supercondominio: un’interessante pronuncia

La Corte di legittimità (Cass. civ. sez. II 10 dicembre 2019 n.32237) ritorna sul supercondominio, confermando i propri orientamenti sulla nascita del complesso sovra condominiale e fornendo una interessante lettura sistematica del fenomeno, che esclude la sussistenza di beni in comunione e beni in condominio, dovendosi invece aver riguardo alla natura e funzione prevalente:

“Sebbene qui non direttamente applicabile ratione temporis, l’art. 1117-bis c.c., avendo recepito l’elaborazione giurisprudenziale formatasi intorno al concetto di supercondominio, ne identifica una nozione utile anche in senso retrospettivo, allorquando si riferisce, con ampia locuzione, a “più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomini di unità immobiliari o di edifici aventi parti comuni ai sensi dell’art. 1117”.

L’elemento identificativo del supercondominio risiede nella natura specificamente condominiale (“… ai sensi dell’art. 1117”) della relazione di accessorietà tra la parte comune servente e la pluralità di immobili serviti, a prescindere dalla circostanza che questi ultimi integrino un condominio unitario “… ovvero più condomini…”.

Sorgendo ipso iure et facto, se il titolo o il regolamento non dispongono altrimenti, il supercondominio unifica più edifici, costituiti o meno in distinti condomini, entro una più ampia organizzazione condominiale, legata dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni, in rapporto di accessorietà con i fabbricati, sicché trova ad essi applicazione, proprio in ragione della condominialità del vincolo funzionale, la disciplina specifica del condominio, anziché quella generale della comunione (Cass. 14 novembre 2012, n. 19939).

In altri termini, la qualificazione supercondominiale replica al plurale la qualificazione condominiale, postulando anch’essa una relazione funzionale di accessorietà necessaria, per non essere il bene in (super)condominio – diversamente dal bene in comunione suscettibile di godimento autonomo.

Per quanto non possa escludersi, nell’odierna multiforme fenomenologia degli aggregati immobiliari, la coesistenza di beni a godimento strumentale e beni a godimento autonomo (la dottrina considera infatti l’eventualità di un “doppio regime”), criteri di preminenza funzionale devono orientare il giudice di merito verso la definizione prevalente della fattispecie, nell’un senso o nell’altro.

D’altronde, in una logica di sistema che oggi trae conferma dal rinvio dell’art. 1117-bis, all’art. 1117, questa Corte ha dichiarato applicabile al supercondominio la presunzione legale di condominialità, stabilita dall’art. 1117, per i beni oggettivamente e stabilmente destinati all’uso o al godimento di tutti gli edifici (Cass. 9 giugno 2010, n. 13883).

Nella specie, il giudice d’appello ha enfatizzato aspetti irrilevanti per la corretta applicazione della nozione di supercondominio, e nel contempo accantonato aspetti rilevanti, così alterando la fisionomia giuridica dell’istituto, e integrando la denunciata violazione di legge.

Egli ha ritenuto decisivo che i quattro edifici del Condominio (omissis) (“(omissis) “, “(omissis) “) siano gestiti da un unico amministratore, circostanza viceversa estranea al profilo realmente decisivo, inerente la relazione funzionale che, in termini oggettivi, correla a quegli edifici il parcheggio e l’area pedonale.
Per converso, il giudice d’appello ha svalutato il dato obiettivo della realizzazione di opere di collegamento tra i beni serventi e gli edifici serviti (in particolare, la scala di accesso dal “(omissis)” al parcheggio), dato obiettivo che, invece, può far emergere un vincolo funzionale di accessorietà necessaria a carattere (super)condominiale.

Ancora, il giudice territoriale non ha conferito alcun ruolo operativo alla presunzione di (super)condominialità, ed invece questa concorre a qualificare giuridicamente le parti necessarie all’uso comune dei plurimi edifici, finché il contrario non risulti dal titolo o dal regolamento

A proposito del regolamento, lo stesso giudice d’appello ha evidenziato, senza tuttavia valorizzare, l’esistenza di previsioni orientate all’accessorietà necessaria, segnatamente quella che destina l’area di parcheggio a servizio di tre edifici del complesso, con possibilità di estensione al quarto (“(omissis)”)

In definitiva, anche alla luce del diverso periodo di realizzazione di edifici poi funzionalmente unificati con opere di collegamento (ciò che è riferito dallo stesso giudice distrettuale), occorre rinnovare il giudizio di sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma giuridico del supercondominio.”

© massimo ginesi 11 dicembre 2019 

 

Tribunale Torino: i poteri gestori dei singoli amministratori, morosità e fondo cassa.

Una pronuncia recente del Tribunale sabaudo (Trib. Torino sez. III, 09/09/2019 n.3980) riprende pacifici principi di legittimità in tema di nascita del condominio, chiarisce opportunamente il margine di azione degli amministratori dei singoli fabbricati che lo compongono e la legittimazione processuale dei singoli ‘supercondomini’, introduce alcune interessanti riflessioni sula costituzione del fondo morosità, pur adottando argomentazioni sul punto che dettano più di una perplessità sotto il profilo del corretto inquadramento sistematico dell’obbligazione condominiale, laddove si fa riferimento ad una solidarietà passiva  tout court di tutti i partecipanti.

sulla nascita del condominio e legittimazione ad agire –  “Come più volte ribadito dalla Suprema Corte, “Il cd. supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato, pertanto, alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del cd. Supercondominio” Cass. 28.1.2019 n. 2279; conf. ex multis 15.11.2017 n.27094).

A ciò consegue che “Nell’ipotesi di supercondominio, ciascun condomino, proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo compongono, è legittimato ad agire per la tutela delle parti comuni degli stessi ed a partecipare alla relativa assemblea, con la conseguenza che le disposizioni dell’art. 1136 cod. civ., in tema di formazione e calcolo delle maggioranze, si applicano considerando gli elementi reale e personale del medesimo supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le porzioni comprese nel complesso e da tutti i rispettivi titolari” (Cass. 21.2.2013 n. 4340).

Nel regolamento del Supercondominio prodotto in atti non emerge alcuna deroga a tale assetto e ne è conferma la partecipazione alle assemblea di appositi delegati rappresentanti dei proprietari dei singoli Condomìnii aventi i servizi in comune.”

sulla legittimazione dei singoli amministratori – Posto ciò, va preso atto che i singoli condòmini dei due Condomìnii attori nelle assemblee suddette hanno deliberato all’unanimità di voler impugnare la delibera assunta dal Supercondominio in data 5.7.2016 (cfr. doc. 5 e 6) dando a ciò specifico mandato all’amministratore dei loro singoli Condomìnii e pertanto non vi è dubbio alcuno sulla legittimazione e titolarità attiva nel presente procedimento di soggetti rappresentanti di tali singoli proprietari facenti parte del Supercondominio (tutti attinti negativamente dalla delibera impugnata).

