locazione: la registrazione tardiva del contratto sana la nullità.

La giurisprudenza ha anche di recente affermato che la registrazione costituisce presupposto di validità del contratto e che, in sua assenza, la pattuizione è nulla e improduttiva di effetti.

Oggi ritorna sul tema, chiarendo che  se le parti procedono ad un registrazione  tardiva, l’adempimento è idoneo a sanare il vizio.

 Cass.civ. sez. VI 6 settembre 2017 n. 20858 afferma che  “il giudice di primo grado aveva ritenuto nullo il contratto di locazione originariamente stipulato dalle parti, in quanto non registrato, affermando che la registrazione operata dal conduttore nel 2014 non era ad esso riferibile, ma ad un diverso contratto, a sua volta nullo per difetto di forma scritta.

La corte di appello – in accoglimento peraltro del gravame dello stesso L. – lo ha, al contrario, espressamente considerato valido, dichiarando nulla (in quanto simulata) solo la clausola relativa alla sua transitorietà.

Ha di conseguenza accertato la sussistenza di una ‘locazione abitativa ordinaria’ con decorrenza dal 1 dicembre 2007 (e scadenza al 30 novembre 2015), avendo escluso la stipulazione di un diverso successivo contratto verbale, e avendo ritenuto configurabile un ‘contratto unico, pur non registrato (se non successivamente, nel gennaio 2014, subito dopo l’introduzione del presente giudizio) all’epoca’.

Ha cioè (implicitamente, ma inequivocabilmente) ritenuto che la registrazione tardiva del contratto di locazione originariamente stipulato dalle parti non fosse di ostacolo all’accertamento della sua validità.

Sotto questo aspetto, la decisione è conforme al recente indirizzo di questa Corte (specificamente riferito alle locazioni per uso commerciale, ma in base ad un principio valido anche in relazione a quelle per uso abitativo) secondo cui ‘in tema di locazione immobiliare (nella specie per uso non abitativo), la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi dell’art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, una nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., la quale, in ragione della sua atipicità, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria nella legislazione succedutasi nel tempo e dall’istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti ‘ex tunc’ dalla tardiva registrazione del contratto stesso, implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l’esigenza di contrastare l’evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonché con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributarla con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998′ (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 28/04/2017, Rv. 644006 – 01).

È opportuno sottolineare che, secondo quanto espressamente precisato nella decisione appena richiamata, quella della nullità del contratto non registrato costituisce fattispecie differente rispetto a quella (presa in considerazione dalla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 18213 del 17/09/2015, Rv. 636471 – 01) che si determina in caso di pattuizioni volte a determinare un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, laddove sussista cioè tra le parti un vero e proprio accordo simulatorio in relazione all’entità del canone, onde ad essa non è comunque applicabile l’art. 13, comma 1, della legge 9 dicembre 1998 n. 431, invocato dal ricorrente, e riguardante esclusivamente tale diversa fattispecie.”

© massimo ginesi 11 settembre 2017 

opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, una sentenza interessante

Cass.civ. sez. II  28 giugno 2017, n. 16211 affronta con pragmatismo e rigore interpretativo una questione interessante, che coinvolge le notifiche effettuate in proprio dal difensore.

La legge 53/1994 consente all’avvocato  di procedere in via autonoma alla notifica degli atti giudiziari a mezzo posta – dunque senza ricorrere all’ufficiale giudiziario – provvedendo alla spedizione del plico mediante raccomandata ed annotando in apposito registro cronologico i dati relativi all’inoltro, peraltro con una puntigliosità e una burocraticità borboniche (va annotato numero della raccomandata, costo, numero dell’ufficio postale di spedizione diversi altri dati).

Nel caso di specie un soggetto, nei cui confronti la spedizione era stata effettuata correttamente, seppur con qualche imprecisione nella registrazione di tali dati, e per il quale – in suo assenza – il plico aveva effettuato regolare compiuta giacenza, pretende di proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo oggetto della notificazione, adducendo irregolarità formali della notifica e la circostanza che sia stato molto tempo lontano dalla propria abitazione per problemi familiari documentati in giudizio.

La Corte afferma due principi netti:

a) può essere ammesso ad opposizione tardiva solo chi dimostri che dalla irregolarità della notifica sia derivata per il destinatario l’impossibilità di conoscere tempestivamente l’atto, non rilevando la mera irregolarità formale ove la notifica abbia raggiunto lo scopo

b) colui che si assenta per lunghi periodi da casa ha l’onere di curare il ritiro della posta o di organizzare metodi alternativi che gli consentano di essere raggiunto dal servizio, senza che possa addossare al mittente – in difetto – le conseguenze della sua assenza.

La Corte ha rilevato due errori del procedimento notificatorio: la mancanza del numero cronologico dell’atto sul registro del professionista e dell’ufficio giudiziario (tribunale di Sassari che aveva emesso il provvedimento). Ha però osservato che tali vizi non potevano determinare la mancata conoscenza e non erano quindi rilevanti ex art. 650 c.p.c…

non ogni irregolarità – quali quelle appena descritte – rileva per giustificare l’opposizione tardiva, ma solo quelle decisive per impedire la conoscenza della notificazione. Ciò non può certo dirsi né quanto alla tenuta del registro notifiche del mittente, né quanto alla modulistica degli avvisi di ricevimento, posto che questi ultimi non furono ritirati.

