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Il divieto di nomina dell’amministratore revocato vale solo per l’esercizio successivo

Lo afferma una pronuncia toscana (Trib. Prato 7.9.2023 n. 599) che, con condivisibili argomenti, chiarisce anche che il mero richiamo al compenso degli anni precedenti – dichiarato noto ma non espresso –  non vale ad evitare la nullità della nomina dell’amministratore (interessante anche il rilievo sulla procedibilità dell’accertamento della nullità, pur non dedotta in mediazione, e volta a respingere una bizzarra eccezione delle parti) .

si deve rilevare che, secondo il costante orientamento interpretativo della Corte di Cassazione, il divieto posto dal richiamato art. 1129, c. 13 c.c. a che l’assemblea dei condomini nomini nuovamente l’amministratore revocato giudizialmente è solo temporaneo (non comprimendo definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico) in quanto riguarda soltanto la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione (cfr. tra le tante Cass. 02/02/2023, n. 3198).

L’attore ha quindi censurato la nullità della deliberazione in quanto asseritamente in violazione del disposto dell’art. 1129, c. 14 c.c. poiché non specifica l’importo dovuto a titolo di compenso. ..

L’art. 1129, c. 14 c.c. (ai sensi della quale “l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”) prevede un’ipotesi di nullità testuale della delibera di nomina dell’amministratore condominiale che non rechi (con le precisazioni che saranno di seguito effettuate) la specifica indicazione del suo compenso. Proprio perché la sanzione prevista è quella della nullità (e non dell’annullamento) la contestazione di tale profilo di censura non soggiace al termine decadenziale di 30 giorni, che l’art. 1137, c. 2 c.c. impone esclusivamente per la proposizione dell’azione di annullamento.

Orbene, né la disciplina del codice di procedura civile né tanto meno quella relativa alla mediazione prevede che il giudice che abbia sollevato d’ufficio un’eccezione in una controversia avente ad oggetto una materia per cui la mediazione è condizione di procedibilità, sia tenuto (a pena di improcedibilità del giudizio stesso) a far esperire alle parti un nuovo procedimento di mediazione, dovendo limitarsi ad assicurare che le parti possano prendere posizione su detto rilievo nel pieno rispetto del contraddittorio.

Ma se in caso di rilievo d’ufficio non sussiste alcun obbligo di esperire un nuovo ed ulteriore tentativo di mediazione, la previsione di una imposizione contraria ove il medesimo rilievo sia stato effettuato dalla parti non appare giustificato né giustificabile. Passando quindi al merito della censura, si rileva che a seguito della riforma introdotta con la L. n. 220/2012, la costituzione di un valido rapporto di amministrazione condominiale richiede la sussistenza di un documento, approvato dall’assemblea, che rechi l’importo dovuto a titolo di compenso; la Corte di Cassazione ha evidenziato che detto requisito formale può ritenersi soddisfatto anche in presenza di un richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso (cfr. Cass. 22/04/2022, n. 12927). Tale previsione mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, è tassativa e non ammette equipollenti.

Nel caso di specie al punto 2 della delibera del febbraio 2022 si legge che “i condomini presenti all’unanimità respingono le dimissioni e riconfermano l’attuale amministratore confermando anche il preventivo di spese annuali di loro conoscenza”. Lo scrivente Tribunale non ritiene che detta dizione soddisfi i requisiti imposti dalla citata previsione legislativa in ragione della sua genericità; né tanto meno nella nomina del febbraio 2022 può leggersi alcun rinvio al preventivo allegato sub lett. A) alla delibera del 17/05/2021, posto che il dato testuale della delibera impugnata non offre alcun indizio della coincidenza tra il “preventivo di spese annuale” dalla stessa richiamato e il preventivo allegato alla delibera del maggio 2021.

