia sulla natura del contratto e la relativa simulazione nonché sulla restituzione delle somme relative alle opere compiute dal conduttore sul bene oggetto del contratto; e devono pertanto ritenersi autonome domande che, parimenti, fondano un interesse anche del convenuto alla prosecuzione del giudizio, ragione che vieppiù legittima la integrale compensazione delle spese”

© massimo ginesi

 

 

procedimento per convalida di sfratto e il mancato esperimento della mediazione obbligatoria

I procedimenti sommari, quali il ricorso per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto, sono esclusi dall’obbligo di preventiva mediazione stabilito dall’art. 5 comma I bis del d.lgs 28/2010 per alcune materie.

Lo prevede la stessa norma, al comma IV:” I commi 1-bis e 2 non si applicano:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile”.

Terminata la fase sommaria, tuttavia, la condizione di procedibilità – per le materie ove questa è obbligatoria – torna ad essere un vincolo imprescindibile.

I problemi applicativi in tema di opposizione a decreto ingiuntivo  sono assai complessi e fonte di vivace dibattito.

Problematiche assai simili si pongono in tema di giudizio conseguente alla opposizione alla convalida di sfratto, con particolare riguardo alle conseguenze che comporta il mancato avveramento della condizione di procedibilità.

Il tema è affrontato da sentenza del Tribunale di Massa del 28 novembre 2017: il caso è peculiare poiché l’intimante, a seguito della opposizione, della conversione del rito e dell’assegnazione del termine per introdurre la mediazione, non da più alcuna indicazione al proprio difensore, che deposita istanza ma si ritrova da solo alla comparizione dinanzi al mediatore.

Come risulta dal verbale di mediazione, prodotto in giudizio, la parte intimante che ha instaurato il procedimento di mediazione, non si è presentata al primo incontro, al quale era presente unicamente il difensore, che ha peraltro manifestato l’assenza di qualunque mandato specifico a partecipare a detto incombente.

Tale circostanza appare già di per sè idonea a ritenere non espletato il procedimento poiché al procuratore non era stato conferito alcuno specifico potere, anche a non voler aderire alla ormai predominante giurisprudenza che ritiene indispensabile la partecipazione personale della parte (fra le tante Trib. Pavia 20.1.2017).

La circostanza che il difensore presente all’incontro non avesse né potere né indicazioni per gestire il procedimento e agisse in totale dissociazione dalla parte lascia intendere che il locatore abbia manifestato totale disinteresse alla sua apertura, resa di fatto impossibile dalla sua assenza prima ancora che da quella del convenuto, sì che la condizione si dovrà ritenere non avverata, esattamente come se l’istanza non fosse stata proposta.”

Quanto alle conseguenze del mancato esperimento, il Tribunale osserva che “sussistono posizioni assai plastiche in giurisprudenza, che oscillano da valutazioni drastiche in cui si accollano al locatore sia l’onere della mediazione che le conseguenze del suo mancato esperimento, con dichiarazione di improcedibilità e condanna alle spese in caso di mancato avveramento della condizione (Trib. Mantova 15.1.2015) sino a per pervenire a letture invece in totale favore della parte attrice, nelle quali – ritenuta improcedibile la domanda, si considerano comunque consolidati gli effetti del provvedimento provvosirio reso ex art. 665 c.p.c e sostanzialmente vittoriosa l’intimante a cui devono essere riconosciute le spese (Tribunale Bologna 17.11.2015 n. 21324) sino a posizioni intermedie che, pur a fronte del consolidarsi degli effetti del provvedimento interinale, ritengono sussistenti idonee ragioni per provvedere a totale compensazione delle spese ( Trib. Rimini 24 maggio 2016).

La pronuncia del Tribunale felsineo appare a questo giudice maggiormente condivisibile sotto il profilo delle argomentazioni sistematiche, in analogia con quanto già statuito – anche dalla corte di legittimità, in materia contigua quale l’opposizione a decreto ingiuntivo (Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015, n. 24629 ) laddove riconosce ‘la la distribuzione dell’onere di attivazione della mediazione obbligatoria in capo ad entrambe le parti, seppure con diversi effetti stante la indiscutibile esistenza del provvedimento giurisdizionale consistente nella ordinanza di rilascio (tipico esempio di condanna con riserva, nella fattispecie con riserva delle eccezioni dell’intimato – opponente); l’improcedibilità del giudizio a cognizione piena originato dall’opposizione dell’intimato, stante la mancata instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria; il travolgimento (per improcedibilità) delle domande delle parti che siano ulteriori rispetto a quella proposta dal locatore intimante sfociata nell’ordinanza di rilascio; la preservazione dell’efficacia dell’ordinanza non impugnabile di rilascio, idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo, in quanto non travolta dalla declaratoria di improcedibilità; e ciò in quanto il provvedimento anticipatorio di condanna al rilascio è sottoposto alla condizione risolutiva consistente nella pronuncia di successiva sentenza di merito negativa (mentre la declaratoria di improcedibilità opera in rito)’.

Parimenti condivisibile, appare la conclusione, in linea con la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione, cui perviene lo stesso giudice “Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665667 c.p.c. vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell’ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell’ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio).

A carico dell’intimato opponente, non operoso in mediazione, resta l’effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore.

È ora possibile concludere nel senso che l’espressione “condizione di procedibilità della domanda” di cui al decreto legislativo 28/2010 va correttamente intesa con riferimento: alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall’intimatoopponente; alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall’intimato (essenzialmente pagamento somme).

Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall’intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena. Invece l’ordinanza di rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non impugnabile dall’articolo 665 c.p.c., e quindi non è neppure modificabile revocabile). Identica sorte avrebbe l’ordinanza di rilascio, in caso di declaratoria di estinzione del giudizio a cognizione piena”

Non appare invece condivisibile la tesi della sostanziale soccombenza del convenuto a fronte del provvedimento di rilascio ottenuto dal locatore ai sensi dell’art. 665 c.p.c., poiché ove l’attore intenbda giovarsi unicamente degli effetti di tale ordinanza deve arrestarsi a quella fase, mentre ove intenda coltivare le ulteriori domande – ivi comrpesa quella di condanna alle spese – diviene egli stesso parte che aveva interesse ad introdurre la mediazione onde avverare la condizione la condizione di procedibilità, di talché laddove ciò non abbia fatto ed insista nella successiva fase di merito nel coltivare domande palesemente improcedibili, mostra di abusare dello strumento processuale, contravvenendo proprio alla ratio delle norme di cui al D.lgs 28/2010 ragione che impedisce di riconoscerli alcun titolo a vedersi liquidate spese ex art 91 c.p.c.”

© massimo ginesi 30 novembre 2017

 

sfratto per morosità: la mancata comparizione del locatore.

 schermata-2016-10-31-alle-19-33-06

nel procedimento di sfratto per morosità, ove il locatore intimante non compaia e il conduttore presente in udienza si costituisca al fine di opporsi allo sfratto ma non chieda espressamente la prosecuzione del giudizio nel merito al fine di ottenere un accertamento negativo del proprio inadempimento, il procedimento necessariamente deve essere dichiarato estinto ai sensi dell’art. 662 c.p.c.

Lo ha affermato la terza sezione civile della Cassazione, con sentenza 19425/2016, ribadendo un orientamento ormai consolidato: ” la mancata comparizione del locatore all’udienza fissata per la convalida fa perdere alla intimazione tutti gli effetti di carattere processuale (salvo quelli sostanziali) e, cioe’, il venir meno della possibilita’ di divenire titolo esecutivo, nonche’ l’effetto della possibile trasformazione del procedimento in un ordinario giudizio di cognizione, non potendo la citazione, contenuta nell’intimazione, conservare in tale caso il carattere di atto autonomo distinto”

@ massimo ginesi 31 ottobre 2016

 

Tribunale di Milano: locazioni, il contratto non registrato è nullo

Schermata 2016-07-25 alle 12.49.08

Una sentenza interessante e importante su un tema assai caldo, oggetto di avvicendamenti legislativi e giurisprudenziali  sempre lineari.

Secondo Tribunale Milano 6782/2016  con l’articolo 13 della legge 431/98 (così come modificato  dall’articolo 1, comma 59, della legge 208/2015 )  “il legislatore ha esercitato il potere di disciplinare le situazioni in precedenza regolate dalla normativa dichiarata incostituzionale e tale facoltà di intervento è stata attuata dettando una nuova disciplina della materia, con incidenza limitata e diversa rispetto al precedente intervento, che aveva semplicemente “prorogato”, fino al 31.12.2015, gli effetti della norma illegittima. Tra l’altro, il legislatore ha ora previsto conseguenze ancor meno “invasive” sul diritto di proprietà, escludendo la durata legale del contratto fino ad una scadenza successiva (come era, invece, previsto dal D.L.vo 23/11 e dalla L.80/14). In sostanza, la nuova normativa non incorre nelle censure mosse dalla Corte alle precedenti , affrettate, iniziative: la disciplina è ora contenuta nell’art.13 della L.431/98, norma stabile e fondamentale in materia di locazione di immobili urbani e che per i contratti, quale quello di specie, prevede un regime temporaneo idoneo a salvaguardare l’interesse dei conduttori, improvvisamente divenuti gravemente morosi per aver fatto affidamento su una disciplina legale del canone, caducata per effetto delle sentenze di illegittimità costituzionale; interesse dei condutt01i che è stato, però, equamente contemperato con quello dei locatori, limitando a un periodo contenuto la riduzione legale del canone ed escludendo (a differenza delle precedenti disposizioni dichiarate illegittime) vincoli sulla durata del rapporto”

Deve, invece, ritenersi che la nullità di cui trattasi, introdotta dal legislatore nell’ambito dell’azione di contrasto all’evasione fiscale e con l’evidente intento di provocare l’emersione delle c.d. locazioni in nero, abbia a ragion veduta richiamato la sanzione della nullità, condizionando la validità del contratto all’adempimento della registrazione. Con la conseguenza che, fino al completamento della fattispecie (stipulazione del contratto fra le parti e registrazione dello stesso) il negozio non può considerarsi valido. Tale chiave interpretativa è chiaramente determinata dall’opzione normativa per la sanzione della “nullità”: il legislatore, cioè, non può aver usato il termine “nullità” se non in senso tecnico e letterale, intendendo evidentemente richiamare integralmente la disciplina degli artt.1418 e ss. e.e. (nullità prevista dalla legge -ultimo comma dell’art. cit.).  Ne consegue l’esclusione, anche concettuale, di una “convalida” successiva (art.1423 e.e.) per effetto del tardivo adempimento fiscale”.

© massimo ginesi 25 luglio 2016