una interessante pronuncia sul divieto di adibire immobili ad uso turistico contenuto nel regolamento.

Il regolamento condominiale, che non abbia natura contrattuale ma venga approvato a  maggioranza ai sensi dell’art. 1138 cod.civ. non può contenere – per un ormai granitico orientamento giurisprudenziale – clausole che incidano sul diritto dominicale dei singoli condomini.

Uno dei classici divieti, che cadono sotto la censura giudiziaria, è quello che impedisce di destinare le abitazioni ad uso turistico-alberghiero.

Cass.Civ. II sez. 28 settembre 2017 n. 22711 affronta un caso davvero peculiare: il Tribunale di Messina e poi la Corte di appello di Messina respingevano la domanda di alcuni condomini, lamentavano che il Tribunale con latra e precedente sentenza avesse dichiarato nulla la clausola regolamentare introdotta con delibera nel regolamento condominiale con il quale “era stato introdotto il divieto di destinare i locali di proprietà dei singoli condomini ad uso diverso da quello abitativo, di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o albergo.”

Ebbene questi condomini lamentavano che fra la data di adozione della delibera e la pronuncia del Tribunale con cui tale divieto era stato dichiarato illegittimo erano stati danneggiati economicamente per non aver potuto utilizzare i propri immobili per gli affitti stagionali a causa del divieto introdotto dal condominio e pertanto chiedevano al condominio risarcimento in tal senso.

Le corti di merito hanno ritenuto che non fosse provato tale danno, poiché “la disposizione regolarmente annullata introduceva il divieto di destinare il locale ad uso diverso dalla privata abitazione, attesa la destinazione degli immobili al luogo di riposo e di villeggiatura e, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, detto disposizione, benché annullata dal Tribunale di Messina perché lesiva delle prerogative dei singoli condomini ed illegittimamente invasiva delle facoltà connessi al diritto di proprietà individuale, tuttavia, non precludeva la possibilità di locare i vani ad uso abitativo anche per brevissimi periodi.

Il divieto riguardava esclusivamente l’affitto degli immobili sotto forma di pensione o albergo, mentre erano consentite tutte quelle utilizzazioni compatibili con la natura del luogo, ivi comprese le locazione ad uso abitativo anche per brevi periodi.

Tali locazioni rappresentavano la forma usuale di sfruttamento degli immobili degli appellanti, come emerso dalle disposizioni dei testi e dalle stesse dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio, dalle quali risultava che gli immobili in questione, fino all’approvazione del regolamento condominiale, erano affittati per brevi periodi dai clienti dello stabilimento balneare gestito dagli stessi A.”

Secondo i giudici di merito la clausola che vieta la destinazione alberghiera è dunque nulla, ma non perla due l’utilizzo delle brevi locazioni stagionali (ad esempio bed&breakfast) che vanno ricondotte all’utilizzo abitativo. 

La vicenda approda in cassazione, su ricorso dei condomini che si ritengono danneggiati, impugnazione che viene respinta, con un interessante motivazione sulla rilevanza del giudicato portato dalla sentenza che ha dichiarato nulla la clausola regolamentare.

Osservano i giudici di legittimità che: “secondo la giurisprudenza di questa Corte cui questo collegio intende dare continuità, “La violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 cod. civ., è denunziabile in cassazione, ma il controllo di legittimità deve limitarsi all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potersi sindacare l’interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perché essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica” Sez. L., Sentenza n. 14297 del 08/06/2017.

Nella specie l’interpretazione del giudicato è congruamente motivata con riferimento al tenore complessivo della clausola annullata – pretermesso nell’esposizione del motivo in esame ma ricavabile dalla lettura della sentenza qui impugnata (fol. 5) – che faceva divieto di “destinare i locali ad uso diverso di privata civile abitazione, attesa la destinazione dell’immobile a luogo di riposo e di villeggiatura e pertanto è fatto divieto di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo”, con ciò mettendosi in relazione il diverso uso intensivo dei locali allorché fossero stati destinati a pensione o albergo rispetto all’uso non abitativo in generale.

Sicché la motivazione della sentenza risulta effettivamente immune da errori giuridici e vizi di logica, essendosi limitata a ritenere che la clausola del regolamento condominiale annullata non si riferisse ad un divieto assoluto di adibire i singoli vani dell’immobile ad uso diverso da quello di privata abitazione, e che, pertanto, fosse consentita la locazione per brevi periodi, come dimostrato anche dal tenore letterale del regolamento condominiale e dal fatto che in istruttoria si era accertato che la clausola era stata modificata proprio per chiarire tale aspetto, e che gli stessi appellanti avevano ammesso che la previsione regolamentare consentiva gli affitti saltuari, cui avevano dovuto ricorrere, conseguendo minori guadagni rispetto a quelli derivanti dall’esercizio della preclusa attività alberghiera.