Il fatto, poi, che l’importo richiesto dall’amministratore a titolo di compenso fosse uguale a quello degli anni precedenti non permette di ritenere sanata l’omessa indicazione dello stesso nella delibera di nomina.

l’amministratore che mente all’assemblea deve essere revocato, anche se si tratta di condotta episodica e dalla quale non deriva danno

E’ quanto è stabilito la Corte d’Appello di Torino in data 17.11.2022, confermando la decisione del Tribunale sabaudo, decisione che dunque assumere carattere di definitività non essendo ammesso – in tale procedimento – il ricorso in cassazione per i profili di merito 

Nel caso in questione l’amministratore ha falsamente riferito all’assemblea dell’esistenza di un’ordinanza sindacale che imponeva lavori urgenti di manutenzione alla facciata, provvedimento poi rivelatosi inesistente. La decisone della Corte piemontese è interessante, laddove si sofferma sulla rilevanza della condotta dell’amministratore, anche se la stessa non ha inciso sulle decisioni dell’assemblea, non ha cagionato danno e quell’amministratore fosse stato comunque confermato.

Osserva la Corte piemontese  che “Tuttavia, se per un verso può in effetti ritenersi non irrilevante che con tale diversa pronuncia sia stato escluso che la condotta de quo abbia avuto concreta incidenza sul deliberato assembleare, per altro verso deve notarsi che si tratta di questioni comunque diverse, e che la condotta dell’amministratore deve essere valutata, come già indicato, in relazione anche alle sue potenziali incidenze sulle decisioni da assumere, nonché sui doveri dell’amministratore nel rapporto fiduciario con i condomini.

Analoghe considerazioni valgono per l’assenza di danno: il fatto che, in concreto, non vi sia stata lesione di diritti o interessi dei condomini, non esclude che detta condotta potesse potenzialmente cagionare danni.

Così circoscritte le circostanze di fatto e in specie la condotta addebitata all’amministratore, che può ritenersi accertata nei termini di cui si è detto, occorre valutare se la stessa abbia integrato o meno una “grave irregolarità”, sia pur ulteriore e diversa rispetto a quelle tipicizzate, con un‘elencazione pacificamente da ritenersi non tassativa, dall’art. 1129 c.c., e se le decisioni della maggioranza dei condomini possano o meno avere rilievo in tale valutazione.

Il fatto che la maggioranza dei condomini non l’abbia ritenuta una condotta costituente ragione di revoca dell’amministratore, respingendo la domandaavanzata in questo senso da alcuni condomini e anzi poi rinnovando il mandato allo stesso amministratore, sia a immediato seguito dei fatti in causa, sia ulteriormente nel 2021, mentre, per converso, questa sarebbe la “terza causa nell’arco di un anno” instaurata contro l’amministratore da parte dei Ricorrenti (le due precedenti conclusesi con reiezione delle domande dagli stessi presentati), non può essere considerato di rilievo sul punto: la revoca giudiziaria è strumento che consente a ciascun condomino, anche se in minoranza o del tutto isolato rispetto alla diversa volontà degli altri condomini, di sottoporre a giudizio la ritenuta sussistenza di irregolarità di gestione.

L’incarico di amministratore di condominio è qualificabile come un mandato con rappresentanza, certo conferito collettivamente dall’assemblea dei condomini, con decisione maggioritaria, ma questo non esclude che ogni condomino mantenga individualmente il diritto, scaturente da tale rapporto di mandato, di cui comunque è parte, a che la gestione dei beni comuni avvenga in maniera pienamente corretta e regolare, sussistendo in capo a ciascun condomino/mandante un potere di controllo sull’esecuzione del mandato gestorio

Né l’antecedenza del fatto in causa rispetto alla successiva rinnovazione del mandato esclude la sua valutabilità, in specie considerando l’espressa previsione legislativa, contenuta nello stesso art. 1129 c.c., secondo la quale, in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato, quantomeno in relazione all’esercizio immediatamente successivo alla revoca.

Dalla clausola generale prevista dall’art. 1129 c.c., che contempla la revoca giudiziaria dell’amministratore “in caso di gravi irregolarità”, deriva poi che debbono valutarsi a tal fine, oltre alle specifiche previsioni dell’art. 1129 c.c., tutte quelle condotte, commissive o omissive, che possono costituire inadempimento del mandato conferito all’amministratore di condominio.

