attenzione all’uso improprio del box: se i VV.FF. non rilasciano il CPI all’autorimessa, il condomino risponde dei danni

E’ quanto statuisce  Cass.civ. sez. II  26 agosto 2019, n. 21699, rigettando il ricorso di un condomino contro la sentenza della “Corte di appello di Roma del 5.8.2014 che, in parziale accoglimento del gravame del Condominio, lo ha condannato alla riduzione in pristino del box di sua proprietà sia in relazione alle opere murarie, ripristinando l’originaria consistenza, sia in relazione alla destinazione d’uso ad autorimessa o uso compatibile anche ai fini del certificato prevenzione incendi.

Il giudizio era stato promosso dal condominio a seguito del denegato rinnovo della certificazione anticendi in quanto nel box 110 del Ma. si trovavano depositati macchinari di lavanderia ed altri materiali e lo stesso era stato inutilmente invitato a produrre l’autorizzazione al cambiamento di destinazione e diffidato a rimuovere la situazione impeditiva del rilascio della certificazione dei VV.FF.

Il condominio aveva chiesto la condanna alla riduzione in pristino, alla rimozione dei macchinari ed ai danni mentre il Tribunale, nella resistenza del convenuto che aveva dedotto l’avvenuto sgombero dei materiali di lavanderia, aveva rigettato la domanda.

La Corte di appello ha statuito che le modifiche dello stato dei luoghi ed il cambiamento di destinazione avevano determinato una situazione di pregiudizio alla proprietà comune acclarata dai documenti provenienti dai VV.FF.”

LA Corte di legittimità ritiene che le censure mosse siano inammissibili per ragioni eminentemente processuali e, tuttavia, non ravvisando alcun vizio di motivazione, conferma indirettamente la correttezza delle valutazione del  giudice  di appello capitolino, che ha ritenuto la condotta di colui che usa in maniera impropria il box, impedendo al condominio di ottenere la relativa certificazione antincendio dall’autorità competente, come condotta lesiva di beni ed interessi comuni che – come tale obbliga – oltre che alla riduzione in pristino – anche al risarcimento del danno.

Osserva infatti la Suprema Corte che “Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Nel caso di specie non si ravvisano né l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, né un’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.”

© massimo ginesi 9.9.2019

E’ legittima l’ordinanza sindacale che vieta l’uso di autorimessa condominiale che non rispetta le norme antincendio.

 

Rientra fra i poteri del Sindaco l’emettere ordinanze contingibili  ed urgenti volte a scongiurare gravi ed imminenti pericoli per l’incolumità pubblica.

A tale categoria deve essere ascritto anche il provvedimento con cui l’Autorità territoriale imponga al Condominio di non utilizzare i locali destinati ad autorimessa, laddove gli stessi siano risultati  non conformi alle prescrizioni della normativa antincendio sulla scorta di verifica effettuate dai VV.FF.

E’ evidente che si tratta di norme che esulano dallo stretto interesse privatistico connesso ai titolari di diritti in quell’edificio: le prescrizioni dettate per le autorimesse hanno valenza pubblicistica, in quanto volte a prevenire eventi che possono incidere sulla salute e l’incolumità pubblica tout court a fronte della pericolosità e potenziale lesività degli eventi connessi.

Come tale l’ordinanza sindacale  non costituisce provvedimento idoneo ad incidere in via definitiva sui diritti dei singoli ed è legittimamente emessa ove ne sussistano i relativi presupposti di cautela, così come ha stabilito il TAR Sardegna con sentenza 6 luglio 2018 n. 624.

 TAR-Cagliari-624-2018

© massimo ginesi 4 settembre 2018

regolamento locale e principio della prevenzione in tema di distanze.

Ove il regolamento locale preveda una distanza minima dal confine non si applica il principio della prevenzione, anche laddove sul fondo vicino non esistono ancora fabbricati.

E’ quanto afferma Cass.Civ. sez.II 4 giugno 2018, n. 14294 in una ordinanza  che analizza una complessa situazione fra confinanti e che può essere utile leggere per esteso.

