il mancato esperimento della mediazione travolge anche il decreto ingiuntivo

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Lo afferma il Tribunale di Grosseto con una sentenza recentissima (7 giugno 2016).

Il Tribunale toscano osserva che il D.lgs. 28/2010 prevede che il procedimento monitorio, anche per le materie in cui l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità, sia  svincolato dall’obbligo iniziale di integrare detta condizione.

In ambito condominiale, le esigenze di celerità e di corretta amministrazione che costituiscono la ratio dell’art. 63 disp.att. cod.civ., consentono di ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (e così l’ingiunto potrà proporre opposizione) senza alcun obbligo preventivo di mediazione, almeno sino alla fase di decisione cautelare sulla sospensione o meno della provvisoria esecutorietà.

Esaurita la fase preliminare ed emanati in sede di opposizione i provvedimenti sulla eventuale sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, la controversia assume una naturale connotazione di procedimento di merito sulla pretesa creditoria avanzata dal condominio che, pur assumendo nel giudizio di opposizione  veste formale di convenuto, rimane l’attore sostanziale del procedimento (ovvero colui che aziona la pretesa creditoria).

L’opponente potrebbe a sua volta, in quella sede, avanzare domande ulteriori che assumono natura riconvenzionale, pur avendo a sua volta veste formale di attore (in opposizione).

L’onere di proporre la mediazione, esaurite le fasi preliminari, incombe dunque all’attore sostanziale e, laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, anche all’ingiunto che propone opposizione.

Ove nessuno dei due si attivi, afferma il Tribunale toscano, il giudice dovrà dichiarare l’improcedibilità della domanda (statuizione che chiude il procedimento, ma non incide sull’azione che può essere successivamente  proposta con nuova domanda) e tale sanzione dovrà travolgere sia il giudizio di opposizione che il provvedimento monitorio.

La tesi non è pacifica in giurisprudenza e ha visto, anche di recente, orientamenti opposti ( Tribunale Vasto )

© massimo ginesi 7 luglio 2016 

 

la compensazione fra crediti, liquidità e certezza. la Cassazione fa il punto.

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E’ noto che, con grande frequenza, i condomini che si vedono richiedere quote scadute del rendiconto eccepiscano in posizione (a volte  solo a meri fini strumentali e dilatori) crediti per asseriti  danni subiti nella propria unità immobiliare.

Ed è altrettanto noto che i giudici hanno sempre affermato che mentre il credito condominiale, derivante da uno stato di ripartizione ritualmente approvato, è certo liquido ed esigibile, l’asserito credito da fatto illecito non è né certo, né liquido fino a quando non ne sarà accertata consensualmente o giudizialmente l’entità e dunque detta compensazione non operi legalmente.

Ciò non toglie che ove il credito opposto in compensazione sia di semplice e celere accertamento, possa comunque operare la compensazione in sede giudiziale.

Una recentissima sentenza (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 maggio – 27 giugno 2016, n. 13244) fa chiarezza sul punto.

I ricorrenti affermano che “è del tutto irragionevole ed erronea l’affermazione del giudice d’appello secondo cui il credito della società 1V, & &r.1_ non sarebbe certo e liquido e quindi impedirebbe la compensazione con un credito certo vantato dal condominio. Il requisito della certezza del credito opposto in compensazione non risulta, infatti, previsto dall’art. 1243 c.c., il quale richiede espressamente soltanto che il credito sia liquido (o di facile e pronta liquidazione) c.d. esigibile”.

La Suprema Corte ritiene la doglianza fondata e osserva: “La compensazione presuppone che ricorrano, i requisiti di cui all’art. 1243 c.c., cioè che sì tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di facile e pronta liquidazione). La compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicché la sentenza che la accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi e questo automatismo non resta escluso dal fatto che la compensazione non possa essere rilevata di ufficio, ma debba essere eccepita dalla parte, poiché tale disciplina comporta unicamente che il suddetto effetto sia nella disponibilità del debitore che se rie avvale, senza che sia richiesta una autorizzazione alla compensazione dalla controparte (Cass. 22 ottobre 2014, n. 22324).
La compensazione legale, tuttavia, non può operare qualora il credito addotto in compensazione sia contestato nell’esistenza o nell’ammontare, in quanto la contestazione esclude la liquidità del credito medesimo, laddove la legge richiede, affinché la compensazione legale si verifichi, la contestuale presenza dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito (Cass. 31 maggio 2010, n_ 13208).

La compensazione giudiziale, invece, prevista dall’art. 1243, secondo comma, c.c., può essere disposta dal giudice quando il credito (illiquido) opposto in compensazione sia dì facile e pronta liquidazione.

Questa forma dì compensazione sì distingue da quella legale per il fatto che mentre la prima presuppone la sussistenza (anteriormente al giudizio) di contrapposti crediti liquidi ed esigibili, la seconda presuppone che il debito opposto in compensazione sia illiquido, tua di facile e pronta liquidazione (Cass. 15 ottobre 2009, n. 21923).

L’apprezzamento circa la facile e pronta liquidità va inteso in senso ampio, e dunque anche in riferimento all’an debeatur (Cass. 20 giugno 2003, n. 9904) e costituisce un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. 26 settembre 2005, n, 18775). Il giudice che non riconosca la facile e pronta liquidità del credito opposto in compensazione deve disattendere la relativa eccezione e il convenuto potrà far valere il credito in un autonomo giudizio (Cass. 15 ottobre 2009, n. 21923).