Il riferire, nel corso di un’assemblea condominiale, un fatto non corrispondente al vero, in specie l’assunzione, da parte del Comune, di un’ordinanza al cui rispetto il Condominio sarebbe stato tenuto, in riferimento a una questione posta all’ordine del giorno e possibile oggetto di delibera assembleare, è condotta che, anche ove tenuta in una sola occasione e senza che dalla stessa ne siano derivati in concreto dei danni, risulta oggettivamente in contrasto, oltre che con il dovere di diligenza nell’adempimento del mandato, di cui agli artt. 1176 e 1710 c.c., richiamati dal Tribunale, anche con l’obbligo di comportarsi secondo le regole della correttezza, di cui all’art. 1175 c.c., e mina il rapporto fiduciario che deve sussistere fra condomini e amministratore.

Correttamente, pertanto, tale condotta è stata qualificata dal Tribunale come grave irregolarità di rilievo ex art. 1129 c.c.. 

Il presentato reclamo non può pertanto trovare accoglimento”

Decisamente curioso, infine, che destinatario di tale provvedimento sia soggetto che riveste carica apicale in notissima associazione di settore, come è facilmente verificabile con una breve ricerca sul web, ove la notizia ha avuto qualche eco di stampa.

© MG 2.10.2023

 

 

condominio: spese straordinarie anche all’ex coniuge comproprietario

E’ quanto ha ribadito, secondo un orientamento ormai costante, il Tribunale di Velletri con sentenza 4.9.2023 n. 1657, resa nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal coniuge separato e non assegnatario dell’immobile:

“Costituisce fatto pacifico che l’immobile sito in M viale dell’A che ha originato le spese straordinarie condominiali richieste con il decreto ingiuntivo opposto, è in comproprietà tra le parti al 50% ciascuno. E’, altresì, pacifico che l’immobile sia stato assegnato alla R con i provvedimenti del divorzio.

Sul punto va ricordato che l’amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per l’esercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioé dall’effettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare.

Poi, più nello specifico, per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali inerenti alla casa familiare oggetto di assegnazione in sede di separazione o di divorzio, vanno distinte le spese che sono dovute dal coniuge assegnatario, il quale utilizza in concreto l’immobile (per esempio, servizio di pulizia, riscaldamento) e quelle che rimangono a carico del coniuge proprietario esclusivo dell’immobile (per esempio, spese di manutenzione straordinaria) (Cass. civ. 24 luglio 2000, n. 9689).

Dunque, sulla base di tali linee interpretative, é chiaro che le spese condominiali, di cui non è contestata la natura straordinaria, sostenute dalla R in relazione all’immobile debbano gravare nella misura del 50% in capo al S.
Ciò posto appare assolutamente irrilevante la circostanza che il S non possa godere dell’immobile in quanto il medesimo viene legittimamente utilizzato dalla R in forza del dell’assegnazione disposta con i provvedimenti del divorzio (cfr. doc. in atti).
Poi, le doglianze sollevate con riguardo alla mancata partecipazione alle assemblee condominiali risultano inconferenti rispetto all’obbligazione cui il S è tenuto, considerato che esse attengono esclusivamente al rapporto tra il comproprietario S ed il Condominio (nei confronti del quale avrebbe dovute farle valere) e non a quello con l’altro comproprietario.
Anche la circostanza riferita dal S, secondo cui le comunicazioni del Condominio contengono il solo nominativo della R, costituisce un fatto irrilevante in questa sede, che doveva essere tempestivamente rappresentato all’amministratore di condominio ed inidoneo, di per se solo, ad escludere l’obbligazione pecuniaria gravante sul comproprietario.”

@MG 25.9.2023

terrazza a livello: legittimazione e responsabilità per i danni da infiltrazioni

Una recente pronuncia del Tribunale apuano (Trib. Massa 26.4.2023) affronta un tema peculiare: la domanda rivolta da un singolo condomino unicamente al proprietario esclusivo  di una terrazza a livello, sia in ordine ai danni patiti che alla eliminazione delle cause di infiltrazione.