Cass_14294_18

“Questa Corte ha affermato che “le disposizioni dell’art. 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 (nel testo fissato dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765), nonché dell’art. 9 del decreto del ministro dei lavori pubblici del 2 aprile 1968 n. 1444, nella parte in cui, per fabbricati ubicati in zone territoriali omogenee, pongono inderogabili distanze minime dal confine (in modo vincolante anche per i Comuni, in sede di formazione degli strumenti urbanistici), hanno carattere integrativo delle norme del codice civile sulle distanze legali, ai sensi ed agli effetti dell’art. 872 cod. civ., e rendono inapplicabile il principio della prevenzione di cui all’art. 875 cod. civ., non invocabile rispetto a distacchi assoluti, fissati con riferimento al confine” (Cass. n. 145 del 2006; cfr. Cass. sez. un. n. 10318 del 2016, secondo cui, nel caso opposto, un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, né prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli artt. 874, 875 e 877 cod. civ.).”

© massimo ginesi 5 giugno 2018 

 

distanze fra costruzioni, giudizio amministrativo e diritti dei privati.

Una articolata e densa pronuncia della Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. II Civile,  16 marzo 2017,n. 6855) fa il punto sulla efficacia delle pronunce emesse dal Giudice amministrativo in ordine alla impugnazione di concessione edilizia nel successivo giudizio fra privati relativo alle distanze fra costruzioni, affrontando anche il problema del rispetto delle distanze fra corpi di fabbrica principali e accessori.

RAPPORTI FRA PRONUNCIA AMMINISTRATIVA E GIUDIZIO CIVILE  “Ed, invero partendo dall’ultima affermazione di parte ricorrente relativa all’efficacia vincolante della pronuncia del giudice amministrativo, e ricordato che si tratta di statuizione emessa in relazione all’impugnativa della concessione edilizia rilasciata in favore dei ricorrenti e concernente il fabbricato oggetto di causa, giova richiamare la giurisprudenza di questa Corte a mente della quale (cfr. Cass. n. 9869/2015) la pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell’esercizio del potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicché non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprietà determinata dalla violazione della normativa in tema di distanze legali, che è posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato.

Ed, invero trattasi di una piana applicazione del generale principio affermato da tempo per il quale (cfr. Cass. S.U. n. 13673/2014) le controversie tra proprietari di fabbricati vicini relative all’osservanza di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che rilevi l’avvenuto rilascio del titolo abilitativo all’attività costruttiva, la cui legittimità potrà essere valutata “incidenter tantum” dal giudice ordinario attraverso l’esercizio del potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo, salvo che la domanda risarcitoria non sia diretta anche nei confronti della P.A. (nella specie, il Comune) per far valere l’illegittimità dell’attività provvedimentale, sussistendo in questo caso la giurisdizione del giudice amministrativo (in termini ex multis Cass. n. 13170/2001; Cass. S.U. n. 333/1999).

L’eventuale accertamento della legittimità del titolo abilitativo della costruzione da parte del giudice amministrativo non preclude una diversa valutazione dell’illegittimità della condotta del privato nella controversia intentata da altro privato a tutela del diritto di proprietà, sicché la decisione gravata, avendo fatto puntuale applicazione dei suesposti principi non appare meritevole di censura.

LA NOZIONE DI FABBRICATO SOTTO IL PROFILO AMMINISTRATIVO E DI COSTRUZIONE SOTTO IL PROFILO CIVILISTICO – Quanto invece alla dedotta erronea applicazione delle previsioni di legge e regolamentari in materia di distanza, il tenore delle norme di cui allo strumento urbanistico locale non consente sulla base della loro formulazione letterale di ritenere che il loro ambito applicativo sia limitato alle sole costruzioni aventi carattere principale.

Il richiamo alla nozione di edifici di nuova costruzione ovvero di fabbricati, in assenza di una puntuale e specifica disciplina dettata per gli edifici aventi carattere cd. accessorio, come riconosciuto da parte degli stessi ricorrenti, non consente di optare per un’interpretazione che ne limiti l’applicazione ai soli edifici aventi carattere principale, posto che anche i manufatti di più contenute dimensioni, quali quelli per i quali si vorrebbe escludere la valutazione ai fini del rispetto delle distanze, appaiono evidentemente riconducibili alla nozione di costruzione di cui all’art. 873 c.c., trattandosi di manufatti stabilmente infissi al suolo che, per solidità, struttura e sporgenza dal terreno, possono creare quelle intercapedini dannose che la legge, stabilendo la distanza minima tra le costruzioni, intende evitare, rispondendo alla tradizionale nozione di costruzione quale recepita dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 5753/2014).

D’altronde proprio la carenza di una specifica disciplina, impone di ritenere come già affermato in passato che (cfr. da ultimo Cass. n. 144/2016) la nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 c.c., è unica e non può subire deroghe da parte delle norme secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio ivi contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una “distanza maggiore”.