Non inficia tale delibera il fatto che il punto non fosse stato inserito nell’ordine del giorno della convocazione, posto che tale convocazione era stata inviata in epoca precedente alla delibera del 5.7.2016 assunta dal Supercondominio e, avuto riguardo alla ristrettezza dei tempi per l’impugnazione, i condòmini presenti all’assemblea avevano deliberato all’unanimità la decisione di impugnarla tutti insieme per il tramite del loro amministratore di Condominio. Una simile delibera, quand’anche in ipotesi annullabile da eventuali condòmini assenti, non è mai stata impugnata, così che è ormai divenuta definitiva.

In ordine alla legittimazione passiva, di contro, è pacifico che unico soggetto passivamente legittimato a costituirsi è quello la cui delibera viene impugnata e quindi nel caso in esame il solo Supercondominio a mezzo del proprio amministratore, fermo restando il diritto ad intervenire dei singoli condòmini o dei Condomìnii previa apposita delibera autorizzativa (cfr. Cass. 17.7.2006 n. 16228 ove testualmente: “Ai sensi dell’art.1131, secondo comma, cod. civ., l’amministratore del condominio è passivamente legittimato a stare in giudizio nella controversia promossa dal singolo condomino per l’annullamento di una delibera assembleare di attribuzione dei posti auto su uno spazio comune, senza necessità che, al relativo giudizio, partecipino i condomini, i quali hanno soltanto la facoltà di intervenire”).

Ciò ovviamente, purché la delibera impugnata non sia tale da incidere sui diritti di proprietà, da cui deriverebbe un litisconsorzio necessario di tutti i condòmini (cfr. Cass. 31.8.2017 n. 20612).

Risulta pertanto corretta la dichiarata contumacia del Supercondominio già dichiarata all’udienza del 5.10.2017 e di ciò se ne è dato atto anche nell’intestazione della presente sentenza.

Va ulteriormente precisato che i due Condomìnii Felce ed Erika devono essere qualificati come intervenuti volontari, alla stregua anche degli altri singoli condomini costituitisi in limine, con la mera differenza che, mentre i Condomìnii Felce ed Erika hanno spiegato intervento autonomo, gli altri singoli condòmini costituiti solo successivamente, hanno dichiarato di aderirvi in modo dipendente.”

obbligazioni e fondo cassa morosità: “E’ principio generale quello che pone le spese condominiali relative a quote personali di condomini morosi e divenute non più recuperabili, a carico dell’intero Condominio; questi potrà poi decidere se costituire un fondo-cassa ad hoc per evitare danni nei confronti di tutti i condòmini esposti dal vincolo di solidarietà passiva (cfr. Cass. 5.11.2001 n. 13631) o la ridistribuzione proporzionale delle stesse in capo a tutti gli altri partecipanti al condominio, con il sorgere in capo ad essi di un’azione d’ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto dai condòmini morosi (cfr. Cass. 20.5.2019 n. 13505).

Laddove, quindi, le quote rimaste impagate attengano a spese effettuate in relazione ai servizi comuni per i quali si è costituito un Supercondominio (riscaldamento e altro), è in capo ad esso nella sua interezza che ricadono le conseguenze di eventuali morosità, indipendentemente dal fatto che questi condòmini morosi appartengano all’uno o all’altro Condominio, i cui stabili sono serviti in maniera unitaria e comune dagli impianti relativi al Supercondominio. I partecipanti del Supercondominio sono, come visto, i singoli proprietari degli alloggi e partecipanti ad esso e non ogni singolo Condominio cui essi pure partecipano per altri beni e spese comuni.”

in realtà la corte di legittimità ha chiarito, anche di recente, l’insussistenza di solidarietà, dovendosi ascrivere la fattispecie. di cui all’art. 63 disp.att. cod.civ. ad una sorta di sussidiarietà dei condomini virtuosi, ove sia acclarata l’insolvenza del moroso. 

© massimo ginesi 26 settembre 2019

il giudice non può modellare il condominio, che nasce ipso iure in base ai criteri dell’art. 1117 c.c. (norma che non contempla le autorimesse…)

Una recente sentenza della Cassazione (Cass. civ. sez. II 16 settembre 2019 n. 23001 rel. Scarpa) riprende temi ormai consolidati in ordine alla nascita del condominio (e – nel caso di specie – del supercondominio), sottolineando come lo stesso nasca in fatto e diritto quando almeno due unità – poste all’interno di un medesimo complesso – inizino ad appartenere a due soggetti diversi e sussistano  beni o servizi  destinati a soddisfare esigenze comuni alle proprietà solitarie, ai sensi dell’art. 1117 c.c. (o dell’art. 1117 bis c.c. ove si tratti di supercondominio, come nel caso di specie).

La vicenda nasce in terra subalpina: “La Corte di Torino ritenne inammissibile la domanda ove diretta “a provocare una diversa conformazione dell’edificio condominiale, tale da escludere… da esso quei corpi di fabbrica che lo specifico condomino ritiene estranei”. Ad avviso dei giudici di secondo grado, invece, “la rimodellazione del Condominio, includendo od escludendo corpi di fabbrica, non può essere oggetto di domanda giudiziale, dal momento che essa è di competenza esclusiva dei condomini in sede di eventuale modifica della struttura condominiale, e quindi regolamentare.

Il giudice non ha alcun potere per ‘formarè il Condominio: il giudice, preso atto della scelta insindacabile dei costituenti il condominio, si limita alla verifica di legittimità delle decisioni assunte”. In fatto, peraltro, la Corte d’Appello aggiunse che l’unità immobiliare di proprietà esclusiva Coface, ubicata negli edifici (omissis) , alla stregua della planimetria allegata nel regolamento del 2005, fosse inclusa nell’edificio che comprende anche la galleria e le autorimesse sotterranee, a nulla rilevando che essa non utilizzasse tali spazi.”

La Corte di legittimità, a fronte di una alluvionale serie di motivi di impugnazione, ritiene fondati solo il quinto ed il sesto e rinvia alla corte di merito per nuova disamina alla luce del principio di diritto affermato nella sentenza: Il Giudice non può rimodellare l’edificio condominiale ma ben può accertare se un bene come le autorimesse, che non risultano essere assistite dalla presunzione di condominialità ex art 1117 c.c., debba ritenersi comune per titolo, non potendo peraltro ascriversi a tale genus il regolamento di natura non convenzionale, inidoneo ad incidere sui  diritti reali dei singoli condomini.

Erra la sentenza impugnata quando afferma che la domanda giudiziale della Coface non potesse tendere “a provocare una diversa conformazione dell’edificio condominiale” e che “la rimodellazione del Condominio, includendo od escludendo corpi di fabbrica, non può essere oggetto di domanda giudiziale, dal momento che essa è di competenza esclusiva dei condomini in sede di eventuale modifica della struttura condominiale, e quindi regolamentare”. Sicché “il giudice, preso atto della scelta insindacabile dei costituenti il condominio, si limita alla verifica di legittimità delle decisioni assunte”. Così come erra la ricorrente, peraltro, a cercare nei regolamenti di condominio il titolo costitutivo della condominialità della galleria commerciale e dell’autorimessa.

