l’arbitraria occupazione di aree comuni non necessariamente da luogo a risarcimento

Cass.Civ. sez.II ord. 10 gennaio 2019 n. 468 afferma un principio significativo: non necessariamente l’occupazione illecita di un’area comune da parte di un singolo condomino comporta risarcimento del danno in favore degli altri contitolari, ove risulti che tale condotta non ha di fatto impedito l’uso del bene.

Nel caso all’esame della corte un condomino aveva occupato una porzione del parcheggio condominiale con un ampiamento della propria unità, opera abusiva e oggetto di successiva demolizione: la Corte ha tuttavia statuito che “In materia di comunione, infatti, laddove sia provata l’utilizzazione da parte di uno dei comunisti della cosa comune in via esclusiva in modo da impedirne l’uso, anche potenziale, agli altri comproprietari, il danno deve ritenersi “in re ipsa” (Cass. n. 11486 del 2010). Nel caso di specie, la corte d’appello, con accertamento in fatto non suscettibile di sindacato in questa sede, ha ritenuto che, nel caso in esame, non vi fossero elementi per affermare che l’occupazione del suolo condominiale operata dai coniugi C. – L.P. sia stata a tal punto estesa da impedire alla R., in quanto condomina, l’uso, anche solo potenziale, dell’area comune destinata a parcheggio. Ed una volta escluso, in fatto, che l’occupazione, ancorché abusiva e protratta nel tempo, abbia effettivamente impedito alla R. l’uso della area comune, deve, per l’effetto, necessariamente escludersi la sussistenza di un danno risarcibile.

© Massimo Ginesi 14 gennaio 2019

è nulla la delibera che impone spese a colui che si distacca dall’impianto di riscaldamento

è quanto stabilito da Cass.Civ. sez.II ord. 10 gennaio 2019 n. 480 con riferimento alla delibera di un condominio ” nella parte in cui, autorizzandolo a distaccare l’appartamento di … proprietà dall’impianto di riscaldamento centralizzato, poneva a suo carico il 50% delle spese di esercizio dì detto impianto (senza nulla specificare sul suo onere di contribuzione alle spese di manutenzione, riparazione e ricostruzione)”

Osserva la Corte che “il motivo va giudicato fondato, in adesione al recente orientamento di questa Corte che – sulla premessa che le delibere dell’assemblea di condominio con le quali siano stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall’art. 1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento contrattuale, richiedano l’approvazione di tutti i condomini a pena di radicale nullità (cfr. Cass. 16321/16, in motivazione, pag. 9; Cass. 19651/17, in motivazione, pag. 8) – ha chiarito, superando orientamenti precedenti (Cass. 16793/06, Cass. 7708/07), che sono da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e non meramenteannullabili, e perciò impugnabili indipendentemente dall’osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, comma 2, c.c., tutte le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale (Cass. 6128/17, Cass. 19651/17, Cass. 22157/18, Cass. 23222/18);

ne deriva che “la nullità della delibera di assemblea condominiale è rilevabile anche di ufficio anche in appello (Cass. nn. 12582/15, 305/16, 6652/17, 22678/17); per altro verso, va evidenziato che sull’affermazione del tribunale di annullabilità – e non nullità – della delibera impugnata non può essersi formato il giudicato interno, trattandosi non di una statuizione autonoma ma di una argomentazione funzionale all’adozione della statuizione (impugnata dal soccombente) di rigetto della domanda di nullità; che neppure risulta conferente il richiamo del contro ricorrente ai principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 18477/10, giacché nel presente giudizio non si discute dell’approvazione di tabelle millesimali (ossia della determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e della loro espressione in millesimi, la cui erroneità è sempre rimediabile ai sensi dell’articolo 69 disp. att. c.c.), bensì di un criterio di riparto delle spese di un servizio condominiale tra i condomini che di tale sevizio fruiscono direttamente e i condomini che di tale sevizio non fruiscono direttamente; criterio che, essendo definito da un regolamento contrattuale, non può essere modificato dalla maggioranza assembleare, come avvenuto con l’impugnata delibera (sulla corretta individuazione dei principi fissati ìn SSUU n. 18477/10, cfr. Cass. 19651/17, cit., pagg. 6 e segg.);

© Massimo Ginesi 11 gennaio 2019

regolamento di condominio e divieto di destinazione dei locali a ristorazione: una vicenda peculiare


un recente provvedimento della corte di lettimità (Cass.Civ. sez. II ord. 7 gennaio 2019 n. 129) affronta il problema di divieto di destinazione di unità immobiliari poste in condominio contenuto nel regolamento.

Nel caso specifico si trattava di un divieto limitato solo ad alcuni fondi e derivato da un accordo stipulato fra l’originario proprietario e l’acquirente di detta unità, patto poi trasfuso nel regolamento di condominio, e che stabiliva il divieto di adibire ad attività di ristorazione i fondi del piano terrà, salvo quello che si affacciava su un solo lato dell’edificio.

LA Corte di merito (e poi il giudice di legittimità) hanno ritenuto illecito – alla luce di tale divieto, il collegamento di altro fondo – contiguo ma non prospiciente su quella via e di proprietà dello stesso condomino – in quanto , ampliando la superficie destinata ad attività vietata, aggirava il divieto convenzionale.

