Cassazione: un ampio excursus sul condominio minimo

Una recente ordinanza della Suprema Corte (Cass.civ. sez. VI-2 23 luglio 2020 n. 15705 rel. Scarpa)  affronta un  caso peculiare e traccia una sorta di statuto interpretativo del c.d. condominio minimo, rifacendosi in parte ad orientamenti già espressi.

Al condominio  composto da due soli partecipanti si applicano le norme del condominio e non della comunione, salvo il fatto che a fronte di una composizione paritaria, l’assemblea potrà deliberare solo all’unanimità, non potendo darsi maggioranza numerica fra due soli partecipanti.

Costituisce ipotesi di condominio minimo, come precisa la Corte, anche il fabbricato composto da tre ( o più) unità immobiliari,  delle quali solo una appartenga a soggetto diversi dalle altre, che siano invece in comproprietari  più persone, poichè costoro rappresentano un unico centro di interessi, che dovrà esprimere uno  rappresentante a mente dell’art. 67 disp.att. cod.civ. (applicato al caso di specie – ratione temporis –  nella versione ante novella  2012) , senza che il numero delle unità valga a mutare l’entità numerica dei condomini che compongono il condominio.

Deve in premessa precisarsi come, essendo in discussione la validità di una deliberazione assembleare adottata in data 2 ottobre 2011, trova applicazione, nella specie, il testo dell’art. 67 disp. att. c.c., comma 2, antecedente alla riformulazione operatane dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220 (entrata in vigore il 18 giugno 2013), atteso che la validità, o meno, di qualsiasi negozio, in difetto di un’eventuale disposizione espressamente dichiarata retroattiva dal legislatore, va sempre riferita alle norme in vigore nel momento della sua conclusione. Tale norma stabiliva, dunque, che: “Qualora un piano o una porzione di piano appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati; in mancanza provvede per sorteggio il presidente”.

L’art. 67 disp. att. c.c., comma 2, pur riferendosi al condominio negli edifici e non alla comunione in generale, è stato spiegato in giurisprudenza come espressione di un principio generale, in forza del quale, se ad una comunione partecipano per una quota più proprietari pro indiviso, costoro devono nominare un rappresentante che esprima un voto e una volontà unica (Cass. Sez. 2, 04/10/1976, n. 3243).

La necessità che il rappresentante dell’unità immobiliare in comproprietà esprima la volontà unica dei comproprietari comporta altresì che gli eventuali contrasti fra costoro sull’assemblea condominiale vanno risolti all’interno del gruppo (Cass. Sez. 2, 24/01/1980, n. 590; Cass. Sez. 2, 29/01/1974, n. 244).

Come chiarito da Cass. Sez. 2, 09/12/1988, n. 6671, l’art. 1136 c.c., il quale delinea la disciplina inderogabile (art. 1138 c.c., comma 4) concernente la composizione e il funzionamento dell’assemblea, facendo riferimento, per l’approvazione delle deliberazioni, ad un determinato numero di partecipanti al condominio ed ad un determinato valore dell’edificio rappresentato dalle rispettive quote, comporta che ogni condomino intervenuto possa esprimere un solo voto (ed analogamente va considerata la posizione degli astenuti e degli assenti), qualunque sia l’entità della quota che rappresenta ed indipendentemente dal fatto che questa sia costituita da una sola o da più unità immobiliari, stante l’autonoma rilevanza attribuita al voto personale rispetto al valore, sia pure minimo, della quota rappresentata dal singolo condomino.

Se, pertanto, due o più persone siano tutte comproprietarie pro indiviso di due o più unità immobiliari nello stesso edificio, esse non hanno diritto ad esprimere tanti voti quanti siano i distinti rappresentanti che designano, come prospettano i ricorrenti, sicché il diritto di intervento attribuito dall’art. 67 disp. att. c.c., comma 2, non altera il numero dei “partecipanti al condominio” con riguardo all’elemento personale supposto dall’art. 1136 c.c., nel senso che, ai fini delle maggioranze numeriche, i comproprietari delle medesime unità immobiliari “contano per uno”, e cioè esprimono un solo voto.