Al pari del condominio negli edifici, anche il c.d. supercondominio (la cui figura è ora riconducibile all’art. 1117 bis c.c., norma poi introdotta dalla L. n. 220 del 2012, e che quindi non regola la fattispecie in esame), viene in essere “ipso iure et facto”, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà di tutti i proprietari o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati (quali, ad esempio, il viale d’ingresso, l’impianto centrale per il riscaldamento, i locali per la portineria, l’alloggio del portiere), attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, “pro quota”, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati, cui spetta altresì l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione (cfr. Cass. Sez. 2, 17/08/2011, n. 17332; Cass. Sez. 2, 31/01/2008, n. 2305; Cass. Sez. 2, 28/01/2019, n. 2279).

I regolamenti di supercondominio, di natura assembleare, quale quello del Centro i Giardini e poi del Condominio (omissis) , approvati a maggioranza, seppur “dalla quasi totalità dei condomini”, afferendo alla sfera della mera gestione, sono paradigmaticamente diretti a disciplinare la conservazione e l’uso delle parti comuni a più condominii, nonché l’apprestamento e la fruizione dei servizi comuni, e pertanto le loro disposizioni non possono incidere sull’estensione e sulla consistenza dei diritti di proprietà e di condominio di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.

Le clausole che, eventualmente inserite nel loro contesto, tendano a delimitare tali diritti, sia in ordine alle parti comuni, sia in ordine a quelle di proprietà esclusiva, rivestono natura convenzionale e possono, quindi, trarre validità ed efficacia solo dalla specifica accettazione di ciascuno degli interessati, espressa in forma scritta (arg. da Cass. Sez. 2, 31/08/2017, n. 20612; Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012).

D’altro canto, essendo il giudizio in esame una impugnazione di deliberazione assembleare ex art. 1137 c.c., va considerato come esula dai limiti della legittimazione passiva dell’amministratore una domanda volta ad ottenere l’accertamento della condominialità, o meno, di un bene, ai fini dell’art. 1117 c.c., giacché tale domanda impone il litisconsorzio necessario di tutti i condomini; ne consegue che, nel giudizio di impugnazione avverso una delibera assembleare, in cui la legittimazione passiva spetta all’amministratore, l’allegazione dell’appartenenza o dell’estraneità di un bene alle parti comuni di un condominio può formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della sola causa sulla validità dell’atto collegiale, ma privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli (arg. da Cass. Sez. 2, 31/08/2017, n. 20612).

Tuttavia, è altresì noto come il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’art. 1117 c.c., con la riserva “se il contrario non risulta dal titolo”.

Elemento indispensabile per poter configurare l’esistenza di una situazione condominiale è rappresentato dalla contitolarità necessaria del diritto di proprietà sulle parti comuni dello edificio, in rapporto alla specifica funzione di esse di servire per l’utilizzazione e il godimento delle parti dell’edificio medesimo. Anzi, la “condominialità” si reputa non di meno sussistente pur ove sia verificabile un insieme di edifici “indipendenti”, e cioè manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui “un gruppo di edifici… si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi”, sempre che “restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’art. 1117 codice” (arg. ancora dal già citato art. 1117 bis c.c., introdotto dalla L. n. 220 del 2012).

Peraltro, verificare se un bene rientri, o meno, tra quelli necessari all’uso comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., ovvero appartenga ad un unico condominio complesso, costituito, come nella specie, da più fabbricati, in quanto gruppo di edifici che, seppur indipendenti, hanno in comune alcuni beni, suppone valutazioni in fatto, sottratte al giudizio di legittimità. Nella specie, la Corte d’Appello di Torino, nelle pagine 40 e 41 di sentenza, ha ravvisato l’applicabilità delle norme che disciplinano il condominio, perché il corpo di fabbrica, costituito dall’edificio (…) e all’edificio (…), dove è ubicata l’unità immobiliare della ricorrente, non è strutturalmente indipendente dalla galleria e dall’autorimessa.

Va tuttavia affermato che i locali sotterranei per autorimesse e la galleria commerciale non costituiscono parti dell’edificio condominiale soggette alla presunzione legale di proprietà comune di cui all’art. 1117 c.c. (nella formulazione di tale norma, ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 220 del 2012).
Le autorimesse ed i locali commerciali, infatti, anche se situati (come nella specie accertato dalla Corte di Torino) nel perimetro dell’edificio condominiale, non sono inclusi fra quelli di proprietà comune elencati nel citato art. 1117 c.c. (neppure sotto l’aspetto di “parte dell’edificio necessaria all’uso comune”) e il condominio non può perciò giovarsi della relativa presunzione al fine di pretendere il contributo di ogni condomino alle relative spese di manutenzione, così come al condomino che adduca di non essere tenuto al detto contributo per non essere comproprietario di tali locali non incombe l’onere della relativa prova negativa (onere probatorio positivo – che incombe invece al condomino il quale, in caso di parti dell’edificio comuni, per la presunzione stabilita dall’art. 1117 c.c., intenda vincere detta presunzione pretendendo la proprietà esclusiva).

Al fine di accertare l’obbligo del condomino di sostenere (in misura proporzionale) le spese di manutenzione di un locale non incluso fra quelli di proprietà comune elencati nell’art. 1117 c.c., occorre, quindi, che sia data la prova dell’appartenenza di detti locali in proprietà comune e al fine anzidetto determinante è l’esame dei titoli di acquisto e delle eventuali convenzioni (cfr. Cass. Sez. 2, 22/10/1997, n. 10371; Cass. Sez. 3, 17/08/1990, n. 8376). Nè, ai fini dell’accertamento dell’appartenenza al condominio di galleria ed autorimesse sotterranee, può assumere rilievo il regolamento di condominio di formazione assembleare, o la planimetria ivi riportata, non costituendo il regolamento un titolo di proprietà, ove non si tratti di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini (cfr. Cass. Sez. 2, 03/05/1993, n. 5125).”

© massimo ginesi 23 settembre 2019 

 

la rappresentanza processuale del supercondominio

Laddove sussista ipotesi di supercondominio ex art 1117 bis cod.civ., gli amministratori dei singoli fabbricati che fanno parte del complesso non sono legittimati a stare in giudizio per le controversie relativi a beni super condominiali.