Ne discende che, una volta ricondotti gli edifici accessori al novero delle costruzioni in senso civilistico e nell’accezione propria della disciplina in materia di distanze, le previsioni regolamentari che prevedono un distacco tra costruzioni risultano evidentemente applicabili anche a tali manufatti, e che, anche laddove lo strumento urbanistico locale avesse dettato una disciplina difforme, tale deroga dovrebbe reputarsi illegittima, non rientrando nel potere degli enti locali quello di dettare deroghe alla disciplina codicistica in materia di distanze, eccezione fatta per la previsione sopra richiamata, di porre delle distanze maggiori rispetto a quelle di legge.”

LE DISTANZE SI APPLICANO PER EDIFICI SU FONDI DI DIVERSI PROPRITARI E NON FRA EDIFICI POSTI SULLO STESSO FONDO –  Quanto al fabbricato cd. accessorio del C. , di cui non si denunzia la violazione delle norme dal confine, la sentenza ha ritenuto che lo stesso fosse posto in una zona del fondo per la quale le distanze dal confine dell’edificio principale erano ampiamente rispettate e che risultava pertanto in massima parte al di fuori dell’area di distacco quale imposta dallo strumento urbanistico.

Ritiene però la Corte che anche l’eventuale realizzazione in parte del manufatto in oggetto all’interno dell’area di distacco non possa determinare un esito diverso della controversia.
Ed, infatti la previsione di un’area di distacco mira essenzialmente ad assicurare il rispetto delle distanze tra fabbricati edificati su fondi finitimi ed appartenenti a diversi proprietari, non potendosi ravvisare l’illegittimità dal punto di vista privatistico, per costruzioni realizzate eventualmente a distanza inferiore a quella legale o regolamentare sul fondo di un unico proprietario (per un riferimento a tale regola si veda Cass. n. 1918/1973, a mente della quale il principio della prevenzione – in base al quale, fra due proprietari di fondi finitimi, colui che costruisce per primo può o edificare sul confine o a distanza dal confine non inferiore a quella legale oppure a distanza inferiore, costringendo il vicino, che costruisce per secondo, a ristabilire la distanza legale edificando dal confine a distanza maggiore della meta di quella prescritta, a meno che non voglia avanzare la propria fabbrica fino all’altrui costruzione, giovandosi dei rimedi offertigli dall’art. 875 cod. civ. – presuppone un rapporto intersoggettivo, opera tra proprietari di fondi finitimi e non è ipotizzabile come attributo della costruzione con caratteri di realità). D’altronde essendo la proprietà di entrambi i fabbricati, principale ed accessorio, in capo all’attore, i ricorrenti non sono legittimati a dolersi della violazione delle distanze tra le due opere.
Quanto invece alla pretesa violazione della previsione regolamentare che nega la possibilità di costruire nelle zone di distacco, la stessa si riverbera nei soli rapporti con la PA, e determina quindi l’illegittimità dell’opus dal punto di vista amministrativo, ma non incide sulla diversa disciplina in tema di distanze, e sulla possibilità anche per il titolare della costruzione illegittima dal punto di vista amministrativo di pretendere il rispetto delle distanze legali (cfr. Cass. n. 17339/2003; Cass. n. 10850/1998), essendo tale conclusione una piana applicazione del su riferito principio dell’autonomia tra profili pubblicistici dell’attività edificatoria e rapporti interprivatistici.

© massimo ginesi 20 marzo 2017 

le Sezioni Unite sulle distanze fra edifici e il criterio della prevenzione

L’art. 873 cod.civ. prevede una disciplina della distanza fra costruzioni che consente a chi costruisce per primo di obbligare coloro che edificheranno in epoche successive a scegliere se costruire in aderenza oppure rispettare la distanza prevista dalla norma (o quella diversa stabilita dai regolamenti locali, avendo la norma codicistica carattere sussidiario).

Alcune sentenze hanno ritenuto che tale disciplina si applicasse solo all’ipotesi in cui il regolamento comunale imponesse anche una distanza minima dal confine, cosicché il contrasto è giunto alla Corte a sezioni unite affinché si pronunciasse sulla “applicabilità o meno del principio di prevenzione nell’ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra fabbricati maggiore di quella codicistica, senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima delle costruzioni dal confine”.

La Corte si è pronunciata con sentenza 19/05/2016, n. 10318 (il cui testo integrale  può essere letto qui   ) affermando che:

“Il principio della prevenzione si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874, 875 e 877 c.c.”

© massimo ginesi giugno 2016