locazione commerciale: non alla prelazione in caso di vendita di quote del bene locato.

 

una recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 12 novembre 2018 n. 796) affronta un caso peculiare: un imprenditore svolge la propria attività ricettiva (campeggio) su un fondo che appartiene a tre diversi proprietari, uno dei quali vende la propria quota ad un terzo soggetto, dopo averla offerta senza successo al conduttore.

La vendita avviene decorso qualche mese rispetto a quanto era stato  indicato nell’offerta al conduttore, sì che costui da corso ad azione giudiziale volta all’esercizio del diritto di riscatto.

Diverse sono le eccezioni svolte dai convenuti, sia con riguardo all’esercizio del diritto di riscatto esercitato dal difensore sia con riguardo agli aspetti sostanziali della vicenda.

 “Va osservato che può anche a ritenersi sussistente – adottando lettura decisamente ampia e flessibile –  il potere sostanziale di esercitare il relativo diritto,  conferito al difensore con una procura alle liti separata e che reca data diversa rispetto all’atto di citazione e che, tuttavia, menziona la causa volta all’esercizio del riscatto  nei confronti degli odierni convenuti, sì che – pur in assenza della espressa indicazione e individuazione catastale del bene nel corpo della procura – possa ritenersi conferito al difensore anche il potere sostanziale di esercitare il relativo diritto (arg. da Cass 9.4.2014 n. 8264);

allo stesso modo può ritenersi che le diverse modalità di vendita a terzi, anche solo sotto il profilo temporale, costituiscano condizioni di maggior favore, sì che risulta sussistente diversità fra le modalità in forza del quale è stata effettuata denuntiatio a fini dell’esercizio della prelazione (arg. da Cass. 6. 6. 1992,  n. 6999  “Il conduttore di un immobile urbano per uso non abitativo ha diritto di esercitare il riscatto di cui all’art. 39 l. 27 luglio 1978 n. 392 non solo nei casi in cui il locatore che ha alienato a terzi l’immobile abbia omesso di comunicargli tempestivamente il suo proposito di alienazione, ma anche quando nella comunicazione sia stato omesso o erroneamente indicato il prezzo e le condizioni che, anche indirettamente, influiscono sui termini e le modalità del suo pagamento, come nel caso in cui la stipulazione dell’atto di vendita con il terzo sia stata effettuata in data successiva e diversa da quella indicata nella “denuntiatio”, comportando uno spostamento delladata di pagamento del prezzo rispetto a quella che il conduttore, a norma del comma 4 dell’art. 38 della detta legge, avrebbe dovuto osservare in base alla “denuntiatio””).

Tuttavia risulta dirimente la circostanza che non spetti il diritto di prelazione laddove la cessione a terzi abbia ad oggetto una sola quota indivisa del bene, così come ampiamente argomentato da Cass. SS. UU.  14/06/2007,  n. 13886: la corte di legittimità, nel dirimere il contrasto sussistente fra diverse sezioni, analizza ampiamente i confliggenti indirizzi giurisprudenziali all’epoca sussistenti ed in buona parte riconducibili ad ipotesi del tutto sovrapponibili alla vicenda per cui è causa, giungendo ad affermare l’insussistenza del diritto di prelazione sulla scorta di argomentazioni che, mutatis mutandis, paiono del tutto applicabili anche al caso di specie, sì che – in virtù della c.d. ragione più liquida – diventa ininfluente estendere la disamina anche alle altre ragioni eccepite dai convenuti.

Le Sezioni Unite sottolineano come le principali ragioni che inducono ad accedere alla tesi della inconfigurabilità di un diritto di prelazione ex art 38 L. 392/1978, laddove sia alienata solo una quota ideale del bene ove si esercita l’attività imprenditoriale o commerciale, vada ravvisata nella ferma volontà del legislatore di evitare che nello stesso soggetto si cumulino la qualità di comproprietario e conduttore; in tal senso lo scopo della norma, ossia favorire il consolidamento in capo al conduttore della proprietà del bene ove esercita la propria attività, laddove tale bene sia venduto per quote frazionate, risulterebbe comunque del tutto eventuale  anche se  si consentisse la prelazione, poiché potrebbe conseguire solo ad una serie del tutto ipotetica e congiunturale di evenienze,  quali la successiva determinazione dei diversi comproprietari a cedere le proprie quote nella vigenza del contratto e la contemporanea perdurante determinazione del conduttore ad avvalersi del relativo diritto di prelazione.