E’ quanto afferma una recente sentenza di legittimità (Cass. civ. sez. II 28 gennaio 2019 n. 2279), confermando orientamenti già espressi: “La Corte distrettuale ha stabilito che la porzione su cui è stata costituita la servitù coattiva di passaggio rientrava nella presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c., essendo in titolarità comune ai proprietari delle singole unità assegnate dalla (omissis) e in rapporto di accessorietà rispetto ai due edifici (cfr., sentenza pag. 9).
Ciò nonostante ha ritenuto che la domanda sia stata correttamente proposta verso gli amministratori dei due edifici.
Deve in contrario obiettarsi che la sussistenza di servizi o beni comuni a più condomini autonomi dà luogo ad un super-condominio, che è distinto ed autonomo rispetto ai singoli condomini che lo compongono e che viene in essere ipso iure et facto ove il titolo non disponga altrimenti (Cass. 2305/2008; Cass. 13883/2010; Cass. 17332/2011; Cass. 19939/2012; Cass. 5160/1993).
In tal caso, il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di agire o resistere in giudizio soltanto con riferimento ai beni comuni all’edificio amministrato e non per quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomini, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi (assemblea di tutti i proprietari ed amministratore del super-condominio).
Qualora non sia stato nominato l’amministratore del super-condominio, la rappresentanza processuale passiva compete, in via alternativa, ad un curatore speciale nominato a norma dell’art. 65 disp. att. c.c. o al titolare di un mandato ad hoc conferito dai comproprietari.
In mancanza occorre convenire in giudizio tutti i titolari delle porzioni esclusive ubicate nei singoli edifici (Cass. 8570/2005; Cass. 8842/2001; Cass. 12588/2002; Cass. 9206/2005; Cass. 14765/2012).
La domanda di costituzione della servitù non poteva – quindi – esser proposta nei confronti degli amministratori dei due diversi stabili, ma occorreva evocare in giudizio tutti i singoli condomini.
È quindi accolto il secondo motivo, con assorbimento degli altri.”

copyright massimo ginesi 30 gennaio 2019

nascita del supercondominio: la cassazione ribadisce principi noti e consolidati

una recente pronuncia di legittimità conferma orientamenti consolidati sulla nascita del supercondominio, peraltro senza nulla aggiungere alla precedente elaborazione .

Cass.Civ.  sez.II ord. 25 ottobre 2018 n. 27084 –  il caso concreta pare interessate più del principio di diritti pacifico espresso dalla suprema corte, poiché mette in luce l’erronea qualificazione dei fatto che ancora troppo spesso avviene in sede condominiale e nelle successive corti di merito: “ il Tribunale di Tivoli, accolto l’appello di P.F. , in riforma della sentenza del giudice di pace della stessa città, revocò il decreto con il quale era stato ingiunto all’appellante il pagamento della somma di Euro 4.697,96, oltre accessori, in favore del Complesso Residenziale (omissis) , già Comunione dei Beni Immobili (omissis) , sulla scorta delle valutazioni di cui appresso:

– mancava la prova dell’esistenza di una comunione, che legittimasse di esigere il pagamento delle spese di gestione;

– con l’assegnazione del lotto all’appellante non erano state trasferite pertinenze, né sussistevano successivi atti di trasferimento;

– a tale mancanza non poteva supplire il regolamento della Comunione del Complesso Residenziale (omissis) , che era stato approvato dall’assemblea generale ordinaria del 9/5/2009″

il motivo di ricorso per cassazione centra il punto cruciale: “la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 818, 1100, 1105, 1106, 1107, 1109, 1117, 1118, 1137, 1350, 2644, cod. civ., 61 e 62, disp. attuaz. cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sulla scorta, in sintesi, delle seguenti argomentazioni:

– la società coop. edilizia (omissis) a r.l., previa convenzione di lottizzazione, aveva realizzato un villaggio, composto da ville unifamiliari, da assegnarsi ai soci e l’intero comprensorio era rimasto in gestione della cooperativa fino al commissariamento della stessa, essendosi fatto luogo, da parte gestione commissariale, ad una dichiarazione, ricevuta da notaio, con la quale erano state individuate le numerose pertinenze (pozzi per l’acqua irrigua e relative condutture, depuratore del parco, terreni destinati a verde, impianti di urbanizzazione secondaria, ecc.);

– per mero errore materiale negli atti d’assegnazione non s’era fatto espresso riferimento alle pertinenze, che, in quota costituivano parte dell’unità abitativa, data la loro inscindibilità ope legis;

– non poteva mettersi in dubbio che, secondo i principi di diritto più volte affermati in sede di legittimità, “il comprensorio (omissis) ”costituiva un supercondominio, o, con altra terminologia equivalente, condomino complesso, comunione residenziale, condomino orizzontale e ciò ipso iure et facto “allorché l’originario costruttore del complesso residenziale (…) costruisca su un suolo comune, o proceda con il frazionamento di un’area comune”, militando in tal senso gli artt. 818 e segg., 1477, 1117, 1117 bis, cod. civ.;

– la sentenza impugnata aveva applicato erroneamente l’art. 1350, cod. civ., stante che gli accessori seguono il destino del bene principale, senza necessità di apposita specificazione;

– non era dubbio che si trattava di beni accessori, investendo essi servizi comuni (manutenzione, illuminazione e gestione del complesso, dotato di strade di accesso interne, rete idrica, rete fognaria, depuratore, guardiania, ecc.);

l’ordinanza di legittimità ritiene pertinente la censura: “ l’esposto motivo è fondato, per quanto appresso: a) costituisce principio fermo, al quale il Collegio intende dare continuità, l’affermazione secondo la quale al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. cod. civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere “ipso iure et facto”, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, “pro quota”, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (Sez. 2, n. 17332, 17/8/2011, Rv. 619034; ma già, Sez. 2 n. 2305/08, Rv. 601809);

essendosi ulteriormente chiarito che non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere “ipso iure et facto”, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti; si tratta di una fattispecie legale, in cui una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale di accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, ecc.) in rapporto di accessorietà con i fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione (Sez. 2, n. 19939, 14/11/2012, Rv. 624475; conf., di recente, Sez. 2, n. 27094, 15/11/2017, Rv. 645955);

b) il Tribunale, quale giudice dell’appello, omettendo del tutto di verificare se la situazione fattuale, corrispondesse all’assunto dell’appellata, nei termini sopra riportati, non ha preso in considerazione il principio sopra enunciato, valorizzando un profilo argomentativo (nell’atto di trasferimento non si era fatto espresso riferimento alle pertinenze) che non ha alcuna refluenza sul modo di costituzione del condomino e, quindi, anche del supercondominio, di talché, senza necessità di verificarne la tenuta giuridica, risulta non pertinente”

© massimo ginesi 29 ottobre 2018

supercondominio e tabelle millesimali

un’interessante sentenza del tribunale capitolino (trib.roma 11 ottobre 2018 n. 19411) affronta la complessa problematica della ripartizione delle spese  in supercondominio, sottolineando la particolare ratio che deve sottendere l’imputazione delle spese relative a beni supercondominiali:

In merito alle tabelle millesimali del supercondominio, i valori delle unità immobiliari vanno poste in relazione con il valore complessivo delle stesse, ma anche i singoli edifici devono ricevere una valutazione diversa in ordine alle loro specifiche caratteristiche architettoniche ed immobiliari, ponderando il reale valore.

Per tale motivo vanno redatte due tabelle: una che si riferisce al valore di ogni singolo edificio nei confronti degli altri ed un’altra che ripartisce poi tale quota tra i condomini di ogni singolo edificio in misura proporzionale al valore delle proprietà esclusiva.”.