D’altra parte, deve anche evidenziarsi che il significato dell’espressione utilizzata nella sentenza del tribunale di Messina passata in giudicato di cui il ricorrente lamenta la violazione non è affatto univoco. In tale sentenza si legge, secondo quanto riportato nel ricorso, che l’assemblea del condominio non poteva vietare la destinazione dei locali di proprietà esclusiva ad uso diverso di privata abitazione e, tanto meno, vietare di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo. Ben poteva, pertanto, la Corte d’Appello interpretare tale espressione, come poi effettivamente ha fatto, nel senso che, se in astratto è illegittimo un regolamento condominiale che vieti una particolare destinazione agli immobili di proprietà esclusiva, in concreto tale illegittimità certamente ricomprende quella di vietare l’affitto sotto forma di pensione o di albergo.
Alla luce di ciò deve allora ritenersi coperta da giudicato l’illegittimità della clausola ma non le argomentazioni svolte nella sentenza di annullamento in merito agli altri usi che sarebbero stati comunque consentiti, non costituendo, tale svolgimento logico, un presupposto ineliminabile per sostenere la illegittimità della delibera.

© massimo ginesi 6 ottobre 2017 

opponibilità del regolamento contrattuale non trascritto, diverse questioni da affrontare in cassazione.

La Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria (Cass.civ. sez. II  ord. 24 agosto 2017 n. 20359 rel. Scarpa), affronta un tema di grande  interesse, sotto un duplice aspetto.

Il caso esaminato dalla Corte attiene ad una vicenda processuale che vede un regolamento contrattuale, non trascritto, contenere una clausola che vieta l’uso delle unità singole per uso diverso dalla civile abitazione.

La Corte d’Appello di Bari ha affermato nell’impugnata sentenza che tanto la condomina M. C. s.a.s. che la comodataria L.B. s.n.c. fossero legittimate passive rispetto alla domanda del Condominio P.F. volta alla declaratoria di illegittimità del cambio di destinazione da abitazione ad albergo impresso all’appartamento facente parte del fabbricato, utilizzato per attività di affittacamere, attività vietata dall’art. 5 del Regolamento di condominio, che impedisce gli “usi diversi da quelli di civile abitazione”. La Corte di Bari ha anche condiviso la tardività, già ritenuta dal Tribunale, dell’eccezione di inopponibilità del regolamento condominiale perché non trascritto, qualificando tale eccezione non come mera difesa, ma come eccezione in senso stretto, intempestivamente perciò sollevata dalle originarie convenute soltanto nella memoria di replica conclusionale.”

Il problema relativo alla natura della eccezione di inopponibilità (peraltro in una vicenda che tocca un argomento delicato in materia condominiale) è tema di deciso rilievo che necessità di trattazione estesa.

“Il Collegio reputa, pertanto, che la particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte deve pronunciare renda opportuna la trattazione in pubblica udienza, analogamente a quanto previsto dall’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (così già Cass. Sez. 2, 06/03/2017, n. 5533), e dunque dispone il rinvio a nuovo ruolo”.

Tuttavia alcune riflessione sono già evidenziate dal Giudice di legittimità: “L’ultimo motivo di ricorso riveste un rilievo pregiudiziale, sicchè dovrebbe essere esaminato in via prioritaria.

Esso comporta la necessità di verificare come possa entrare nel processo la questione dell’inopponibilità delle servitù reciproche che siano contenute nel regolamento di condominio, ma non indicate in apposita nota di trascrizione.

La sentenza impugnata ha dato, in sostanza, seguito ad alcuni precedenti di questa Corte, per lo più remoti, secondo cui il difetto di trascrizione di un atto non sarebbe fatto rilevabile d’ufficio, costituendo, piuttosto, materia di eccezione riservata alla parte che dalla mancata trascrizione pretenda di ricavare conseguenze giuridiche a proprio favore (si vedano Cass. Sez. 2, 27/05/2011, n. 11812; Cass. Sez. 2, 18/02/1981, n. 994; Cass. Sez. 2, 11/10/1969, n. 3288).

