l’amministratore che trattiene somme versate dai condomini e’ responsanbile di appropriazione indebita

Una recentissima sentenza di legittimità (Cass. pen.  sez. II  21 aprile 2020 n. 12618) dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore condannato nei gradi di merito e, nell’occasione, delinea il quadro della responsabilità del mandatario  che si appropri di somme dei condomini, anche se ciò avvenga in ragione di presunte ragioni di credito (che peraltro, anche ove dimostrate, darebbero luogo ad esercizio arbitrario delle proprie ragioni).

Ne deriva un corollario che dovrebbe essere patrimonio culturale di ogni amministratore: mai, per alcuna ragione, prelevare somme dal conto condominiale ad uso personale, neanche laddove si vantino dei crediti che – semmai – andranno sottoposti alla verifica assembleare per il loro riconoscimento oppure azionati in via giudiziale, ove il condominio li contesti.

La condotta come emerge dalla sentenza di primo grado ” il Tribunale aveva ritenuto integrata la condotta appropriativa contestata all’imputato, “essendo stata raggiunta prova ragionevolmente certa del fatto che l’imputato si sia appropriato del denaro depositato sui conti correnti intestati ai condomini del quale aveva il possesso in qualità di mandatario e quale unico delegato ad operare sui predetti conti correnti.

Tali somme erano gravate da un vincolo di destinazione, posto che l’imputato aveva l’obbligo di incassare i canoni con l’accordo di restituirli ogni tre mesi ai proprietari, dopo aver detratto a titolo di compensi professionali la percentuale del 3% annuo del monte locazioni e le spese documentate necessarie alla gestione.

È poi emerso e confermato dall’imputato – che al momento della revoca del mandato, il M. abbia omesso di corrispondere (e quindi si sia appropriato) anche i canoni di locazione versati per il trimestre giugno – ottobre 2013, senza che il motivo posto alla base della condotta criminosa – pagamento per un presunto e non documentato diritto di credito- possa incidere sulla rilevanza penale della stessa.

L’esame degli estratti dei conti correnti ha, inoltre evidenziato il compimento di prelievi e bonifici sprovvisti di giustificativo compiuti, per stessa ammissione dell’imputato, da lui medesimo. Dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato, confermate anche dalla vicenda speculare del condominio “(OMISSIS) “, è emerso il seguente modus operandi: il M. , amministratore di diversi stabili oltre a quelli di proprietà delle parti civili, era solito utilizzare il denaro presente sui conti correnti intestati ai diversi condomini come fosse cosa propria sia per coprire ammanchi di altri conti corrente sia per fini personali: tale condotta esorbita sicuramente i limiti consentiti al M. in qualità di mandatario ed integra la condotta appropriativa tipizzata all’art. 646 c.p.“.

i rilievi della corte di legittimità: “D’altro canto, questa Corte (Sez. 2, sentenza n. 293 del 04/12/2013, dep. 2014, Rv. 257317) ha già chiarito che il reato di appropriazione indebita non viene meno quanto l’imputato invochi di aver trattenuto le somme in contestazione a compensazione di propri preesistenti crediti, ove si tratti di crediti non certi, non liquidi e non esigibili.

I fatti accertati non integrano il reato di cui all’art. 392 c.p.: è, infatti, tradizionale l’insegnamento per il quale non ricorre il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nel caso in cui il soggetto che si sia appropriato di denaro o beni a preteso soddisfacimento di un credito abbia piena signoria sui predetti denaro o beni e piena coscienza e volontà di farli propri, sussistendo in questo caso l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 646 c.p., non potendo parlarsi di buona fede rispetto ad una azione esecutiva privatamente esercitata, e non ricorrendo conseguentemente alcuno dei casi che potrebbero giustificare l’esclusione del dolo (Sez. 2, sentenza n. 10282 del 29/04/1975, Rv. 131104).”

per la dettagliata analisi della condotta, può essere interessante leggere la sentenza per esteso

Cass. pen.12618:2020

© massimo ginesi 23 aprile 2020

 

calcinacci dal balcone: chi ne risponde sotto il profilo penale?

Alcuni calcinacci cadono dal balcone aggettante e colpiscono un passante cagionandogli lesioni. la condomina dell’appartamento a cui il balcone serve viene condannata in 1° e 2° grado per lesioni colpose ex art 590 c.p. e ricorre alla Corte di Cassazione, sostenendo che – poiché nel fabbricato era stato indicato un amministratore, a costui unicamente doveva essere ascritta la relativa responsabilità penale.

La Corte di legittimità (Cass. pen. sez. IV 28 febbraio 2019 n. 7665) rigetta il ricorso, ponendo alcune osservazioni che risultano di interesse per l’interprete: anche ove vi sia un amministratore ritualmente nominato, la responsabilità del rporpiatrio non è automaticamente esclusa, poiché costui rimane un delegato all’assolvimento di obblighi altrui, pertanto, ove nona tempia correttamente si potrà configurare una sua responsabilità in concorso con quella del delegante ma mai una esclusione della responsabilità del proprietario che è comunque tenuto a vigilare sull’opera altrui.