Non vi è dubbio che si tratti di principi che trovano totale applicazione al caso in esame, posto che risulta incontroverso che l’attività imprenditoriale dell’attore si eserciti sul terreno distinto al foglio 87 mapp. 305, la cui proprietà appartiene per 1/3 ciascuno a tre diversi soggetti (H. srl, M. G. e A., che ha poi ceduto il proprio terzio – per 1/6 ciascuno ad A. e S.).

Non pare idoneo a superare la censura di fondo evidenziata delle Sezioni Unite l’unico argomento speso sul punto dalla difesa dell’attore, ossia che nel caso di specie si tratterebbe dell’alienazione dell’intero bene oggetto del contratto di locazione, poiché la sussistenza di tre diversi contratti di locazione, uno per ciascuna delle quote ideali pari ad un terzo dell’intero, non muta la circostanza che nel caso di specie sia comunque alienata una quota ideale del bene unico su cui viene esercitata l’attività; riconoscere, in tal caso, il diritto di prelazione comporterebbe gli stessi inconvenienti ed urterebbe contro gli stessi principi che la pronuncia delle Sezioni Unite 13886/2007 pone in evidenza; non pare, infatti, doversi aver riguardo esclusivamente alla identità fra cosa locata e cosa venduta – come sottolinea parte attrice – quanto piuttosto alla sussistenza di una cessione di quota indivisa dell’unico e unitario bene su cui si esercita l’attività del conduttore.

Non paiono conferenti, a tal fine, le letture giurisprudenziali richiamate da C. C. srl in tema di prelazione agraria (Cass. 15/04/1986,  n. 2649), che hanno riguardo a porzioni funzionalmente autonome ed inviduate del fondo condotto, circostanza che appare ontologicamente opposta a quella dedotta in causa, ove sussiste invece pura idealità della quota, sì che in ogni caso il bene oggetto di conduzione (seppur in forza di tre distinti contratti) appare sostanzialmente e  funzionalmente unico.  

La mancata sussistenza del diritto di prelazione comporta che venga meno anche la facoltà di riscatto, oggi esercitata con conseguente reiezione della domanda”

copyright massimo ginesi 20 novembre 2018  

il distacco dall’impianto di riscaldamento dopo la L. 220/2012

schermata-2016-11-07-alle-07-11-46

Il giudice di legittimità  affronta l’annoso problema del distacco del singolo condomino dall’impianto di riscaldamento centralizzato alla luce  dell’art. 1118 cod.civ. nella nuova formulazione  introdotta dalla L. 220/2012.

La Corte di Cassazione,  VI sez. Civile  con sentenza del  3 novembre 2016, n. 22285 ha deciso una controversia  che aveva visto il singolo condomino vittorioso  in primo grado e poi soccombente in appello. La pronuncia è interessante perchè stabilisce che è onere di colui che intende distaccarsi fornire la prova che la sua iniziativa non comporta squilibri o aggravi di spesa.