Peraltro, le Sezioni Unite di questa medesima Corte, con alcune recenti pronunce (Cass. Sez. U, 27/07/2005, n. 15661; Cass. Sez. U, 07/05/2013, n. 10531; Cass. Sez. U, 03/06/2015, n. 11377) hanno progressivamente ridefinito l’ambito processuale delle cosiddette “eccezioni in senso stretto”, ed affermato, per converso, che le cosiddette “eccezioni in senso lato” non sono in alcuna misura subordinate alla specifica e tempestiva allegazione della parte, e dunque non sono soggette ai limiti preclusivi di asserzione e prova previsti per le sole eccezioni in senso stretto.

Il Collegio evidenzia, altresì, come la causa imponga di affrontare l’ulteriore profilo della rilevabilità della questione relativa alla mancata trascrizione di un atto, nella specie sollecitata dalla parte in sede di comparse conclusionali, ove tale rilievo faccia seguito allo svolgimento di iniziali difese incompatibili con la stessa negazione dell’opponibilità di detto atto.”

Non resta che aspettare gli ulteriori sviluppi…

© massimo ginesi 28 agosto 2017 

il regolamento non contrattuale può essere modificato per facta concludentia

Lo afferma la Suprema Corte in una recente sentenza (Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 18 maggio 2017, n. 12579 Rel. Scarpa).

La pronuncia riafferma anche un consolidato principio anteriore alla riforma del 2012 e che deve ritenersi tutt’ora valido:   l’attività di controllo del condomino deve essere esercitata senza costituire intralcio per l’attività dell’amministratore.

a proposito di tale art. 16 del regolamento condominiale (che imponeva all’amministratore di trasmettere copia dei preventivi e dei rendiconti ad ogni condomino almeno dieci giorni prima del giorno fissato per la riunione e di tenere per lo stesso periodo a disposizione dei condomini documenti e giustificativi di cassa), la Corte di Messina ha accertato che lo stesso avesse avuto pratica attuazione da parte dagli amministratori succedutisi nel Condominio (omissis) nell’ultimo decennio nel senso di fissare nell’avviso di convocazione dell’assemblea una data, da concordare, finalizzata a consentire la visione della contabilità, prassi rispettata anche con riguardo all’assemblea del 18/19 febbraio 2009. Trattandosi di prescrizione di contenuto organizzativo, ovvero propriamente “regolamentare”, del regolamento di condominio (e, non quindi, di contenuto contrattuale, ovvero incidente sulla proprietà dei beni comuni o esclusivi), ha certamente rilievo a fini interpretativi, ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c., anche il comportamento posteriore al medesimo regolamento avuto dai condomini, così com’è ammissibile che la stessa norma regolamentare venga modificata per “facta concludentia”, sulla base di un comportamento univoco.”

D’altro canto, se è vero che l’art. 1129, comma 2, c.c., dopo la Riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012, prevede ora espressamente che l’amministratore debba comunicare il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta, possa, appunto, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata, è anche costante, e meritevole tuttora di conferma, l’orientamento di questa Corte secondo cui la vigilanza ed il controllo, esercitati dai partecipanti essenzialmente, ma non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea, non devono mai risolversi in un intralcio all’amministrazione, e quindi non possono porsi in contrasto con il principio della correttezza, ex art. 1175 c.c. (Cass. Sez. 2, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. Sez. 2, 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. Sez. 2, 19 settembre 2014, n. 19799).”

© massimo ginesi 25 maggio 2017

distacco e regolamento contrattuale, la Cassazione da una lettura diversa

A pochi giorni dalla pronuncia con cui ha ritenuto nulla la clausola del regolamento contrattuale che vieti il distacco (o lo consenta obbligando comunque il condomino al pagamento  delle spese di consumo), sull’assunto  che  la legislazione pubblica in tema di energia abbia carattere cogente anche per l’autonomia privata, la corte di legittimità offre una diversa chiave di lettura.

Una discrasia  che dovrà necessariamente vedere nel prossimo futuro una composizione.

Cass. civ. Sez. VI-2 18 maggio 2017 n. 12580 rel. Scarpa riconosce la legittimità delle clausole convenzionali del regolamento che dispongano in materia di distacco.

Nel caso di specie il regolamento di natura contrattuale prevedeva che “del regolamento condominiale di natura
contrattuale, il quale dispone che “la rinuncia al servizio di riscaldamento centrale può essere ammessa purché per un’intera stagione e con le opportune garanzie ed importa l’obbligo di pagare la metà del contributo che il rinunciante avrebbe dovuto pagare se avesse usufruito del servizio”.