E’  dunque opportuno che l’amministratore consideri con grande cautela il proprio ruolo e la necessità di interventi su beni pericolanti che si stacchino dal prospetto dell’edificio, interpretando in senso ampio la posizione di garanzia che la legge gli conferisce e senza trincerarsi dietro la proprietà individuale del balcone che, ove si inserisca nel prospetto dell’edificio, è stato comunque ritenuto anche in passato dalla giurisprudenza  fonte di responsabilità per l’amministratore (Cass. 34147/2012, ove si afferma che “L’amministratore del condominio riveste una specifica posizione di garanzia, ex art. 40, comma 2, c.p., in virtù del quale ha l’obbligo di attivarsi per rimuovere le situazioni di pericolo per l’incolumità di terzi”, anche ove tale pericolo fderivi da beni individuali ma si rifletta su parti comuni.)

 Ecco i due passaggi significativi della pronuncia:

il primo sulla responsabilità personale  del proprietario

il secondo sulla valenza non esimente della ruolo dell’amministratore

© massimo ginesi 10 aprile 2019 

art. 659 cod.pen.: il disturbo alle persone in condominio

La Suprema Corte detta i limiti del reato di disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone in ambito condominiale (Cass. pen. III sez. 29 dicembre 2016 n. 55096).

In primo luogo la corte chiarisce che la fattispecie penale è tuttora vigente: “ Il reato previsto dall’articolo 659 codice penale non risulta depenalizzato; non rientra tra le ipotesi di depenalizzazione del d. lgs. n.7 e n. 8  del 2016. La previsione della depenalizzazione nella legge numero 67 del 2014 all’articolo 2  non è sufficiente per ritenere depenalizzato il reato. Il reato previsto dall’articolo 659 codice penale, disturbo dell’occupazione di riposo delle persone, non può ritenersi abrogato per effetto diretto della legge 28 aprile 2014, numero 67, posto che tale atto normativo ha conferito al Governo una delega, implicante la necessità del suo esercizio per la depenalizzazione di tale fattispecie”

Il giudice di legittimità delinea poi i limiti del reato all’interno di un fabbricato plurifamiliare: “Trattandosi di condominio la configurabilità del reato è realizzata solo se il disturbo non sia limitato gli appartamenti sovrastanti e sottostanti a quello del disturbatore: “perché sussista la contravvenzione di cui all’articolo 659 codice penale relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante sottostante la fonte di propagazione ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio… Integra la contravvenzione di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone l’organizzazione di feste e cerimonie all’interno di uno scantinato di edificio condominiale che si protraggano  per ore, con schiamazzi,  rumori e abuso di strumenti sonori idonei a diffondersi all’interno e all’esterno dello stabile, con pregiudizio della tranquillità di un numero indeterminato di persone”

Decisamente verificata l’ipotesi nel caso all’esame della corte: “Nel nostro caso l’intensità dei rumori, che ha costretto intere famiglie uscire dalla casa per trovare un po’ di pace, e la lettera esposto la curia, con richiesta di intervenire quale proprietario dell’appartamento, inducono a ritenere, come adeguatamente motivato la sentenza impugnata, che il disturbo sia venuto nei confronti di un numero indeterminato di persone, o comunque era potenzialmente idonea di infastidire tutto lo stabile ed anche oltre”

© massimo ginesi 31 dicembre 2016

il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone in condominio

 

L’art. 659 cod.pen. prevede che : “Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro”

La Suprema Corte ( Cass. pen. III sez. 15 dicembre 2016 n. 53102) ha delineato i limiti di applicabilità della norma in ambito condominiale, sia con riferimento alla natura del disturbo che con riguardo alla responsabilità del genitore  che non impedisca al figlio di arrecare quel disturbo, tenendo lo stereo troppo alto.

Quanto alla possibilità che il reato sussista in ambito condominiale, la corte afferma che non è sufficiente che il rumore interessi solo le unità contigue:  Affinché sussista la contravvenzione in oggetto relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei a recare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni  non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti medesimo edificio

Nel caso di specie il rumore si percepiva ben oltre l’ambito condominiale: “La sentenza impugnata ha chiaramente e analiticamente riportato elementi di prova dai quali doveva ritenersi che i rumori fossero stati percepiti ben al di là addirittura dell’ambito condominiale, in particolare richiamando le deposizioni dei testi, entrambi appartenenti alla polizia municipale, secondo cui la musica ad alto  volume si percepiva già ad 80 m di distanza dal condominio… Il fatto che sono due persone avessero ritenuto di denunciare il fatto non poteva evidentemente incidere sulla sussistenza del reato”