La sentenza affronta anche il problema dell’errore nella determinazione dei valori e della possibilità di revisione della tabella: “In tema di condominio di edifici, i valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell’edificio vanno individuati con riferimento al momento dell’adozione del regolamento, e la tabella che li esprime è soggetta a emenda solo in relazione a errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori.

Pertanto, in ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, né i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell’edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l’edificio.

La sentenza, per la vastità e complessità delle argomentazioni, merita lettura integrale

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© massimo ginesi 23 ottobre 2018 

supercondominio e legittimazione passiva del suo amministratore.

Una sentenza di legittimità  ribadisce principi pacifici e consolidati: ove un complesso immobiliare dia luogo a supercondominio, se il danno alla proprietà individuale deriva da beni appartenenti al singolo edificio  vi è legittimazione passiva solo di quel singolo condominio, che dovrà essere citato in giudizio in persona del suo amministratore anche ove – per ipotesi – costui rivesta la carica di amministratore anche del supercondominio  in cui è collocata l’unità immobiliare danneggiata.

 

Cass. civ. sez. VI-2  ord. 22 giugno 2018 n. 15262 coglie tuttavia l’occasione per delineare i confini normativi ed interpretativi del c.d. supercondominio:  “Questa Suprema Corte di Cassazione, con orientamento recepito dalla legge n. 220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, ha identificato il cc.dd. supercondominio ed, in particolare, ha affermato che per l’esistenza del supercondominio è sufficiente che i singoli edifici abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 1117 del Codice civile (ad esempio, il viale d’ingresso, i locali per la portineria, l’alloggio del portiere, i parcheggi, l’impianto centrale per il riscaldamento), collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno dei fabbricati.

Ora, spetta a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati la titolarità “pro quota” su tali parti comuni e l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione.

Con l’ulteriore specificazione che, laddove esiste un supercondominio, devono esistere due tabelle millesimali: la prima riguarda i millesimi supercondominiali e stabilisce la ripartizione della spesa tra i singoli condomini per la conservazione e il godimento delle parti comuni a tutti gli edifici; la seconda tabella è, invece, quella normale interna ad ogni edificio.

Applicabile al supercondominio, quale norma compatibile è, senz’altro, l’articolo 1129 del Codice civile: nel caso in cui facenti parte del supercondominio siano oltre 8 partecipanti, occorrerà la nomina dell’amministratore con tutte le implicazioni conseguenti.

E, nel caso in cui anche gli altri edifici siano composti da oltre 8 partecipanti, anche questi ulteriori condomini dovranno nominare il proprio amministratore.

È ipotesi che la legge non esclude, e può ritenersi frequente, che l’amministratore sia lo stesso per il supercondominio che per i singoli condomini, tuttavia, i due condomini (il supercondominio e il singolo condominio) hanno una piena autonomia gestionale (autonomia di registri e di conti correnti), nonostante l’amministratore sia uguale.

Va chiarito, comunque, che nell’ipotesi in cui l’amministratore sia unico lo stesso è legittimato attivo e passivo, ma nella qualità di amministratore del supercondominio o del condominio singolo a seconda se l’atto di amministrazione riguarda il condominio singolo o il supercondominio.

Ora, nel caso in esame, i sigg. B. , pur avendo riconosciuto che la questione oggetto del giudizio riguardava la ripartizione delle spese relative alla manutenzione di un bene appartenete al singolo condomino (condominio relativo al fabbricato Ninfea) hanno convocato in giudizio l’amministratore del supercondominio, (omissis) , ancorchè l’amministratore del supercondominio e del singolo condomino fosse la stessa persona.

Correttamente, dunque, nonostante per ragione non perfettamente coincidente  con quella qui indicata, il Tribunale ha ritenuto che il supercondominio (omissis) fosse carente di legittimazione passiva.”

Resta tuttavia una perplessità di fondo, che la pronuncia non risolve espressamente: nell’esaminare il motivo di ricorso si fa riferimento ad un regolamento condominiale che non si specifica se abbia o meno natura contrattuale e che pare antecedente alla novella del 2012: “ il Tribunale di Catanzaro, nell’accogliere l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, sarebbe incorso in un errore interpretativo del regolamento condominiale. Il regolamento condominiale, secondo i ricorrenti, preso atto che il condominio (omissis) è articolato al suo interno in diversi corpi di fabbrica ciascuno dei quali sviluppato in verticale e comprensivo a sua volta di diverse unità abitative, disciplina l’uso delle parti comuni e l’uso delle parti assegnate in proprietà ad ogni singolo condomino compresa la ripartizione delle spese. Tanto è vero, specificano i ricorrenti, che sono state predisposte tabelle millesimali distinte per i condomini di ciascun fabbricato e tabelle millesimali riguardanti l’intero complesso. Risulterebbe, pertanto, chiara ed evidente la volontà condominiale nel concepire l’unicità del condominio cui affidare la ripartizione delle spese sia delle parti in comune che in proprietà individuali. A sua volta l’organo chiamato a disciplinare la ripartizione delle spese è l’amministratore del condominio cui andrebbe riconosciuta la legittimazione processuale anche in ragione dell’espressa menzione posta dall’art. 13 del regolamento.”

L’art. 67 disp.att.c.c. è norma comunque inderogabile, sì che sarebbe intangibile anche da regolamento contrattuale e – nel caso di specie – sembrerebbe leggersi fra le righe che anche la norma pattizia debba cedere il passo a norma di legge inderogabile sopravvenuta.

copyright massimo ginesi 18 giugno 2018

 

supercondominio: nascita e parti comuni.

 

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 marzo  2017 n. 6313, Rel. Scarpa.

La vicenda attiene a contestazioni circa la titolarità di alcune aree esterne in un complesso supercondominiale in quel di Pietra Ligure.

La Suprema Corte ripercorre i principi  in tema di nascita del supercondominio e della individuazione della parti comuni a tutti i partecipanti a tale organismo: “Non è stata oggetto di censure in questa sede la qualificazione del contesto proprietario come condominio di edifici, nella specie costituito da una pluralità di edifici ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall’esistenza di talune cose in rapporto di accessorietà con i singoli fabbricati. La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti del Codice Civile, si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto. Secondo le emergenze documentali del giudizio, il Supercondominio di Pietra Ligure (SV), composto dai condomini A M, D, T, S e R, deve intendersi sorto con l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà P. in data 4 marzo 1972.

Originatasi a tale data la situazione di condominio edilizio, dallo stesso momento doveva reputarsi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo del 4 marzo 1972 non risultasse, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla venditrice o ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26766 del 18/12/2014).