Osserva la corte che “la disposizione regolamentare in esame, limitandosi ad obbligare il condomino rinunziante a concorrere parzialmente anche alle spese per l’uso del servizio centralizzato, non va intesa come clausola impeditiva del distacco (il che, ad avviso di precedenti decisioni di questa Corte, renderebbe il contratto non meritevole di tutela: Cass. Sez. 2, 29 settembre 2011, n. 19893; Cass. Sez. 2, 13 novembre 2014, n. 24209).

E’ stato, piuttosto, stabilmente affermato dalla giurisprudenza, con orientamento che deve trovare conferma e depone per l’infondatezza del ricorso, come sia legittima la delibera assembleare che disponga (proprio come nel caso in esame), in esecuzione di apposita disposizione del regolamento condominiale avente natura contrattuale posta in deroga al criterio legale di ripartizione delle spese dettato dall’art. 1123 c.c., che le spese di gestione dell’impianto centrale di riscaldamento siano a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio (per avervi rinunciato o essersene distaccati), tenuto conto che la predetta deroga è consentita, a mezzo di espressa convenzione, dalla stessa norma codicistica (Cass. Sez. 2, 23 dicembre 2011, n. 28679;
Cass. Sez. 2, 20 marzo 2006, n. 6158; Cass. Sez. 2, 28 gennaio 2004, n. 1558).

E’ del resto derogabile dai condomini, nell’esercizio della loro autonomia privata, anche la disciplina dell’art. 1118 c.c., che correla diritti ed obblighi dei condomini al valore millesimale di contitolarità, prescegliendo un accordo di valore negoziale che si risolve in un impegno irrevocabile di determinare quantitativamente le quote di contribuzione alle spese in un certo modo (cfr. Cass. Sez. 2, 26/03/2010, n. 7300).

Non è dunque ravvisabile nella previsione che il rinunziante all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento debba concorrere alle sole spese per la manutenzione straordinaria o alla conservazione dell’impianto stesso, una norma imperativa non derogabile nemmeno con accordo unanime di tutti i condomini, in forza di vincolo pubblicistico di distribuzione degli oneri condominiali dettato dall’esigenza dell’uso razionale delle risorse energetiche e del miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, ed essendo perciò i condomini liberi di regolare mediante convenzione il contenuto dei loro diritti e dei loro obblighi mediante una disposizione regolamentare di natura contrattuale che diversamente suddivida le spese relative all’impianto, ferma l’indisponibilità del diritto al distacco

La tesi oggi avanzata appare maggiormente condivisibile alla luce dei principi generali in tema di energia e riscaldamento, atteso che la normativa imperativa è indubitabilmente volta alla ottimizazione dei consumi e alla riduzione dell’inquinamento atmosferico, sicche quello appare  lo scopo pubblico da  doversi ritenere inscalfibile dalla autonomia privata, potendo invece rimanere  nella disponibilità dei singoli la facoltà  di statuire sui  risvolti patrimoniali di vicende quali il distacco (che dovrà comunque rispondere alle norme tecniche in materia, anche e non solo per quanto stabilito dall’art. 1118 Iv comma cod.civ.).

massimo ginesi 19 maggio 2017

la disciplina sull’abbattimento delle barriere architettoniche prevale sul regolamento contrattuale.

La Corte di Cassazione, con recentissima sentenza (Cass. civ. II sez. 28 marzo 2017 n. 7938),  riafferma la valenza sociale delle norme in tema di barriere architettoniche e la prevalenza della relativa disciplina sulla autonomia privata.

La riconducibilità della normativa sui disabili alla funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) è stata più volte espressa dalla giurisprudenza anche costituzionale (Corte Costituzionale 29 aprile – 10 maggio 1999 – n. 167).

La circostanza che, per l’applicazione di quei principi, non sia necessaria l’effettiva presenza di un soggetto disabile fra i condomini rappresenta altresì costante orientamento della giurisprudenza di merito e legittimità fin dalle prime applicazioni della L. 13/1989.

L’odierna pronuncia contiene un principio di diritto di sicuro rilievo ed interesse, ma per le ampie e approfondite considerazioni sul tema merita lettura integrale: “In materia di eliminazioni di barriera architettoniche la legge 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, sì che la soprelevazione del preesistente impianto di ascensore e il conseguente ampliamento della scala padronale, non possono essere esclusi unicamente in forza di una disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione di qualunque opera che  interessi le strutture portanti, modifichi impianti generali o comunque alteri l’aspetto architettonico dell’edificio, all’autorizzazione del condominio.