Assai interessante si rivela invece il passaggio sulla colpa attribuita al padre e sul concetto di posizione di garanzia, spesso richiamato in giurisprudenza anche per fondare la colpa per responsabilità omissiva dell’amministratore: ” aldilà dell’improprio richiamo effettuato per sostenere la responsabilità dell’imputato, agli obblighi discendenti dalla sua qualità di proprietario ed abitante dell’immobile dal quale i rumori si diffondevano, posto che il danno non è stato, nella specie, come correttamente rilevato del ricorrente, prodotto dall’immobile in sé (come richiesto dall’articolo 2051 codice civile) ma dagli apparecchi di riproduzione musicale attivati dal figlio, la sentenza ha posto in evidenza la posizione di garanzia data dall’esercizio della potestà genitoriale sul figlio minore autore, come appena detto, delle propagazioni rumorose”

A tal proposito rileva la Suprema corte che “Tale fonte di responsabilità è stata correttamente evocata dei giudici di merito. L’articolo 40 comma due codice penale prevede che “non impedire un evento che sia l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” e non può esservi dubbio che fra gli obblighi giuridici richiamati da tale norma debba ricomprendersi anche quello discendente dalla responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori, essendo i genitori responsabili del danno cagionato da fatto illecito dei figli minori secondo quanto previsto dall’articolo 2048 codice civile”

“Va infatti chiarito come da tale disposizione discenda un obbligo  di sorveglianza che, senza escludere la concorrente responsabilità del minore ultraquattordicenne e  capace di intendere di volere, non può non radicare una responsabilità anche del genitore in tutti casi in cui un tale obbligo sia rimasto inadempiuto, solo che restando salva la possibilità, espressamente consentita dal comma tre dell’articolo 2048 citato, di provare di non aver potuto impedire il fatto”

© massimo ginesi 16 dicembre 2016

amministratore: l’appropriazione indebita si perfeziona con il prelievo

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La Suprema Corte (Cass. pen. II sez. 1 agosto 2016 n. 33547) delinea linee interpretative dell’art. 646 cod.pen. in campo condominiale che devono far riflettere chi si trova  a gestire patrimoni, anche significativi, riconducibili a centri di interesse diversi.

Con sentenza depositata il primo di agosto la Corte chiarisce che l’appropriazione si perfeziona non con la mancata restituzione ma con il  prelievo dal conto condominiale e che l’ingiusto profitto può concretizzarsi anche semplicemente nello spostamento delle somme ad un unico conto con il quale l’amministratore gestiva tutti i condomini, che presentava condizioni di miglior favore.

Un sentenza da leggere, per comprendere come prassi che oggi sono espressamente vietate dall’art. 1129 XII comma n. 4 cod.civ. e che in precedenza erano comunque considerate illecite sotto il profilo civilistico dalla giurisprudenza abbiano anche risvolti di natura penale da non sottovalutare.

© massimo ginesi 2 agosto 2016 

il committente che non verifica l’idoneità dell’appaltatore risponde di omicidio colposo

E’ obbligo del committente accertarsi che l’impresa scelta per i lavori abbia i requisiti di idoneità richiesti per lo svolgimento dell’opera che gli viene affidata e che in cantiere vengano rispettate le norme minime di sicurezza, poiché ove così non sia e accada un infortunio mortale di tale evento sarà chiamato a risponderà anche chi ha commissionato l’opera.

Lo ha ribadito la Cassazione penale, con una lunga ed articolata disamina, nella sentenza 263/2016 della quarta sezione penale depositata in data 1.6.2016.

La pronuncia compie una accurata disamina degli obblighi del committente, con riferimento al principio della culpa in eligendo e della cupola in vigilando e merita attenta lettura anche da parte dell’amministratore di Condominio che, con frequenza, può trovarsi ad impersonare quel ruolo che implica ben precise responsabilità  anche sotto il profilo penale.

Osserva in particolare  la corte che, ai fini della responsabilità,   “rilevanti devono considerarsi i criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera (quale soggetto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa); fondamentale è poi l’accertamento di situazioni di pericolo così evidenti e macroscopiche da non poter essere ignorate da un committente sovente presente in cantiere”.