Osserva il Tribunale che. “La circostanza che si tratti di responsabilità extracontrattuale ex art 2051 c.c. comporta che sussista fra i diversi responsabili solidarietà ex art 2055 c.c. e che, pertanto, la domanda possa essere accolta – con riferimento ai danni subiti dall’attrice – nell’ambito di tale previsione, secondo costante orientamento di legittimità: “La responsabilità per i danni derivanti dal lastrico solare o dalla terrazza a livello il cui uso non sia comune a tutti i condòmini deve essere ricondotta nell’ambito della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., con la conseguenza che dei relativi danni rispondono sia il proprietario, o usuario esclusivo quale custode del bene, sia il condominio in forza degli obblighi inerenti all’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore, ai sensi dell’art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condòmini ex art. 1135, comma 1, n. 4 c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria. Ne consegue che il rapporto di responsabilità che si instaura tra i diversi soggetti obbligati va ricostruito in termini di solidarietà, ai sensi dell’art. 2055 c.c., con esclusione del litisconsorzio necessario di tutti i presunti autori dell’illecito, sicché il danneggiato ben può agire nei confronti del singolo condòmino, senza obbligo di citare in giudizio gli altri.” (Cass. 516/2022).

La domanda relativa all’adozione delle opere necessarie a ripristinare l’efficienza della terrazza andrà invece rivolta al condominio (né parrebbe che sia stata esplicitamente azionata in questa sede), così come resta salva – aldilà del meccanismo di solidarietà previsto dall’art. 2055 c.c. – la facoltà dei convenuti di agire nei confronti del condominio per vedere imputato il danno, nei rapporti interni, secondo le previsioni di cui all’art. 1126 c.c. (o della diversa proporzione che dovesse risultare provata in quella sede).”

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© MG 20.9.2023

cappotto termico: quando la delibera è nulla

la decisione assembleare con la quale il Condominio decide di procedere all’installazione del c.d. cappotto termico può incorrere in vizi di nullità ove preveda una significativa incidenza dell’installazione sul decoro dell’edificio o una riduzione dello spazio utile dei balconi individuali.

in tal senso si è espressa di recente una pronuncia di merito (il Tribunale Sulmona 1.8.2023 n. 234) osservando che “nel caso di specie-, dall’analisi della documentazione fotografica e del progetto approvato per i lavo:ri di manutenzione, risuJta che i pannelli per l’istallazione del cappotto te:rmico verranno applicati sulla facciata modificandone completamente l’aspetto esteriore (in particolare eliminando la parete in pietra e quella con mattoni a vista). E’ evidente che l’intervento deliberato altera sensibilmente la fisionomia dell’intero edificio e della facciata stessa, ragion per cui modifica/altera in maniera evidente il decoro architettonico dell’edificio, rendendo la delibera, che lo approva solo a maggioranza dei condomini, nulla perché contraria all’art. 1120 c.c.

Osserva ancora il Tribunale che “anche volendo superare la questione dell’alterazione del decoro architettonico dell’edificio, in ogni caso la delibera, al punto 3 dell’ordine del giorno, è nulla in quanto approva un intervento che incide sulla proprietà esclusiva dei condomini senza che vi sia stato il loro consenso unanime.

Come evidenziato dai ricorrenti, infatti, l’intervento di istallazione del cappotto termico sopra descritto, oltre a modificare la facciata dell’edificio condominiale, comporta una riduzione considerevole della profondjtà del terrazzino di proprietà esclusiva dei condomini, con w1.a riduzione dello spazio da 62 cm a 46/47 cm oltre che una modifica della ringhiera attualmente presente.”

Nel senso della pronuncia in commento si  pongono diversi recenti arresti (Cass. civ. 17920/2023, Trib. Roma 11708/2023).

© MG 18.9.2023

impianto idrico e responsabilità dell’appaltatore ex art 1669 c.c.

la rottura dell’impianto idrico, che non pregiudichi la somministrazione dell’acqua e non incida sull’immobile, cagionando infiltrazioni ma comporti solo notevoli esborsi per consumi, non rientra nei gravi vizi dell’immobile e non può essere ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 1669 c.c.