Tale disposizione del regolamento condominiale risulta infatti recessiva rispetto alla esecuzione di opere indispensabili ai fini di un effettiva abitabilità dell’immobile, dovendo in tal caso verificarsi che dette opere, se effettuate a spese del condomino interessato, rispettino i limiti previsti dall’articolo 1102 codice civile.

Nel compiere tale verifica il giudice di merito dovrà tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi  anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettiva utilizzazione  da parte di costoro degli edifici interessati.”

© massimo ginesi 29 marzo 2017

tabelle millesimali: valgono le condizioni del fabbricato al momento della loro adozione.

Le tabelle millesimali rappresentano un infinito territorio di disputa, con particolare riguardo alla possibilità di modifica in caso di variazioni o di errore.

La Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. II Civile,  9 febbraio 2017, n. 3516) torna, ancora un volta, sul tema per ribadire principi ormai consolidati.

La Corte è chiamata a valutare se l’omessa realizzazione di un garage, ancora in sede progettuale all’epoca  di compilazione delle tabelle e mai realizzato, consenta oggi di chiedere la revisione dei valori millesimali.

La pronuncia fa ancora riferimento alle frazioni di notevole valore, applicando (ratione temporis) l’art. 69 disp.att. cod.civ. nella sua formulazione ante legge 220/2012, per cui oggi si avrà riguardo a variazioni superiori ad un quinto; il criterio espresso mantiene comunque la sua rilevanza a fronte della norma attualmente vigente.

L’omessa realizzazione di un manufatto (in ispecie il garage) non può comportare automaticamente la revisione delle tabelle millesimali.
La mancata realizzazione del manufatto medesimo “imputabile (secondo la Corte di merito) all’inerzia dei titolari” non solo non può dar luogo “al ricadere delle conseguenze sugli altri condomini”, ma deve, innanzitutto (e al di là di quanto affermato dalla gravata decisione), comportare una adeguata e comprovata modificazione rispetto a quella in origine valutata alla fine della composizione delle tabelle millesimali.
Inoltre, ancora, solo una notevole alterazione dell’originario rapporto fra le parti dell’edificio potrebbe comportare – ex art. 69, n. 2) Disp. Att. c.c.) – la revisione tabellare.
Al riguardo, giova ancora evidenziare, la Corte di merito ha deciso conformemente al principio già enunciato da questa Corte (Cass. 10 febbraio 2010, n. 3001) e parti ricorrenti non allegano. idonee argomenti atti a mutare il suddetto applicato orientamento.”

La sentenza del 2010 richiamata dalla Corte completa  la chiave di lettura “momento normativo di individuazione dei valori delle unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva ai singoli condomini, e del loro proporzionale ragguaglio in millesimi a quello dell’edificio, e’ quello di adozione del regolamento e che la tabella che li esprime e’ soggetta ad emenda soltanto in relazione ad errori, di fatto o di diritto, che attengano alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unita’ immobiliari, ovvero a circostanze sopravvenute attinenti alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori.
In ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati dalle tabelle millesimali, sono escluse, dunque, sia la revisione che la modifica delle tabelle tanto per errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, quanto per mutamenti successivi dei criteri di stima della proprieta’ immobiliare, quand’anche abbiano comportato una rivalutazione disomogenea delle singole unita’ dell’edificio od alterato, comunque, il rapporto originario tra il valore delle singole unita’ del condominio e tra queste e l’edificio. Nel caso in cui venga chiesta la revisione delle tabelle, l’errore o gli errori lamentati devono, dunque, oltre che essere causa di una divergenza apprezzabile tra i valori posti a base della redazione delle tabelle e quello allora effettivo, risultare anche oggettivamente verificabili in base agli elementi sui quali il valore in quel momento doveva essere calcolato (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 24 gennaio 1997, n. 6222).”

© massimo ginesi 13 febbraio 2017

se il regolamento vieta l’esercizio rumoroso…

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Una clausola del regolamento condominiale contrattuale vieta di destinare gli appartamenti ad attività rumorose:  il condominio adotta una delibera con cui viene fatto divieto ad uno dei condomini di destinare una delle unità ad asilo nido e costui ricorre al giudice per sentirne dichiarare l’illegittimità.

