la prova di resistenza della delibera condominiale

Un illustre e assai noto studioso della materia condominiale (Terzago) sosteneva correttamente che la delibera condominiale, epr valutarne la legittimità, dovesse essere sottoposta alla c.d. prova di resistenza, ossia non era sufficiente il raggiungimento della maggioranza prevista dal terzo comma dell’art. 1136 c.c. (un terzo), poichè era anche necessario che non ve ne fosse una più alta di senso contrario (ipotesi non possibile, invece, per le altre maggioranze previste dalla norma).

Il terzo del valore millesimale era dunque idoneo a ritenere raggiunta una valida deliberazione (per le materie che prevedono tale quorum) solo ove gli altri condomini fossero assenti o astenuti, poiché ove un valore più alto di un terzo esprimesse invece parere contrario non si potrebbe ritenere assunta una decisione lecita.

Parrebbe deduzione intuitivo (in un sistema improntato a sistema maggioritario) eppure è concetto che stenta ad affermarsi nelle riunioni condominiali.

una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  ord. 12.11.2020 n. 25558) lo esprime chiaramente, oltre a ribadire i principi (consolidati) che il condomino titolare di più unità immobiliari all’interno del fabbricato (anche se con diversi titoli) valga una sola testa e ove si tratti di condominio minimo, in difeto di unanimità resta solo il ricorso al giudice.

La pronuncia va letta tenuto conto che si riferisce all’art. 1136 c.c. ante novella del 2012 e quindi fa riferimento a maggioranze oggi mutate, ma i prinpci espressi rimangono attualissimi:

“- Questa Corte ha posto i principi secondo i quali, per la validità delle deliberazioni in materia di condominio la legge (anteriore alla novella di cui alla citata L. n. 220 del 2012) richiede in ogni caso che esse siano prese a maggioranza di voti, per cui intanto una deliberazione diventa obbligatoria per tutti i condomini, compresi i dissenzienti, in quanto il numero di coloro che hanno votato a favore, e la entità degli interessi da essi rappresentati, superino il numero dei condomini contrari (Cass. n. 202 del 1966, per la quale, vanno distinte le condizioni per la valida costituzione dell’assemblea da quelle per la validità delle deliberazioni).

L’assemblea in prima convocazione deve considerarsi costituita validamente quando siano presenti tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell’edificio comune e i due terzi dei partecipanti al condominio. In seconda convocazione l’assemblea è validamente costituita da un terzo dei condomini e da un terzo almeno del valore dell’intero edificio. Per la validità delle deliberazioni nel caso di assemblea di prima convocazione, si richiede un numero di voti che rappresentino la maggioranza ossia la metà più uno degli intervenuti all’assemblea e almeno la metà del valore dell’edificio, nel caso di seconda convocazione, e sufficiente un numero di voti che rappresentino il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio tranne che non si tratti di deliberazioni aventi l’oggetto indicato del citato art. 1136, commi 4 e 5, per l’approvazione delle quali e richiesta una diversa maggioranza. Nel secondo caso, perché la deliberazione si intenda approvata, non basta che essa riporti il voto favorevole di un terzo dei partecipanti al condominio, ma occorre anche che i condomini dissenzienti siano in numero inferiore ad un terzo, ovvero che siano presenti in assemblea un terzo dei condomini e non vi siano dissenzienti: conf. Cass. n. 901 del 1980).

In tema di condominio negli edifici, dunque, la regola posta dall’art. 1136 c.c., comma 3, secondo la quale la deliberazione assunta dall’assemblea condominiale in seconda convocazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio, va intesa nel senso che, coloro che abbiano votato contro l’approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore, atteso che l’intero art. 1136 c.c., privilegia il criterio della maggioranza del valore dell’edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza del giudice del merito che aveva ritenuto sufficiente il raggiungimento di una maggioranza di voti favorevoli, pari ad un terzo dei presenti, unitamente alla condizione che essi rappresentassero almeno un terzo della proprietà, ritenendo del tutto irrilevante che la parte contraria alla Delibera detenesse un valore della proprietà superiore a quello della maggioranza del voto personale) (Cass. n. 6625 del 2004).

Alla luce di quanto esposto, risulta pertanto da escludere che potesse operarsi una finzione per cui una sola persona fisica (nella specie la Ca. ) venisse conteggiata come due teste.
Laddove, peraltro, la giurisprudenza è chiarissima nel sostenere che – allorquando i condomini legittimati a partecipare ed a votare nell’assemblea siano soltanto due e manchi la unanimità o comunque vi sia una situazione di parità – l’unica stada percorribile per deliberare sia quella del ricorso alla autorità giudiziaria, come previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 c.c. (cfr. Cass., sez. un., n. 2046 del 2006; Cass. n. 5288 del 2012).”

© massimo ginesi 17 novembre 2020 

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