Nella specie, si ha riguardo ad aree cortilizie destinate a verde o a posti auto. Tanto il cortile, quanto gli spazi destinati a verde, le zone di rispetto, i parcheggi, le aree di manovra o di passaggio delle autovetture (sia pure oggetto del vincolo di natura pubblicistica imposto dall’art.41 sexies, legge n. 1150/1941, come introdotto dall’art. 18, legge 765/1967), fanno parte delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c. (Cass. 9 giugno 2000, n. 7889). Tali beni, pertanto, ove manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi univoco riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, devono essere ritenuti parti comuni dell’edificio condominiale, ai sensi del medesimo art. 1117 c.c., cedute in comproprietà pro quota, quali pertinenze delle singole unità immobiliari secondo il regime previsto dagli artt. 817 e 818 c.c. (altresì in considerazione del relativo vincolo pertinenziale pubblicistico: Cass. 28 gennaio 2000, n. 982; Cass. 18 luglio 2003, n. 11261; Cass. 16 gennaio 2008, n. 730). 

Ne consegue che, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Genova non ha considerato come, essendo sorto il supercondominio del complesso dei condomini A M, D, T, S e R, “ipso iure et facto”, nel momento in cui l’originario proprietario e costruttore P. ebbe ad alienare a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, lo stesso avrebbe perso, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni ai singoli edifici (tra i quali rientravano le aree destinate a verde ed a parcheggio delle autovetture), in mancanza di titolo diverso, non servendo affatto a tal fine un espresso trasferimento in proprietà agli acquirenti. Conseguentemente, lo stesso P. non avrebbe potuto in seguito più disporre quale proprietario unico di detti beni, giacché ormai divenuti comuni, nè concedere o creare su di essi diritti reali limitati come le servitù.”

© massimo ginesi 13 marzo 2017

SUPERCONDOMINIO IN VERSIONE PARTENOPEA: qualche riflessione sulla nomina giudiziale dell’amministratore.

Il Tribunale di Napoli (4 sez. civile 1 marzo 2017) affronta un caso peculiare in materia di supercondominio: alcuni condomini si dolgono che l’amministratore in carica non sia stato ritualmente nominato e chiedono al Giudice la nomina di nuovo amministratore, rappresentando anche che l’attuale avrebbe commesso gravi irregolarità.

Il ricorso non brilla per coerenza, rigore formale  e sistematicità, ed il conseguente provvedimento sembra essere afflitto dagli stessi vizi, pur apparendo sostanzialmente condivisibile nella sostanza e fornendo comunque utili elementi di riflessione su una materia che la legge 220/2012 ha reso più insondabile della stele di Rosetta.

Il giudice partenopeo, chiamato a decidere in sede di volontaria giurisdizione, afferma: ” ante riforma del condominio, attuata con legge 220 del 2012 in vigore da giugno 2013, il parco “S.” era gestito da un amministratore e da un Consiglio della Comunione.

La riforma ha previsto invece che ciascun Condominio debba (nel caso ora in esame) “…designare il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore” – art. 67 att. c. c. –

Ciò non è avvenuto perché i Condominii “D.” e “T.” non hanno nominato i loro rappresentanti; frattanto quel Consiglio è decaduto e l’amministratore è scaduto, ma è rimasto in prorogatio.

Questa proroga è divenuta non più compatibile col sistema ma non c’è quell’assemblea dei rappresentanti che dovrebbe provvedere alla conferma dell’amministratore oppure ad una nuova nomina, cosicché i ricorrenti hanno chiesto che sia il Tribunale a provvedere, adombrando pure delle gravi irregolarità del suddetto amministratore.”

Il Tribunale, incidentalmente e assai sommariamente, senza alcuna motivazione, rileva che il regime della prorogatio sarebbe oggi incompatibile con le previsioni della riforma, tesi che appare  non del tutto scontata, posto che l’art. 1129 VII cod.civ. pare applicabile solo alle ipotesi in cui sia stato nominato un successore e – secondo autorevole dottrina (Corona) – parrebbe non incidere sull’istituto della proroga delineato negli anni dalla giurisprudenza (per un interessante approfondimento:  matteo peroni, “in difesa della prorogatio”, con ampio riscontro dottrinale e giurisprudenziale).

I motivi in forza dei quali il ricorso è respinto appaiono comunque condivisibili nel merito, pur a fronte di un argomentare che appare assai schematico e didascalico : il Tribunale sostanzialmente rileva l’inopportuna scelta del mezzo processuale a fronte di rimedi tipici sia per la nomina dei rappresentanti mancanti ex art. 67 disp.att. cod.civ. che per l’eventuale valutazione di condotte irregolari (che comporterebbero revoca), rilevando altresì che solo a fronte dell’inerzia dell’assemblea – che nel caso di specie non si riscontra.. perchè manca la stessa assemblea dei rappresentanti – il Tribunale può intervenire in via succedanea, né può valutare irregolare la condotta dell’amministratore che non abbia reso il conto  ad una assemblea inesistente per difetto dei rappresentanti:  “ se l’assemblea non vi provveda, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria (art. 1129 comma 2° cod. civ.) – Fintanto che l’assemblea non decida sul punto, il Tribunale non può intervenire a nominarlo lui; il suo intervento é solo succedaneo e surrogatorio perchè l’assemblea dei condomini è sovrana e può in ogni momento sostituire l’amministratore nominato dal Tribunale con altri di suo gradimento.

Solo che nel caso in esame questa assemblea non c’è e fintanto che essa non venga costituta e convocata, e si esprima a tal riguardo, il Tribunale non può intervenire .

Non può farlo neppure a norma dell’art. 1105 c. c. in quanto lo stallo assembleare non è dovuto ad una qualche patologia operativa dell’assemblea, che non si riesca a comporre ed a far funzionare, ma soltanto alla mancata attivazione di ben due possibili procedure, ex art. 67 disp. att. (vedi), ad opera di uno solo dei condomini per ciascuno dei Condominii inadempienti oppure ad opera di uno solo dei rappresentanti già nominati.

Quindi il Tribunale è stato adito non per superare uno scoglio ma per aggirare un ostacolo superabile in un duplice modo , e questo non è consentito.

Per quanto poi attiene alla condotta dell’amministratore, è pur vero che egli debba “…redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni” (art. 1130 n. 1O e.e.) ed inoltre “…costituisce grave irregolarità l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto” (art. 1129 comma 12 n. 1)

Ma questa “assemblea” è quella dei rappresentanti dei Condominii, che non c’è, e che costituisce un “collegio perfetto”, non in grado di operare se manca un suo componente. E’ ovvio che, frattanto, l’amministratore non possa pretendere di non rendere conto a nessuno del suo operato. Pare che abbia ovviato presentando all’assemblea di ciascun fabbricato la sua quota di partecipazione alle spese (ovviamente di gestione ordinaria), rimedio tutto sommato accettabile.

Per il resto, le gravi irregolarità vanno rapportate agli obblighi nascenti dal contratto di mandato che lega l’amministratore al Condominio , cosicché la sua condotta deve essere negligente e l’inadempimento deve essere importante nel suo contesto generale, tale per cui, all’esito di un ordinario giudizio di cognizione dovrebbe comportare una pronuncia di risoluzione del contratto stesso.