E’ quarto afferma Cass.civ. sez. II  23.6.2023 n. 18061:

“T.M. convenne in giudizio innanzi al Giudice di pace la s.r.l. (Omissis) e la s.r.l. (Omissis) Espose l’attore ei essere proprietario d’un appartamento facente parte di un complesso condominiale costruito dalla (Omissis), successivamente incorporata nella s.r.l. (Omissis), con appalto alla s.r.l. (Omissis); che a diversi anni di distanza dalla conclusione dei lavori, a causa della rottura di un tubo di adduzione idrica, la ingente dispersione d’acqua protrattasi nel tempo aveva procurato un abnorme consumo idrico, per il quale l’esponente aveva dovuto corrispondere la somma di Euro 3.551,35, oltre ad avere dovuto affrontare il costo per il ripristino del guasto, ammontante a Euro 188,76. Chiese, pertanto, condannarsi le convenute a risarcire il danno patito.

L’adito Giudice rigettò la domanda, avendo escluso che il vizio riscontrato potesse qualificarsi grave difetto ai sensi dell’art. 1669 c.c.

Il Tribunale di Forlì, investito dall’impugnazione del T., sovvertì l’epilogo di primo grado e condannò la (Omissis) a risarcire il danno..

In punto di diritto va richiamato il condiviso principio, secondo il quale in tema di responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore, il difetto di costruzione che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., legittima il committente alla relativa azione, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo (Sez. 2, n. 11740, 01/08/2003, Rv. 565595; conf. Cass. n. 8140/2004).

L’esposto principio presuppone, come si è visto, che il difetto incida negativamente sul godimento dell’immobile.

Nel caso in esame, per vero, non consta esservi stata alcun riflesso negativo sul godimento dell’immobile, il quale ha regolarmente goduto della fruizione dell’acqua potabile, stante che il guasto consistito, in una lesione di un giunto esterno del tubo d’adduzione, sebbene ebbe a procurare dispersione idrica, senza tuttavia causare danni all’immobile (non vengono segnalati fenomeni d’infiltrazioni), allo stesso tempo, non impedì, e neppure limitò, l’afflusso d’acqua per i servizi idrici dell’immobile. Inoltre, si ebbe a trattare di un guasto del tutto marginale, riparato con l’esborso di poche decine di Euro.

Pertanto, enunciato il seguente principio diritto: “il danno alle condutture esterne, ove non incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile, non costituisce difetto costruttivo ai sensi dell’art. 1669 c.c.”, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.”

© MG 13.9.2023

il condominio non risponde in solido con l’appaltatore per il mancato versamento dei contributi INPS

é quanto ha statuito Cass.civ. sez. lav., 10/07/2023, n.19514 osservando che

“Il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, i quali sono persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriali o professionali. Ne consegue che, quando un condominio è committente in un contratto di appalto, esso non è anche responsabile in solido con l’impresa appaltante per la retribuzione e il versamento dei contributi dei lavoratori impiegati per la realizzazione delle opere. Il condominio, infatti, non svolge attività di impresa, non partecipa per propri scopi istituzionali al decentramento produttivo e non assume, soprattutto ai fini lavoristici, un rilievo giuridico diverso da quello dei singoli condomini, posto che si tratta di un ente di gestione dei beni comuni.”

la Corte ha infatti precisato che “come è noto, (Cass. n. 2169 del 2022; Corte Cost. n. 254 del 2017) la ratio dell’introduzione della responsabilità solidale del committente è quella di evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale;

la solidarietà mira a disciplinare la responsabilità in tutte le ipotesi di dissociazione fra la titolarità del contratto di lavoro e l’utilizzazione della prestazione, assicurando in tal modo tutela omogenea a tutti quelli che svolgono attività lavorativa indiretta, qualunque sia il livello di decentramento (Cass. n. 25172 del 2019);

il limite soggettivo positivo a tale estensione è dato dalla qualità di imprenditore o di datore di lavoro del committente, mentre quello negativo è integrato dalla esplicita esclusione, per effetto del comma 3 bis, dall’attrazione dell’orbita della solidarietà delle persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale;

e’ così esclusa dalla solidarietà tanto la persona fisica che appalta i lavori di ristrutturazione di un proprio immobile, quanto il condominio di immobili;

il condominio, infatti, non svolge attività d’impresa, non partecipa per propri scopi istituzionali al decentramento produttivo e non assume, soprattutto ai fini lavoristici, un rilievo giuridico diverso da quello dei singoli condomini (cfr. Cass., 11 gennaio 2012, n. 177; vd. Cass. SS.UU. n. 10934 del 2019) posto che si tratta di un ente di gestione dei beni comuni”