Il giudice di legittimità sottolinea che “Sul punto, deve rilevarsi che l’art. 3, co. 1, d. lgs. 495/96 richiama il committente a d attenersi ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’art. 3 del d. lgs. 6 26/ 94 e che, parallelamente, il comma 9 lett. a) dell’art. 90 citato prevede, in a dempimento dell’obbligo di verifica da parte del committente, la presentazione, da parte del datore di lavoro, del certificato d’iscrizione alla Ca mera di commercio, industria e artigia nato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato però dalla autocertificazione sul possesso degli altri requisiti di cui all’allegato X VII.
Il citato allegato riguarda, per l’appunto, l’idoneità tecnico professiona le dell’impresa e contiene un espresso richiamo alla documenta zione minima che il datore di lavoro deve esibire al committente o al responsabile dei lavori, ove nominato. Vi figurano, oltre alla iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, anche il il documento di valutazione dei rischi (lett. b), la specifica documentazione attesta nte la conformità alle disposizioni di cui al decreto dispositivi di protezione individuali forniti ai lavora tori (lett. d), la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e delle altre figure preposte alla prevenzione dei rischi nel cantiere ( lett. e), gli attestati inerenti la formazione (lett. g), oltre all’elenco dei lavora tori e al documento unico di regolarità contributiva (lett. h e i).”

Anche in presenza di opere che non comportano l’obbligo di nomina di soggetti responsabili per la sicurezza, al committente rimane un obbligo di vigilanza sia in sede di scelta dell’impresa che durante l’esecuzione delle opere: la responsabilità va individuata “sia con riferimento alla scelta della ditta appaltatrice, tenuto conto degli obblighi di verifica imposti dall’art. 3 co. 8 del d lgs. 494/96, che sulla scorta dell’omesso controllo dell’adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, nel caso di specie totalmente omesse. Tali misure non devono essere approntate dal committente, rientrando certamente nel novero degli obblighi propri del datore di lavoro, ma la loro concreta adozione da parte di costui deve essere verificata e, in caso di accertata omissione, pretesa dal committente.”

Importante il passaggio in cui la Corte sottolinea la rilevanza causale della condotta del committente nella verificazione dell’evento: “La riscontrata inadeguatezza dimensionale dell’impresa con impiego di lavoratori \ irregolari, a fronte della entità e tipologia dell’opera in esecuzione, in uno con le macroscopiche irregolarità del cantiere, palesemente ed immediatamente evidenti, ) imponevano l’esercizio dei poteri di inibizione propri del committente, la cui attivazione avrebbe pertanto scongiurato l’evento verificatosi proprio a causa di tali inadeguatezze ed inadempienze. “

Suona strano sottolinearlo nell’anno 2016, ma nel caso di specie si trattava di lavori edili eseguiti in maniera  del tutto garibaldina da parte di un appaltatore che utilizzava lavoratori “in nero” e senza alcuna protezione in lavorazioni in quota, circostanza che – da sola – è idonea ad evidenziare profili in cui l’amministratore professionista non dovrebbe mai trovarsi, senza necessità dell’analisi giurisprudenziale.

Tuttavia i principi generali espressi dalla Corte si rivelano di grande interesse al fine di  comprendere con chiarezza gli obblighi e le responsabilità connesse ad un ruolo di grande delicatezza.

© massimo ginesi giugno 2013

scrivere all’amministratore che è un mentecatto può essere diffamazione.

la vicenda trae origine da una lettera inviata da un tecnico all’amministratore di una multiproprità, in cui costui  appellava come  “mentecatto” il destinatario, rivendicando onorari che l’offeso riteneva non dovuti.

Va rilevato che l’ingiuria, ai sensi del Dlgs 7/2016, è stata depenalizzata ed è divenuta  illecito con sanzione amministrativa, mentre la diffamazione mantiene rilevanza penale.

La Corte di Cassazione penale, V sez., con sentenza 15 marzo 2016 n. 18919 ha affermato che nel caso «l’offesa sia contenuta in una missiva diretta ad una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non può considerarsi concretata la fattispecie dell’ingiuria aggravata dalla presenza di altre persone, proprio per la non contestualità del recepimento delle offese medesime per la conseguente maggiore diffusione delle stesse».

La Corte sottolinea che deve ritenersi sussistente il reato di diffamazione poiché  la lettera era stata indirizzata ad un soggetto senza la certezza che quel soggetto fosse ancora l’amministratore del Condominio, inviata a costui impersonalmente e senza la dicitura “personale riservata” e, quindi, «nella piena consapevolezza che la stessa poteva essere posta a conoscenza anche di altre persone e che comunque sarebbe stata protocollata agli atti dell’amministrazione a disposizione di chiunque vi potesse accedere» (Cassazione, sentenza 18919/2016).

Sulla diffamazione in condominio la Suprema Corte si è già espressa in diverse occasioni: è stato ritenuto responsabile di diffamazione l’amministratore che aveva riportato in una lettera diretta a tutti i condomini espressioni ingiuriose pronunciate durante l’assemblea nei confronti di due condomini. (Cass. Pen.  n. 44387/2015); è stato ritenuto penalmente illecito anche l’aver affisso nel portone del condominio i nominativi dei morosi perché «non vi è alcun interesse da parte di terzi alla conoscenza di quei fatti, anche se veri» (Cass. Pen. n. 39986/2014).

qui la sentenza del 2016

© massimo ginesi giugno 2016