Prima e fuori di tale momento processuale , e nell’interesse dei condomini tutti, il Tribunale interviene, in sede di volontaria giurisdizione, allo scopo di ricondurre subito la gestione del condominio a livelli di ordinaria e corretta operatività. Nel caso in esame non ricorrono  le suddette condizioni con riguardo alle altre segnalate inadempienze”

Un ringraziamento all’amico avvocato Ghigo Giuseppe  Ciaccia del foro di Napoli, difensore vittorioso dell’amministratore in carica, che mi ha segnalato il provvedimento.

© massimo ginesi 8 marzo 2017

scale in supercondominio: di chi sono e a che titolo? quanti problemi…

Accade con frequenza che un immobile posto in un edificio complesso,  ascrivibile alla fattispecie del c.d. supercondominio (oggi espressamente disciplinata dall’art. 1117 bis. cod.civ. )  e munito di più ingressi  distinti da autonomi numeri civici,  sia servito dalle scale che si dipartono  sia dall’uno che dall’altro androne.

Le une servono un’ala dell’edificio e le altre la restante parte, tuttavia una specifica unità immobiliare si giova – per la sua conformazione – di entrambe e, poiché nel suo titolo di acquisto si specifica che su una delle scale ha “diritto di passo”, il titolare ritiene di essere esonerato dalle spese della scala su cui ritiene di transitare solo a titolo di servitù di passo.

Nel fabbricato, proprio per la sua complessità (e litigiosità), da tempo non si riescono ad approvare le tabelle millesimali e così le diverse spese – ivi comprese quelle per i lavori straordinari a detta scala – vengono ripartite, salvo conguaglio, in forza di una tabella provvisoria e  mai approvata, che tuttavia attribuisce anche a quel condomino i millesimi scale su entrambi i manufatti.

Costui impugna le delibere, assumendone l’illiceità e chiedendo al Tribunale – oltre alla cassazione dei deliberati –  che venga accertata che la proprietà della scala incriminata è da riconoscere solo  in capo ai condomini del numero civico X , che in suo favore sussiste su tale scala unicamente di una servitù di passo, con conseguente esonero dalle spese e – in via subordinata – che vengano adottate in via giudiziale  le tabelle millesimali che il condominio, nonostante diversi tentativi, non è mai riuscito ad approvare.

Il Tribunale di Massa, con sentenza parziale 5 dicembre 2016, si pronuncia sulle diverse domande, evidenziando diversi profili che possono risultare di interesse applicativo generale.

Il giudice di merito osserva che: “La domanda di parte attrice risulta fondata unicamente in ordine alla richiesta di determinazione dei millesimi in via definitiva e solo in tal senso dovrà e potrà essere accolta.
Risultano invece infondate le domande dell’attrice relative all’accertamento sulla proprietà altrui della scala cui accede alla propria unità dalla via R. A. 13, sull’assunto che ella sarebbe proprietaria unicamente della scala a proprio esclusivo servizio che affaccia sul civico 7 sempre della via R.A., godendo sull’altro manufatto unicamente di servitù di passo nonché  quelle conseguenti e relative alla impugnazione della delibera 18.7.2009. “

a) la titolarità delle scale,  bene tendenzialmente comune. 

Il Tribunale si sofferma preliminarmente sulla natura delle scale quale bene necessariamente comune, salvo diversa qualificazione del titolo o in base alla funzione eventualmente limitata   ad alcuni condomini  cui siano destinate, laddove la funzione principale e comune di mobilità e accesso all’interno del complesso edilizio sia assolta da altro manufatto.

“…non può non rilevarsi come il complesso edilizio denominato oggi Condominio C. debba essere ascritto al genus dei fabbricati edilizi complessi, disciplinati dall’art. 1117 bis cod.civ. (così come introdotto dalla legge 220/2012) fattispecie in precedenza delineata – con esiti pressoché coincidenti – dalla prevalente giurisprudenza.
Si tratta indubbiamente di fabbricato dalle caratteristiche peculiari, con parti destinate a fornire utilità maggiore (o esclusiva) ad alcuni dei condomini, ma tale ultimo aspetto ove esistente e rilevante dovrà essere risolto nell’ambito dell’art. 1123 III comma cod.civ., senza che possa fungere da  presupposto logico e necessario per affermare l’esistenza di condominii distinti.
Risulta infatti che l’intero complesso immobiliare, per ciò intendendo l’intero involucro edilizio cui si accede dai civici 7 e 13 della via R.A., seppure articolato su più corpi di fabbrica e con coperture parzialmente autonome, non si distingua in unità edilizie funzionalmente autonome e separate dalle altre ma comporti una commistione delle strutture murarie principali, delle falde di copertura, degli ingressi e delle parti comuni che risultano, di volta in volta, destinate a fornire una utilità indistinta all’intero complesso, cui – in forza della norma sopra richiamata – devono ritenersi comuni per funzione ex art. 1117 nn. 1 e 3 cod.civ. , ove ciò già non risulti dal titolo.
La stessa unità immobiliare della attrice risulta posizionata in maniera trasversale rispetto ai due civici contraddistinti dal 7 e dal 13, sicché può accedere da entrambi gli androni e fruire delle scale posizionate in ciascuno, così come – elemento che si rivela ulteriormente qualificante – si estende, seppure parzialmente, anche sotto la copertura della porzione di edificio riconducibile al civico 13 e servita dalla scala oggetto di contesa (poco importa se con verande o portici o stanze, rilevando a tal fine unicamente il perimetro della proprietà esclusiva servita dalle parti comuni).
Tali elementi sarebbero sufficienti a considerare l’immobile un organismo edilizio complesso (c.d. supercondominio), che vede in comune – a mente del disposto di cui agli artt. 1117 e 1117 bis cod.civ. – le parti comuni necessarie alla sua stessa sussistenza.
Non vi è dubbio che, fra queste, vi siano – per costante giurisprudenza – le scale, che non solo servono di accesso alle singole unità, ma sono ritenute elemento necessariamente comune negli edifici multipiano: “Le scale e i relativi pianerottoli, negli edifici in condominio, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile.” Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2016,  n. 4664
Nel caso di specie non risultano titoli, anche alla luce di quanto si dirà in appresso, che attribuiscano le scale in proprietà specifica ad alcuni condomini, mentre esiste con ogni evidenza una destinazione funzionale delle scale oggetto di contesa ad accedere alla unità della attrice, nonchè al tetto che in parte la copre in quella porzione di fabbricato. Ad ulteriore connotazione della funzione collettiva dell’androne del civico 13 e delle scale che dallo stesso si dipartono, va osservato che diversi impianti funzionali all’unità della attrice trovano ivi allocazione.
Non potrà dunque non ritenersi comune anche a detta unità sia l’androne che le scale che hanno accesso dal civico 13 di via R.A. e che svolgono funzione comune all’interno del Condominio C. complessivamente inteso.”