© MG 11.9.2023

 

sulla legittimazione processuale del singolo condomino

Una interessante pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  14.7.2023 n. 20282 rel. Scarpa) traccia, con mirabile analisi, i confini della legittimazione del singolo condomino ad agire in giudizio, sia per materia che con riguardo alla successione nella titolarità del rapporto,  riprendendo orientamenti già delineati dalla Corte e chiarendo come per talune ipotesi – ove si discuta del diritto di credito di un terzo azionato contro il condominio – sussista  unicamente legittimazione dell’amministratore senza che concorra con quella la possibilità di attivarsi del singolo.

Nel caso specifico la Corte ritiene inammissibile il ricorso per cassazione avanzato dal singolo in vicenda processuale azionata contro il condominio dall’ex amministratore per ottenere il pagamento delle proprie competenze .

E’ noto che la sentenza delle Sezioni Unite n. 10934 del 2019 ha ribadito la sussistenza dell’autonomo potere individuale di ciascun condomino ad agire e resistere in giudizio a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni.

La qualità di condomino, cui sono collegati la legittimazione e l’interesse ad agire e resistere in giudizio a tutela dei diritti reali sulle parti comuni, deve sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia, salvo il funzionamento della disciplina della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., in forza della quale, a seguito del trasferimento in corso di causa per atto inter vivos della titolarità del diritto di condominio correlata alla proprietà esclusiva di una unità immobiliare, gli effetti del provvedimento giurisdizionale che definisce la lite finiscono per incidere in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto.

Viceversa, in ipotesi di azioni avendo ad oggetto i crediti o i debiti correlati pro quota alla titolarità del diritto di condominio, la cessione di quest’ultimo non comporta il venir meno della legittimazione dell’originario condomino (arg. da Cass. Sez. Unite n. 9449 del 2016). In particolare, l’obbligo di contribuzione alle spese condominiali non è un diritto primario, a differenza del diritto di proprietà, sicché la successione nel sottostante rapporto sostanziale di titolarità dell’unità immobiliare non determina da sé sola il trasferimento dell’interesse ad agire con riguardo a tale rapporto di obbligazione.

Prima ancora di interrogarsi sul profilo della legittimazione spettante ad P.A., quale “condebitore”, rispetto alla azione contrattuale intentata dall’ex amministratore del Condominio di (Omissis) S.C. per il pagamento delle sue spettanze arretrate, occorre affrontare il punto della legittimazione dello stesso ad impugnare individualmente la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del condominio, convenuto in giudizio dal terzo creditore in persona dell’attuale amministratore agli effetti dell’art. 1131 c.c..

Il ricorso per cassazione è stato infatti proposto, come detto, da P.A., singolo condomino del Condominio di (Omissis), mentre la sentenza oggetto di ricorso è stata pronunciata nei confronti dell’amministratore del medesimo Condominio (Omissis).

Il giudizio ha ad oggetto il credito vantato nei confronti del Condominio dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129 c.c., commi 14 e 15): crediti, dunque, fondati sul contratto di amministrazione che intercorre con i condomini e concluso a seguito della nomina deliberata dall’assemblea.

Come già affermato da questa Corte, l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il pagamento dei compensi arretrati ed il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento dell’incarico di amministrazione, il quale, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti), sia, cumulativamente o alternativamente, nei confronti di ogni singolo condomino. L’obbligazione dei condomini di rimborsare all’amministratore le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico e di retribuirne l’attività può considerarsi sorta nel momento stesso in cui sia avvenuta l’anticipazione o sia stata svolta l’attività, e non può dirsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, la quale amplia, piuttosto, la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

Occorre considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. n. 8530 del 1996; n. 13505 del 2019; n. 1851 del 2018; n. 10371 del 2021).