In primo grado viene espletata CTU che rileva come la rumorosità proveniente dall’asilo nido, quantomeno per due delle altre unità del condominio, risulti superiore alla normale tollerabilità, tenuto conto anche dei parametri normativi in materia.

L’attività di asilo nido viene dunque ritenuta contraria alla clausola regolamentare, non già per definizione ma accertata la sua concreta rumorosità.

Sia in primo grado che in appello la pronuncia è favorevole al Condominio.

L. vicenda giunge in Cassazione che, nel pronunciarsi sul ricorso, detta  alcuni importanti principi, anche e soprattutto sui limiti del giudizio di legittimità, troppo spesso dimenticati.

Cass. Civ. II sezione 6 dicembre 2016 n. 24958 ricorda preliminarmente “L’insegnamento secondo cui l’interpretazione del  contratto e degli atti di autonomia privata – e, dunque, pur, siccome nel caso di specie, di un regolamento condominiale contrattuale -costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità  soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione

 “Si rappresenta in particolare che la corte di merito ha correttamente, ovvero in pieno ossequio al canone esegetico letterale, ancorato il riscontro cui poi ha concretamente atteso, alla previsione del regolamento ove, aldilà delle attività oggetto di esplicita e puntuale menzione, è tout court,  senza, ben vero, precisazione alcuna, fatto divieto di destinare  gli appartamenti ad esercizi    rumorosi (l’art. 3 del regolamento recita che è fatto divieto di destinare gli appartamenti ad uso di qualsiasi industria esercizi rumorosi, sì che il concetto di rumoroso va delineando in relazione al suo concreto  espletamento).”…

Sottolinea la Corte che “Nè la censura ex n. 3)  né la censura ex n. 5)  del primo comma dell’articolo 360 c.p.c.  possono risolversi una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera  contrapposizione di una differente interpretazione”

Non può così essere più censurata in cassazione l’interpretazione che della clausola regolamentare hanno dato i giudici di merito, ritenendo vietata l’attività ove rechi disturbo solo ad alcuni condomini e non all’intero fabbricato: “L’assunto della ricorrente secondo cui la corte distrettuale  avrebbe omesso di considerare il chiaro dettato letterale dell’articolo 3 del regolamento condominiale, nella parte in cui individua nella tranquillità dell’intero fabbricato il limite superato il quale le attività non tipizzate (qual è quella di asilo nido) possono ritenersi vietate poiché (nel caso di specie) rumorose, non puoi in alcun  modo essere recepito”

“Si rappresenta conseguentemente che il  preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell’omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente  dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia,  prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esiste insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Nei termini teste enunciati l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed  esaustivo sul piano logico formale”

Insomma l’asilo faceva un rumore concretamente superiore alla normale tollerabilità, accertato mediante CTU e non solo in base alla valutazione astratta della attività, il giudice di primo e quello di secondo grado hanno ampiamente e correttamente motivato la loro decisione, l’interpretazione della clausola regolamentare espressa dal giudice di merito non deve essere la migliore ma solo una di quelle astrattamente possibili e – soprattutto – ove sussistano tutti questi parametri, il ricorso in cassazione avrà con ogni probabilità esito infausto.

© massimo ginesi 8 dicembre 2016

le norme sui requisiti dell’amministratore sono di ordine pubblico?

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Da molti si sostiene che la disciplina di cui all’art. 71 bis disp.att. cod.civ. , in tema di requisiti dell’amministratore, costituisca disciplina sottratta alla disponibilità delle parti poichè volta a garantire  interessi diffusi o, per alcuni , di ordine pubblico. Sarebbero infatti destinati ad assicurare  la rispondenza dell’amministratore a determinati parametri di affidabilità e professionalità, esigenza riconducibile alla collettività che il legislatore riterrebbe prioritaria rispetto alla autonomia privata.

La Cassazione, con una recentissima pronuncia, che per verità ha ad oggetto un caso sorto sotto la vigenza  della disciplina ante L. 220/2012, quindi quando l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. non era ancora in vigore, afferma che rientra nella libera determinazione delle parti stabilire i requisiti richiesti all’amministratore, cosicché è lecita la clausola di un regolamento condominiale di natura contrattuale che detti specifici requisiti per la figura dell’amministratore.