Non può avere rilievo l’invocazione fatta dai ricorrenti dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in quanto tale disposizione contempla il diritto di ogni soggetto “al rispetto dei suoi beni”, fissando i presupposti imprescindibili per una legittima privazione della proprietà ed accordando la sua protezione contro le violazioni fondate su determinazioni discrezionali dell’autorità, e non può essere perciò invocata con riguardo a disposizioni di carattere generale che allochino diritti tra privati (cfr. CEDU 12 dicembre 1983, Bramelid e Malmstròm c. Svezia, ricc. 8588/79 e 8589/79).

Ne consegue che, ove, come nel caso in esame, i partecipanti al condominio siano l’uno (quale G.M.M. ) proprietario esclusivo di una unità immobiliare ed altri due (o più) comproprietari pro indiviso di due (o più) unità immobiliari comprese nello stesso edificio (quali P.A. e P.C. ), deve ravvisarsi, sotto il profilo dell’elemento personale, un “condominio minimo” (formato, cioè, da due partecipanti con diritti di comproprietà paritari sui beni comuni), per il quale operano le norme in tema di organizzazione (ad es., artt. 1120, 1121, 1129, 1130, 1131, 1132, 1133, 1135, 1136, 1137 e 1138 c.c.), e specialmente quelle procedimentali sul funzionamento dell’assemblea, pur essendo impedito il ricorso al principio di maggioranza.

L’assemblea del condominio minimo, pertanto, si costituisce regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e delibera validamente soltanto con decisione “unanime” di ambedue i comproprietari; ove, invece, non si raggiunga l’unanimità, o perché l’assemblea, in presenza di entrambi i condomini, decida in modo contrastante, oppure perché, alla riunione – benché regolarmente convocata – si presenti uno solo dei partecipanti e l’altro resti assente, è necessario adire l’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c. (Cass. Sez. U, 31/01/2006, n. 2046; Cass. Sez. 2, 02/03/2017, n. 5329; Cass. Sez. 2, 19/07/2007, n. 16075).

In definitiva, va enunciato il seguente principio di diritto:
“Allorché i partecipanti ad un condominio siano uno proprietario esclusivo di una unità immobiliare ed altri comproprietari pro indiviso delle restanti unità immobiliari comprese nell’edificio, atteso che i medesimi comproprietari, con riguardo all’elemento personale supposto dall’art. 1136 c.c., sebbene abbiano designato distinti rappresentanti, esprimono comunque un solo voto, deve ravvisarsi un “condominio minimo”, per il quale opera la disciplina dettata dal codice civile in tema di funzionamento dell’assemblea condominiale, pur essendo impedito il ricorso al principio di maggioranza; ne consegue che, ove non si raggiunga l’unanimità, è necessario adire l’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c.”

© massimo ginesi 25 luglio 2020 

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una sentenza che grida vendetta e una prassi assai poco virtuosa…

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E’ fatto arcinoto che l’amministratore può ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti dei condomini morosi.

Altrettanto pacifico che tale iniziativa giudiziale rientri fra i poteri autonomi dell’amministratore (sino al 2013 lo affermava pacificamente la giurisprudenza, oggi è scritto nel novellato art. 63 disp.att. cod.civ. ) e che lo stesso sia provvisoriamente esecutivo al fine di consentire una rapida ed efficiente gestione della vita patrimoniale del condominio.

LA norma richiede unicamente, per la concessione del provvedimento monitorio, la sussistenza di una ripartizione  approvata: ” Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione”

In tal senso vi è costante giurisprudenza, così come le pronunce più recenti escludono la possibilità di sindacare in sede di opposizione vizi della delibera che rientrano nella previsione di cui all’art. 1137 cod.civ.,  che devono essere fatti valere in separato giudizio ed entro il termine di decadenza previsto dalla stessa norma: “Il titolo per agire ex art. 63 disp. Att. c.c., è costituito dalla delibera che integra, da sola, idonea prova del credito anche nella fase dell’opposizione; in ogni caso, il merito delle delibere emesse dall’assemblea di un condominio non è sindacabile in sede di opposizione ex art. 645 c.p.c. in quanto il legislatore prevede uno specifico e tipico mezzo per l’impugnazione dei vizi dell’atto della volontà dell’assemblea e dei fatti nello stesso rappresentati e che pertanto le questioni accertate o i fatti anteriori alla delibera non possono essere introdotti se non nella sede espressamente prevista dal legislatore”. Tribunale Roma, sez. V, 09/01/2015, n. 378, Cass. 17206/05 e Cass. SSUU 4421/07.