b) eventuali ipotesi di titolarità parziale 

“Semmai, per quelle parti che risultino unicamente destinate a servire solo alcuni condomini, varrà l’esclusione in forza dell’art. 1123 III comma cod.civ. e della conseguente giurisprudenza che – in tal caso – ravvisa anche una proprietà limitata ai soli soggetti che se ne giovano: “Le scale danno accesso alle proprietà esclusive e per tale ragione sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, essendo necessarie all’uso comune. Le obiettive caratteristiche strutturali, per cui dette scale servono in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, ne fanno venire meno in questo caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.” Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016,  n. 7704
In sede di redazione delle tabelle il tecnico dovrà dunque valutare se dette scale, in quanto inidonee a rendere una funzione per taluni dei condomini (anche solo potenziale per l’accesso ad una porzione di tetto che li riguarda), debbano ritenersi di proprietà solo di alcuni, così come dovrà valutare – ai fini della  caratura millesimale – l’effettiva entità della proprietà servita dalla parte comune (in ossequio ai principi stabiliti da Cass. 1451/2014).
Si tratta tuttavia di principi che attengono alla effettiva imputazione della spesa ai singoli condomini relativamente a parti comunque comuni e non già di circostanze che si rivelino idonee ad incidere sulla titolarità delle stesse.
Con la considerazione ulteriore che l’utilità deve essere valutata in senso ampio, astratto e potenziale, per quelle stesse ragioni che attribuiscono anche ai fondi che hanno accesso autonomo dalla strada le relative spese, seppure nella dimidiata misura di cui all’art. 1124 cod.civ. (Cass. n. 4419/2013; n. 15444/2007)
Non vi è dubbio, dunque, che ai fini del giudizio, la scala per cui è controversia risulti con certezza rendere una funzione nei confronti della attrice e debba pertanto essere ritenuta comune anche a costei.

C) il rilievo del titolo, proprietà o servitù?

“A superare tale qualificazione non valgono i titoli addotti dalla A., in forza dei quali l’attrice assumerebbe di essere mera titolare di una servitù di passo e di dover essere dunque esonerata dalle relative spese.
A tal proposito coglie nel segno la difesa della convenuta B., laddove ravvisa nell’atto notaio C. 1.7.1949 l’elemento costitutivo del Condominio C..
Con quella disposizione E.C.C., originaria unica proprietaria dell’intero complesso, cedeva per la prima volta ad un terzo – tal L. R. – una unità posta nel complesso immobiliare, creando così i presupposti per la nascita dell’edificio in condominio che sorge – senza necessità alcuna di atti costitutivi specifici o di regolamenti ad hoc – nel momento in cui almeno due unità immobiliari iniziano ad appartenere a soggetti diversi (Cass.Sez.II 19429/04).
In tale atto non emerge alcuna volontà della E.C.C. né di costituire servitù a favore della proprietà a lei rimasta (e che successivamente alienerà – in parte – al dante causa della odierna attrice) né tantomeno appare desumibile in alcun modo la volontà di dar luogo a più condominii separati, come afferma l’A., apparendo il richiamo al civico di accesso meramente descrittivo della unità effettivamente ceduta.
Non appare qualificante, in tal senso, neanche l’atto di vendita a C. – dante causa della odierna attrice e che acquista con atto notaio C.del 24.10.1953 – in cui il termine “diritto di passo” appare utilizzato in modo atecnico e meramente descrittivo, volto a qualificare unicamente la facoltà di accesso e uso dell’unità venduta anche dalla scala che diparte dal civico 13, che non a caso non è definita appartenete ad altro edificio ma semplicemente “secondaria”, ovvero intesa come manufatto appartenente al medesimo complesso immobiliare ma destinata, per funzione ed uso, a rendere utilità anche a quella specifica unità immobiliare compravenduta e, quindi, anche a lei comune, seppur in affiancamento ad altro accesso che si ritiene principale (rectius, personale).

D) la costituzione di servitù in condominio dopo la sua nascita

Del resto alla possibilità di costituire servitù sulle parti comuni da parte di E. C. C., una volta che il Condominio aveva iniziato ad esistere con l’atto del 1949, osta la circostanza che l’imposizione di pesi reali su beni ormai comuni non è più consentita all’originario unico proprietario in assenza del consenso degli altri condomini (ovvero, nella fattispecie, del R.).

E) riparto provvisorio e approvazione delle tabelle

Alla riconosciuta proprietà comune della scala de quo, consegue l’infondatezza della impugnativa delle delibere azionata con la domanda principale, anche alla luce dei seguenti principi:

  • è sempre consentito al condominio disporre un riparto provvisorio delle spese, su base proporzionale, al fine di procedere alle necessarie opere di manutenzione
  • le tabelle millesimali e comunque i criteri di riparto provvisori non richiedono approvazione all’unanimità, laddove si ispirino a criteri proporzionali assimilabili al disposto di cui all’art. 1123 cod.civ. (o, nella fattispecie, di cui all’art. 1124 cod.civ. ) e possono essere approvai con la maggioranza prevista dall’art. 1136 II comma cod.civ. (Cass. SS.UU 18477/2010), nel caso ampiamente raggiunta.
  • tutte le delibere sono sempre state assunte in via provvisoria, in attesa di approvazione di tabella millesimale definitiva, ivi compresa quella del 27.5.2011 (come espressamente risulta dal relativo verbale), circostanza quest’ultima che rende priva di fondamento anche l’eccezione relativa a cessazione della materia del contendere sollevata dal convenuto condominio.

F) il titolare di servitù usa le scale gratis?

Non sarà inutile rilevare che, anche ove per ipotesi si fosse voluto riconoscere l’esistenza di servitù a favore della attrice, non muterebbero le conseguenze concrete in ordine alla imputazione delle spese, circostanza comunque dirimente in ordine alla legittimità delle delibere impugnate: a mente dell’art. 1069 III comma cod.civ. ove le opere giovino anche al fondo servente costui deve partecipare alle spese (App.-Genova 5.1.2011) ed è plausibile che nel caso peculiare la modalità dei rispettivi contributi debba e possa essere modulata sul disposto dell’art. 1124 cod.civ.

G) domande di accertamento di diritti reali e litisconsorzio 

Sussisteva indubitabilmente legittimazione necessaria dei singoli condomini in ordine alla domanda di accertamento relativa a diritti reali sulle parti comuni, mentre sussiste pacificamente legittimazione autosufficiente del condominio per il giudizio relativo alla impugnativa.

H) la richiesta di adozione dei millesimi

Parimenti sussiste interesse del singolo condomino a veder adottata una tabella millesimale definitiva, volta al riparto delle spese in accordo con i principi codicistici (Trib. PAlermo, 22 marzo 2011).

il Giudizio è dunque destinato a proseguire: nella sentenza parziale il Tribunale “Dichiara che le scale di accesso del Condominio C., con accesso dal civico 13 della via R. A., costituiscono bene condominiale ex art. 1117 cod.civ. e sono comuni anche alla attrice C. A. 
respinge le domande relative alla impugnativa della delibera 18.7.2009
Dispone la remissione della causa in istruttoria e statuisce in ordine alla prosecuzione del giudizio relativo alla formazione delle tabelle millesimali come da separata ordinanza”

© massimo ginesi 2 febbraio 2017