Cass. civ. II sez. 30 novembre 2016 n. 24432 ha deciso su un motivo di ricorso così formulato: ” si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1129-1105-1138 cod. civ., 3-41-42 Cost. e 85 Trattato istitutivo CEE, per avere la Corte di Appello ritenuto che il regolamento del condominio — nel prevedere all’art. 27, comma 4, che “l’amministratore dovrà essere un libero professionista iscritto al rispettivo albo elo associazione, ordine o collegio di appartenenza” — potesse derogare alle norme di legge che regolano la nomina dell’amministratore, vietando che tale nomina fosse conferita ad una società di persone; si lamenta anche che la Corte territoriale abbia interpretato il regolamento condominiale nel senso che vietasse la nomina ad amministratore di una società di persone e che comunque — ferma tale interpretazione — non abbia ritenuto nullo il regolamento condominiale sul punto”

Ed ha affermato Le censure sono infondate. Non sussiste alcuna violazione di legge nella previsione del regolamento condominiale che stabilisca le caratteristiche, i requisiti e i titoli che deve avere l’amministratore del condominio. Invero, in tema di condominio negli edifici, l’art. 1138 quarto comma cod. civ., pur dichiarando espressamente non derogabile dal regolamento (tra le altre) la disposizione dell’art. 1129 cod. civ., la quale attribuisce all’assemblea la nomina dell’amministratore e stabilisce la durata dell’incarico (Sez. 2, Sentenza n. 13011 del 24/05/2013, Rv. 626458), non preclude però che il regolamento condominiale possa stabilire che la scelta dell’assemblea debba cadere su soggetti (persone fisiche o persone giuridiche) che presentino determinare caratteristiche, requisiti o titoli professionali.

La pronuncia attiene a caso sorto sotto la vigenza della legge precedente e quindi non può essere letto che in quell’ottica, è tuttavia singolare che la corte si limiti ad affermare unicamente il principio della autonomia privata senza fare minima menzione della sopravvenuta normativa che si assumerebbe di ordine pubblico e, come tale, inderogabile.

Potrebbe trattarsi di estrema sintesi del giudice di legittimità, di mera svista oppure potrebbe trattarsi di indicazione interpretativa assai importante anche per la lettura delle norme sopravvenute.

© massimo ginesi 2 dicembre 2016 

regolamento condominiale e opponibilità: uno strano caso.

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E’ principio consolidato nella giurisprudenza che solo il regolamento di natura contrattuale possa prevedere  limiti alla proprietà individuale, così come è tesi consolidata che la natura contrattuale del regolamento possa essere desunta dalla sua allegazione all’atto di acquisto delle singole unità, anche mediante il richiamo di singole clausole.

Affinché il richiamo del regolamento sia efficace, e divenga opponibile all’acquirente, il testo di tale atto deve essere esistente  e conoscibile al momento dell’acquisto, non potendo ritenersi idoneo a vincolare l’acquirente il generico richiamo ad un futuro regolamento ancora da predisporre.

La Suprema Corte ha tuttavia affrontato un caso peculiare, in cui il regolamento  prevedeva il divieto di installare vasi da fiori sulla terrazza, giunto al suo esame poiché il proprietario dell’unità immobiliare attigua assumeva che tali vasi gli impedissero la visuale.

Tale regolamento non era esistente al momento dell’acquisto delle singole unità, ma l’acquirente nell’atto di compravendita conferiva procura speciale al costruttore per la sua redazione.

Cass. civ. II sez.  14 novembre 2016, n. 2312 così enuclea i fatti “S.F. e P.G.L. , con atto di citazione notificato nel 1998 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Tempio Pausiana, C.G. e sul presupposto di essere proprietari di un appartamento situato in un Condominio (omissis) in località (omissis) confinante con quello del convenuto il quale aveva sistemato sul parapetto del proprio terrazzo un vaso di fiori parzialmente occlusivo della vista mare esercitabile da essi in violazione del regolamento condominiale contrattuale”.

La Corte di legittimità condivide la soluzione cui già era pervenuto il giudice di merito osservando che ” la clausola n. 9 del contratto di compravendita del C. così come riportata dallo stesso ricorrente, posto che afferma che “(…) la parte acquirente rilascia alla società venditrice procura speciale affinché la stessa in nome e per conto di essa parte rappresentata, oltre che in nome proprio, provveda: ad effettuare presso un notaio in modo che possa operarsi anche la relativa trascrizione il deposito del Regolamento di Condominio in corso di predisposizione a cure e spese della società venditrice, regolamento di condominio in cui sono precisate: le tabelle millesimali (….) le limitazioni imposte alle destinazioni delle porzioni immobiliari di proprietà individuali (….) la precisazione di limitazioni ed obblighi da rispettarsi nell’interesse dell’ordine e del godimento come, l’obbligo di coltivare e mantenere decorosamente a giardino le porzioni di aree cedute in proprietà il regolamento circa i divieti (…..), dà la possibilità di intendere, per logica interna e per un significato complessivo della stessa clausola, nonché per il richiamo effettuato al Regolamento di condominio in fase di predisposizione a cura e spese della società e alle materie che lo stesso avrebbe disciplinato, che la procura speciale ricomprendesse il mandato alla società venditrice di predisporre il Regolamento condominiale, anche per conto del C.”