Poiché l’assemblea approva lo stato di ripartizione e le relative scadenze, si tratta di un tipico caso di mora ex re, in cui il debitore non deve necessariamente essere costituito in mora trovandosi in posizione inadempiente al semplice maturare del termine (Cass., 25 febbraio 2014, n. 4489), né la norma fa menzione di ulteriori condizioni per la concessione del decreto oltre allo stato di ripartizione e alla relativa delibera di approvazione.

Il preventivo sollecito  non potrà essere condizione per la richiesta del decreto ingiuntivo neanche sia obbligatoriamente previsto dal regolamento contrattuale: “La mancata preventiva messa in mora del condomino inadempiente, in violazione di norma regolamentare che preveda come obbligatoria la formale contestazione della morosità, non preclude all’amministratore condominiale di agire in via monitoria, potendo – al più – la violazione di tale regola di condotta far discendere in capo all’amministratore medesimo una responsabilità da inesatto adempimento del mandato” Cassazione civile, sez. II, 16/04/2013, n. 9181

Ebbene, accade con frequenza che i Giudici di Pace ignorino o –  peggio – leggano in maniera creativa l’art. 63 disp.att. cod.civ. e omettano di concedere la provvisoria esecutorietà (fatto frequentissimo, ad esempio, presso gli uffici di Roma) oppure pretendano la produzione del  sollecito.

Se ciò rappresenta un piccolo e facilmente “sanabile” abuso in corso di procedimento (Giudice di Pace La Spezia 4.4.2016), diventa davvero inquietante quando tali peculiarità  interpretative conducono a sentenze che destano più di una perplessità (Giudice di Pace Taranto 1.3.2016).

La pronuncia del Giudice pugliese accoglie l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo proposta dal comproprietario di un immobile, sull’assunto che sia onere dell’amministratore effettuare un preventivo sollecito di pagamento, in assenza del quale il decreto deve ritenersi nullo.

Sono diverse le affermazioni “forti” contenute nella pronuncia tarantina.

di fondamentale importanza il decreto ingiuntivo non era stato preceduto da alcuna intimazione e messa in mora; in data 15.10.2014, infatti, il dott. S. riceveva unicamente copia del verbale relativo all’assemblea del 06.10.2014 di approvazione del rendiconto 22.07.2013 – 31.08.2014 nonché copia dello stesso rendiconto senza che, con la relativa lettera di accompagnamento o separato atto di diffida stragiudiziale, gli venisse intimato alcunché;”

“si consideri, infine, che il dott. S. è comproprietario, insieme ad altri eredi, dell’unità (immobiliare sita nel Condominio di via (…) sicché ancora più evidente è l’avventatezza dell’azione giudiziale senza prima accertamento dell’interessamento degli altri partecipanti al pagamento delle quote richieste.”

A tal riguardo, il Condominio opposto non ha provato di aver eseguito la messa in mora nei confronti di tutti gli aventi diritti e comproprietari dell’unità immobiliare e poi la successiva richiesta del decreto ingiuntivo e successiva notifica del precetto ad uno solo degli intestatari dell’unità immobiliare interessata, se ne ricorrono le condizioni, atteso che tutte le spese (compresa la corrispondenza) vanno a carico del condomino inadempiente o moroso. Dette circostanze non possono essere provate tramite testi, in quanto devono essere private solo documentalmente”.

Con buona pace dell’art. 63 disp.att. cod.civ., della solidarietà fra comproprietari di una stessa unità (Cassazione civile, sez. II, 21/10/2011, n. 21907), della mora ex re e anche della Conservatoria RR.II. (la lettura della sentenza farà comprendere le ragioni di tale ultima notazione).

© massimo ginesi 29 luglio 2016