La compensazione giudiziale prevista dall’art. 1243, comma secondo, c.c., presupponendo l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione è fatta valere, non può fondarsi su di un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio ira corso, in quanto tale credito non è liquidabile se non in quella sede (Cross. 25 maggio 2004, n. 10055).

Qualora, invece, il credito illiquido non sia semplicemente opposto in compensazione al solo fîne di paralizzare la domanda della controparte, una in relazione al medesimo sia stata proposta domanda riconvenzionale, il giudice, in forza di quanto disposto dagli artt. 36 e 112 c.p.c., non può spogliarsi della cognizione della controversia, ma, dopo aver provveduto circa la domanda dell’attore, deve pronunciarsi anche in merito al credito fatto valere dal convenuto (Cass. 5 gennaio 2005, n. 157).”

La questione della comprensibilità dei crediti è attualmente pendente, per altri profili dinanzi alle sezioni unite della Corte, profili che la seconda sezione ha ritenuto non ostativi alla pronuncia in commento: “Non vi è invece interferenza con la questione rimessa alle Sezioni Unite a seguito dell’ordinanza dell’11 settembre 2015, n, 18001, vertendosi in quel caso in una fattispecie in cui a non essere certo era il credito opposto in compensazione, in quanto fondato su sentenza non ancora passata in giudicato_ Nel caso di specie, invece, il credito portato in compensazione è senz’altro certo, essendo passata in cosa giudicata in corso di causa la pronuncia dì rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo proposta nei confronti del decreto monitorio su cui si fonda la pretesa della società intimata”

© massimo ginesi giugno 2016

In assenza di adeguate tabelle millesimali, spetta al Giudice stabilire i criteri di ripartizione delle spese condominiali

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 dicembre 2015 – 27 gennaio 2016, n. 1548

Una sentenza non dell’ultima ora, ma che contiene alcuni principi interessanti e vale la pena commentare.

I fatti: il Condominio richiede ed ottiene decreto ingiuntivo sulla scorta di una delibera che approva un rendiconto e l’attribuzione dello stesso per quote ai condomini, pur in assenza di una tabella millesimale legittimamente approvata. A tale decreto propone opposizione il condomino ingiunto, sostenendone  l’illegittima emissione.

La Suprema corte detta alcuni principi essenziali, legati alla prioritaria esigenza di funzionamento della compagine condominiale, all’obbligo di ciascuno di contribuire in forza dei parametri stabiliti dalla legge anche una senza di tabelle, al potere del giudice di stabilire anche d’ufficio e con riferimento alle norme di cui agli artt. 1123 e s.s. cod.civ. l’onere per ciascuno e alla idoneità della sola delibera a consentire l’emissione del provvedimento monitorio.

La motivazione è stringata ma efficace: “Tanto attesa la particolarità della vicenda in esame contrassegnata dalla pacifica assenza di una valida ed approvata tabella millesimale di ripartizione delle spese deliberate dall’assemblea condominiale. Nell’ipotesi la delibera alla cui stregua venivano ripartite le spese (idonea di per sé alla valida emissione dell’opposto D.I.) ben poteva ritenersi non adeguatamente idonea a comprovare nel giudizio di opposizione la pretesa creditoria del Condominio. Tanto in dipendenza dell’accennata inesistenza di valide tabelle eccepita dall’opponente.
In tal caso, tuttavia (e anche al fine di evitare comunque una sorta di esenzione generalizzata del pagamento a carico del debitore) incombeva comunque al Giudice un onere. E tutto ciò alla stregua, anche per effetto del principio di seguito affermato, di una corretta applicazione delle norme invocate con il primo motivo del ricorso in esame.
In particolare vi era un obbligo di verifica dell’esistenza, validità ed efficacia della delibera in conformità del valore delle singole posizioni condominiali anche in assenza tabelle regolari.
Ed, ancora, se la pretesa del Condominio era o meno conforme a criteri di ripartizione. Giova, specificamente e con precipuo riferimento al secondo motivo del ricorso, raffermare il principio già affermato da questa Corte, secondo cui “in tema di riparto di spese condominiali, qualora non possa farsi riferimento ad una tabella millesimale approvata da tutti i condomini, il condomino non può sottrarsi al pagamento della quota, spettando al giudice di stabilire se la pretesa del condominio nei confronti del singolo condomino sia conforme ai criteri di ripartizione che, con riguardo ai valori delle singole quote di proprietà sono stabiliti dalla legge in “subiecta materia”, determinando egli stesso in via incidentale, anche in assenza di specifica richiesta al riguardo, i valori di piano o di porzioni di piano espressi in millesimi” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 30 luglio 1992, n. 9107).
L’esposto, condiviso e qui ribadito principio rinviene la sua evidente ratio nella necessità di assicurare comunque le condizioni di corretta continuità gestionale dell’ente condominiale, atteso che – in assenza di una valida approvata tabella ed al cospetto dell’opposizione di un condominio- non potrebbe comunque crearsi e legittimarsi una situazione di totale sottrazione all’obbligo di contribuire alle spese comuni e, quindi, di paralisi del condominio stesso.”

© massimo ginesi giugno 2016