Quella in esame è dunque controversia promossa nei confronti del condominio da un terzo creditore per ottenere il pagamento di obbligazione contratta nell’interesse comune dei partecipanti; nella specie, sono stati azionati i diritti e gli obblighi derivanti dall’incarico collettivo conferito dall’assemblea dei condomini all’amministratore. La causa, perciò, ha ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, quanto le esigenze collettive della comunità condominiale, strutturate sulla base di un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, senza alcuna correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini.

Nelle cause di questo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore nominato dall’assemblea, ai sensi dell’art. 1131 c.c., non essendo perciò ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio evocato e costituito in giudizio tramite il suo rappresentante.

I principi enunciati da Cass. Sez. Unite n. 10934 del 2019, confermano che il potere di impugnazione del singolo condomino, nel giudizio in cui sia risultato soccombente il condominio, sussiste nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota sui beni comuni, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di condominio di ciascun partecipante (Cass. n. 5811 del 2022; n. 40857 del 2021; n. 2636 del 2021; in precedenza, n. 27416 e n. 2411 del 2018; n. 29748 del 2017; n. 19223 del 2011; n. 9213 del 2005; n. 6480 del 1998; n. 2393 del 1994)..

Ora, è vero che questa Corte ha ancora di recente ammesso la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a precetto e opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ove gli sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un provvedimento monitorio non opposto ottenuto nei confronti del condominio (Cass. n. 5811 del 2022).

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131 c.c., comma 2, in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

Il ricorso va, perciò, dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.”

© MG 8.9.2023

asilo in condominio:quando il regolamento lo vieta

La Corte di legittimità, con ampia ed interessante pronuncia (Cass.civ. sez. II 30.5.2023 n. 15222 rel. Scarpa) ha affrontato il complesso tema delle azioni esperibili contro il conduttore che violi il regolamento contrattuale del condominio, destinando l’immobile a lui locato ad attività di asilo, laddove la stessa debba intendersi vietata  dal testo regolamentare.

La pronuncia contiene numerose riflessioni attinenti al profilo sostanziale e processuale dell’azione, avuto riguardo alla legittimazione passiva del conduttore, al litisconsorzio necessario con il locatore condomino nonché all’eventuale azione del singolo volta a far accertare la nullità della clausola contrattuale (che vede  la legittimazione necessaria di tutti gli altri condomini): per l’ampiezza e finezza di analisi merita lettura integrale.

Sul tema specifico del divieto di destinazione ad asilo, la corte – che cassa con rinvio – suggerisce una lettura restrittiva delle clausole limitative, così che l’attività di asilo dovrà essere attentamente valutata dal giudice di merito con riguardo alle espressioni utilizzate nel testo regolamentare:

“Nella interpretazione, invece, del divieto di “destinare gli alloggi a uso sanitario, gabinetti di cura, ambulatorio per malattie infettive e contagiose, scuole di musica, di canto, di ballo e pensioni”, occorre preservare il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, avendo riguardo alle limitazioni enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito, e cioè alla elencazione delle attività vietate risultanti dall’atto scritto, non potendosene desumere ulteriori e diverse in ragione delle possibili finalità pratiche perseguite dai condomini contraenti in rapporto ai pregiudizi che si aveva intenzione di evitare (quale, ad esempio, evitare tutte le attività parimenti “rumorose”).

3. Alla stregua dei principi enunciati, dovrà procedersi in sede di rinvio ad accertare se l’art. 9 del regolamento condominiale fosse opponibile alla condomina locatrice Talvera s.a.s. e se lo stesso rechi un divieto chiaro ed esplicito di destinare le unità immobiliari di proprietà esclusiva ad asilo nido.”