Era quindi stato assolto l’onere della notifica ed era conseguente onere del destinatario dimostrare sia i vizi di nullità sia che da essi fosse dipesa la mancata conoscenza della notificazione e la mancata opposizione…

chi si assenta per lunghi periodi dalla propria residenza e non effettui la modifica anagrafica conoscibile ai terzi ha l’onere di provvedere al ritiro della corrispondenza, organizzandone l’inoltro o tramite servizi di posta o tramite soggetti incaricati, dall’altro perché privi di riscontro.”

conclude dunque la Corte che “Ed è vero anche che il regime delle nullità delle notificazioni è stato rivisitato da Cass. SU 14916/16 in senso opposto a quanto dedotto in ricorso circa l’insanabilità di ogni vizio formale e sostanziale…

Orbene, le irregolarità – tutte formali – non incidono sulla mancata conoscenza; l’assenza protratta nel tempo non eliminava l’obbligo imposto dal dovere di comportarsi secondo l’ordinaria diligenza nel presidiare la residenza anagrafica conoscibile dai terzi.”

© massimo ginesi 4 luglio 2017

invio convocazione e verbale a mezzo posta: la cassazione ci ripensa

La Corte di Cassazione, II sezione, con sentenza 14 dicembre 2016 n. 25791 fornisce una interpretazione decisamente più rigida rispetto ad un orientamento che sembrava ormai consolidato.

Afferma la Corte che, quando il destinatario della raccomandata è assente, non  può ritenersi avverata la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod.civ. con il recapito del plico al suo domicilio, poiché l’avviso che lascia il postino, relativo al deposito presso l’ufficio postale, non contiene alcuna indicazione sui contenuti della lettera e come tale è inidoneo a rendere edotto i destinatario.

Ne consegue che, bilanciando gli interessi del mittente con quelli del destinatario, ad avviso della Corte – applicando un principio analogo a quello degli atti giudiziari – potrà ritenersi  perfezionata la comunicazione decorsi dieci giorni di giacenza presso l’ufficio postale (oppure nel momento intermedio in cui il soggetto si reca a ritirare effettivamente il plico presso l’ufficio).

La vicenda nasce dall’invio  di un verbale di assemblea, successivamente impugnato da un condomino nei trenta giorni dal ritiro della relativa raccomandata:  i giudici di primo grado e di appello avevano considerato tardiva l’impugnazione, in applicazione del precedente orientamento che faceva decorrere il termine dal rilascio dell’avviso di giacenza, mentre l’odierna pronuncia ha ritenuto l’impugnativa tempestivamente promossa.

La sentenza, seppur con implicazioni pratiche di rilievo, afferma principi che paiono astrattamente condivisibili e garantisti – rispetto al precedente orientamento che indubitabilmente comprimeva molto i diritti del destinatario – e merita integrale lettura.

Rappresenta in ogni caso motivo di grande attenzione per  gli amministratori, che dovranno tenere conto di questa lettura – ove non rimanga episodio isolato – soprattutto nell’invio degli avvisi di convocazione, onde non incorrere nella violazione del termine previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ.

© massimo ginesi 22 dicembre 2016

domande tardive di ammissione al passivo fallimentare. quali termini?

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a norma dell’art. 101 L.F. è considerata tardiva la domanda di ammissione al passivo che non sia trasmessa al curatore nel rispetto del termine di  trenta giorni antecedenti alla data dell’udienza fissata per la verifica del stato passivo.

Tali istanze possono essere tuttavia inviate entro un anno dal deposito del decreto di esecutorietà dello stato passivo.

La riforma della legge fallimentare ha consentito aggiornai della procedura, maggior flessibilità nella gestione della stessa, cosicché accade che possano essere fissate più udienze di verifica dei diversi crediti e che in ciascuna di esse il Giudice  provveda a rendere esecutivo lo stato passivo relativamente alle domande esaminate in quella sede.

ebbene la Cassazione (Sez. Lav., 11 luglio 2016 n. 14099) censurando la decisione del Giudice di primo grado, ha ritenuto che il termine annuale decorra non già dalla prima udienza di verifica ma dalla data di deposito del decreto di esecutorietà dell’intero stato passivo, ovvero quando il Giudice – esaminate tutte le domande – lo rende esecutivo: ciò sulla scorta dell’art. 96 L.F. che prevede che “il giudice terminato l’esame di tutte le domande forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria”.

Solo questo ultimo adempimento è idoneo a far decorrere il termine annuale di cui all’art. 101 L.F. poiché solo con il provvedimento finale “la procedura di accertamento del passivo è destinata a chiudersi e ad acquisire giuridica rilevanza” .

qui la sentenza per esteso

© massimo ginesi 13 luglio 2016