Osserva la Corte suprema che va “in particolare definitivamente acquisito il decisivo punto conclusivo dell’iter argomentativo svolto, e cioè che “(…) dall’esame dell’atto di acquisto dell’unità immobiliare si evince che l’appellante ha conferito specifica procura speciale alla società costruttrice per predisporre il Regolamento condominiale in nome e per conto dell’acquirente C. , oltre che nel proprio interesse”, con il conseguente pacifico risultato che l’atto compiuto dal mandatario (ovvero la predisposizione del regolamento contrattuale da parte del costruttore venditore) produce i propri effetti giuridici direttamente nella sfera del mandante (l’acquirente).

Interessante anche la disamina processuale effettuata dalla corte sui motivi di ricorso e, sulla loro ammissibilità : “Il senso attribuito dalla Corte distrettuale alla clausola in esame, pertanto, rientra in una possibilità interpretativa e, come è stato già detto da questa Corte, in altra occasione, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte, che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 14 novembre 2003, n. 17248). In sostanza la censura svolta dai ricorrenti si risolve nella mera contrapposizione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle loro aspettative e asseritamente più persuasiva di quella accolta nella sentenza impugnata, il che, come detto, è tuttavia inammissibile in questa sede di legittimità.”

© massimo ginesi 21 novembre 2016

regolamento condominiale contrattuale e trascrizione

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La Cassazione torna su un tema fonte di grande contrasto nella vita condominiale, ovvero i limiti posti alla proprietà privata dal regolamento condominiale.

La vicenda attiene al divieto di installazione di canne fumarie sui muri perimetrali per determinate unità poste nel condominio, divieto contenuto nel regolamento di natura contrattuale e che – senza dubbio – costituisce un limite al diritto dominicale dei singoli che può avere solo origine convenzionale.

I ricorrenti lamentano che, invece, nel loro atto tale divieto non risultava espressamente e chiaramente menzionato, pur essendo contenuto nel regolamento di natura contrattuale in vigore nel condominio e quindi era a loro inopponibile.

Con la sentenza 22310 del 3 novembre 2016 la seconda sezione civile afferma che “Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell’atto di acquisto si sia  fatto riferimento regolamento di condominio, regolamento che seppure non inserito materialmente, deve ritenersi conosciuto e accettato in base al richiamo e alla menzione di esso nel contratto”

La decisione è in linea con il prevalente orientamento della Cassazione, da ultimo ribadito dalla stessa seconda sezione civile con sentenza del 28 settembre 2016 n. 19212, con ampi richiami giurisprudenziali (Cass. 3 luglio 2003 n. 10523; Cass. 14 gennaio 1993 n. 395; Cass. 26 maggio 1990 n. 4905) ove – nel riportare il principio di diritto sopra espresso – si afferma che “La trascrizione, salvo i casi in cui le sono attribuite particolari funzioni soltanto notiziali oppure costitutive, e’ destinata normalmente a risolvere i conflitti tra diritti reciprocamente incompatibili, facendo prevalere quello il cui atto di acquisto e’ stato inserito prioritariamente nel registro immobiliare. Presupposto indefettibile dell’operativita’ dell’istituto e’ quindi la concorrenza di situazioni giuridiche soggettive che risultino in concreto inconciliabili, alla stregua dei titoli da cui rispettivamente derivano.

Una tale situazione di conflitto non si verifica pero’ quando una proprieta’ viene espressamente acquistata come limitata da altrui diritti, per i quali una precedente trascrizione non e’ quindi indispensabile, in quanto il bene non e’ stato trasferito come libero, ne’ l’acquirente puo’ pretendere che lo diventi a posteriori, per il meccanismo della “inopponibilita’”. In questo senso e’ univocamente orientata la giurisprudenza di legittimita’ (cfr Cass. n. 17886 del 2009).”

© massimo ginesi 4 novembre 2016