DA parte della giurisprudenza di merito si è altresì  ritenuto di recente (Trib. Bergamo 20 giugno 2023, n. 1326)  che, ove il regolamento  contrattuale vieti tout court usi diversi da quello di civile abitazione, debba ritenersi vietata anche la destinazione a home schooling: “Il regolamento condominiale vieta di adibire le unità immobiliari a destinazione diversa dall’abitazione.Tale regolamento, formato dal costruttore, ha natura contrattuale, essendo richiamato nei titoli di acquisto, ed è stato debitamente trascritto (do cc. 5 – 6 attore).L’attività di scuola parentale ricade indubbiamente nel divieto, trattandosi di una destinazione diversa da quella di civile abitazione.Non rileva che essa sia lecita dal punto di vista scolastico ed espletata a titolo gratuito, interessa soltanto l’aspetto condominiale.La previsione regolamentare è chiara ed esplicita, e non dà adito ad alcun dubbio o ince1tezza: essendo vietate tutte le attività diverse dall’uso abitativo, non pare necessaria l’elencazione analitica delle stesse. Infatti, è del tutto evidente l’intento di prevedere una destinazione esclusivamente abitativa delle unità collocate all’interno dell’edificio condominiale.

Non vi è, pertanto, la necessità di procedere ad un’interpretazione della norma, giacché in claris non fit interpretatio (arg. ex Cass. n. 21307/2022: “I divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l’individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l’ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti.”

Taluni interpreti hanno ritenuto che il giudice lombardo si sia discostato dalla recente pronuncia di legittimità, ma così non è, poiché le due statuizioni perseguono piani contigui ma non coincidenti: la pronuncia di legittimità esclude interpretazione estensive,  a fronte di una elencazione generica della clausola regolamentare che indichi le attività espressamente vietate; il giudice di merito si limita a rilevare che l’attività di asilo non può esser ricondotta all’uso di civile abitazione, unico ammesso in quel fabbricato  per accordo negoziale fra i condomini (si veda, in tema di  uso per civile  abitazione  niente bed & breakfast se il regolamento vieta attività commerciali ).

Cass_15222_2023

© MG 5.9.2023

 

l’assemblea non può maggiorare le spese di ascensore per l’unità immobiliare destinata ad ufficio

E’ quanto ribadisce Cass.civ. sez. II  ord. 18.7.2023 n. 20888 rel. Scarpa, facendo applicazione di principi consolidati in materia.

Osserva la Corte che “E’ dunque nulla la delibera condominiale adottata a maggioranza degli aventi diritto (quale quella di cui al punto 3 della riunione del 5 novembre 2008 oggetto di causa), con cui l’assemblea (nella specie, “preso atto dei disagi provocati dall’ufficio” sito in una delle unità immobiliari di proprietà esclusiva) stabilisca un onere maggiorato di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica dei criteri legali (nella specie, ex art. 1124 c.c.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione (eventualmente tradotta in una delibera assembleare totalitaria, conclusa con l’intervento e con il consenso di tutti i componenti del condominio), ed anche perché il criterio di riparto in base all’uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal comma 2 dell’art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, né in particolare alle spese di funzionamento dell’ascensore, con riguardo alle quali l’applicazione dell’art. 1124 c.c. già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani.

Il comma 2 dell’art. 1123, allorché disciplina il riparto delle spese “in proporzione all’uso”, riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di condominio, e non dipende, invece, dal godimento effettivo che il singolo partecipante tragga in concreto dal bene in dipendenza del soddisfacimento delle proprie esigenze abitative o professionali, correlate all’attuale destinazione impressa all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 1511 del 1997; n. 6359 del 1996; n. 5179 del 1992; n. 13160 del 1991).

12. Sempre in base ai principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c.; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca soltanto vizi comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.”

appare interessante il corollario che deriva da tale interpretazione, con riguardo ai rendiconti che risultino successivamente predisposti in forza di una criterio di imputazione in deroga alla legge e, quindi,  derivante da delibera nulla La dichiarazione di nullità della delibera dell’assemblea condominiale con cui si approva a maggioranza un criterio derogatorio al regime legale di ripartizione delle spese non genera, quindi, una nullità per propagazione dei rendiconti successivi ad essa che abbiano fatto applicazione di tale criterio. Piuttosto, una volta conseguita la dichiarazione di invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea (come può argomentarsi dall’art. 2434-bis c.c., dettato in tema di società).”

© MG 4.9.2023