La Corte di merito ha rilevato, con argomentazione logica e coerente, che l’art. 12 del regolamento condominiale vietava, in via generale, la destinazione di unità immobiliari ad attività di ristorazione, con la sola eccezione di quelle poste al piano terra e prospicenti la via P S.

In presenza di tale inequivoca disposizione, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la mancanza di porzioni evidenziate nella planimetria unita al regolamento condominiale, non potendo attribuirsi a tale mancanza l’ abrogazione o inefficacia della menzionata clausola n.12 del regolamento, in forza della quale era consentito svolgere attività di ristorazione nella sola porzione che, al momento dell’approvazione del regolamento condominiale, era prospicente a via P S., vale a dire il sub 815.

Secondo quanto ritenuto dal giudice di merito, l’art 18 del Regolamento condominiale attribuiva a Caladan la facoltà di unificare più porzioni di sua proprietà, ma non anche quella di aggirare il divieto del citato art. 12, ampliando lo spazio destinato alla ristorazione.

L’ interpretazione della corte territoriale appare dunque conforme non solo al significato letterale del Regolamento condominiale, ma anche al principio di conservazione del contratto ( art. 1367 c.c.) ed alla conformità alla natura ed oggetto del regolamento condominiale (art. 1369 c.c.), che esprimeva la comune intenzione dei contraenti di limitare l’esercizio di attività potenzialmente foriere di immissioni (di rumore, fumo etc. ) nocive , quale quella di ristorazione.”

© Massimo Ginesi 9 gennaio 2019

bar discoteca in condominio e rumore: il regolamento prevale sull’art. 844 cod.civ.


Una signora ottantanovenne lamenta che nel bar al primo piano del Condominio, nei weekend, si tengano feste danzanti che creano grave disturbo per la musica ad alto volume e il rumore.

“La ricorrente ha dedotto che, durante il fine settimana, City Bar srl adibisce il locale a discoteca, provocando “emissioni rumorose e vibrazioni intollerabili che si protraggono fino alle quattro del mattino”, che le impediscono di riposare, hanno addirittura provocato crepe nei muri dell’appartamento e le hanno cagionato danni alla salute, quali insonnia, cardiopatia, aritmia cardiaca, ansia e stress, danni aggravati dalle “intimidazioni” ricevute a seguito delle sue richieste di cessare tale condotta. Ha aggiunto che gli avventori del locale si trattengono numerosi sul marciapiede antistante il ristorante, che non può contenerli tutti, e producono schiamazzi notturni, rompono bicchieri ed altro, ostacolano il passaggio e l’accesso all’edificio.

Tale situazione l’ha costretta, nei giorni di giovedì, venerdì e sabato, a pernottare in albergo ovvero presso conoscenti ed a chiedere altresì “l’assistenza domiciliare del figlio Th. Vi.”.

Ha aggiunto che City Bar srl esercita l’attività di discoteca in assenza delle necessarie autorizzazioni comunali, che tale attività si svolge nel piano seminterrato, privo di uscite di sicurezza, e che essa “utilizza il marciapiede come cosa propria”.

Ha perciò lamentato la violazione degli artt. 844 e 2043 c.c. nonché degli articoli 5 e 6 del Regolamento dell’Edificio, che vietano “feste da ballo”, “riunioni rumorose” e “di recare disturbo” ai vicini, specie di notte; ha altresì dedotto la illiceità penale della condotta, ai sensi dell’art. 659 c.p., per la sua idoneità al disturbo del riposo e delle occupazioni di un numero indeterminato di persone.

Con specifico riguardo al proprietario, ha dedotto la sua responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1585 c.c., nonché anche quella extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2051 c.c..”

Il Giudice (Trib. Milano sez. XIII, 05/12/2018, , n.12316), accogliendo accoglie la domanda, rilevando come le previsioni del regolamento contrattuale, ove siano più restrittive, prevalgano sulla disposizione di cui all’art. 844 cod.civ., consentendo di prescindere dall’accertamento sulla normale tollerabilità previsto da detta norma.

il caso peculiare, poiché riguarda un immobile che non costituisce condominio, trattandosi di bene in comunione , ma che è comunque dotato di un regolamento interno, di cui il giudice sottolinea la differenza cogente rispetto a quello condominiale: aldilà di tale fatto specifico e particolare consente comunque al Tribunale di ribadire un principio consolidato: “In materia di rapporti condominiali, quando l’attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio è idonea a determinare il turbamento del bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre accertare, al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. 844 c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dall’indicata norma generale sulla proprietà fondiaria. Ne consegue che, quando si invoca, a sostegno dell’obbligazione di non fare, il rispetto di una clausola del regolamento contrattuale che restringa poteri e facoltà dei singoli condomini sui piani o sulle porzioni di piano in proprietà esclusiva, il giudice è chiamato a valutare la legittimità o meno dell’immissione, non sotto la lente dell’art. 844 c.c., ma esclusivamente in base al tenore delle previsioni negoziali di quel regolamento, costitutive di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca.trattandosi – nel caso della comunione, di fonte contrattuale che vincola i soli locatori e non anche i conduttori, che non hanno preso parte alla pattuizione”

© massimo ginesi 8 gennaio 2019