i fatti e lo svolgimento processuale: “G.C.B. impugnava la delibera dei Condominio di Via (omissis) in (omissis)con la quale l’assemblea condominiale decideva di non concedere il distacco dall’impianto di riscaldamento condominiale alla proprietà C.B., in quanto avrebbe danneggiato le altre unità immobiliari sia dal lato economico, che di rendimento del riscaldamento. Eccepiva il ricorrente l’inefficacia della delibera in violazione dei diritto individuale del condomino di ottenere quanto richiesto.
Si costituiva il Condominio di Via (omissis), eccependo l’incompetenza del giudice adito e sostenendo la competenza del Giudice di Pace. In subordine, contestava le argomentazioni poste a fondamento dell’impugnazione e sosteneva la piena legittimità della delibera. Esperiva domanda riconvenzionale chiedendo il pagamento, delle spese legali sostenute in un precedente accertamento tecnico preventivo intercorso tra le parti ed avente come oggetto l’impianto di riscaldamento centralizzato ed, in particolare, il suo collegamento con i locali di proprietà dei sig. C.B..
II Tribunale dichiarava la competenza del Giudice di pace. II processo veniva riassunto davanti al Giudice di Pace di Milano e si costituiva il condominio richiamando quanto argomentato in precedenza.
II Giudice di Pace, con sentenza n. 108226 del 2012, accoglieva l’impugnazione, dichiarando la nullità della delibera sul punto relativo al distacco del riscaldamento. Dichiarava il diritto di C.B. ad eseguire il richiesto distacco.
Il Tribunale di Milano pronunciandosi sull’appello proposto dal Condominio di via (omissis), con contraddittorio integro, con sentenza n. 8342 del 2014 accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata rigettava l’impugnazione azionata da G.C.B., in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava G.C.B. al pagamento della somma di €. 4.037,75 oltre interessi legali a titolo di risarcimento danni. Condannava C.B. al pagamento delle spese dei doppio grado del giudizio. Secondo il Tribunale di Milano, C.B. non avrebbe dimostrato la sussistenza dei requisiti necessari per operare il distacco del proprio appartamento dal riscaldamento condominiale e, cioè, che per il distacco dal proprio immobile dall’impianto di riscaldamento condominiale non fossero derivati notevoli squilibri di funzionamento od aggravi di spesa per gli altri condomini, non avendo il condomino (omissis) prodotto alcuna relazione termotecnica”

il principio di diritto: la questione relativa al distacco di un condominio dall’impianto centralizzato condominiale trova la sua immediata disciplina nella normativa di cui all’art. 1118 cod. civ. come modificata dalla L. n. 220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, cc. dd. riforma dei condominio. Tale normativa ha, espressamente, ammesso la possibilità dei singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento ma a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto od aggravi di spesa per gli altri condomini. Il condomino che intende distaccarsi deve, in altri termini, fornire la prova che “dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini”, e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale. L’onere della prova in capo al condomino, che intenda esercitare la facoltà del distacco viene meno, come bene ha evidenziato la stessa sentenza impugnata, soltanto nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente autorizzato il distacco dall’impianto comune sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti di cui si è detto Con l’ulteriore specificazione che colui che intende distaccarsi dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale e/o “aggravi” per i restanti condòmini, rinunciare dal porre in essere il distacco perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante. Né, ed è bene precisarlo, l’interessato, ai sensi dell’art. 1118 cod. civ., potrà effettuare il distacco e ritenere di essere tenuto semplicemente a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che dal loro distacco “non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.
Il Tribunale di Milano, nel caso concreto, ha ritenuto che la delibera del 29 marzo 2010 con la quale il Condominio di Via (omissis) in (omissis) ha negato a G.C.B. l’autorizzazione ad effettuare il distacco della propria unità immobiliare dall’impianto di riscaldamento centralizzato era immune da censure perché il condomino C.B. non aveva dimostrato, e lo avrebbe dovuto, la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1118 cod. civ. e cioè la mancanza di squilibri tecnici pregiudizievoli per l’erogazione del servizio e di eventuali aggravi di spesa per i rimanenti condomini scaturenti dal chiesto distacco, e/o, comunque, non ha ritenuto, che la prova dell’insussistenza dei detti pregiudizi fosse presente negli atti dei processo.
Ora, proprio perché il Tribunale ha ritenuto che la prova dell’insussistenza dei pregiudizio di cui si dice non era stata data e/o non era sussistente agli atti del processo, la sentenza non presenta il vizio denunciato di omesso esame di un fatto decisivo. D’altra parte, come chiaramente emerge, dalla sentenza impugnata, le circostanze addotte da C.B.G., che avrebbero dimostrato l’insussistenza dei pregiudizi di cui si dice, sono state valutate e ritenute insufficienti e/o non efficaci al fine che si intendeva raggiungere”

© massimo ginesi 7 novembre 2016