per l’azione di nullità del regolamento contrattuale non vi è legittimazione passiva dell’amministratore

Il regolamento di natura contrattuale è una convenzione intercorsa fra più soggetti, nei cui unici confronti – e non dell’amministratore del condominio – va introdotta l’azione per farne dichiarare la nullità.

Quel tipo di regolamento, proprio per la sua natura contrattuale, è idoneo anche ad identificare le parti comuni ai partecipanti al condominio, anche in deroga all’art. 1117 cod.civ., sicché anche un corpo di fabbrica esterno al condominio – che abbia in comune con questo solo un cortile – ben potrà essere soggetto alle spese per la manutenzione delle parti comuni, anche ove quelle non siano strumentali all’uso di quella unità, se così  sia previsto da quel tipo di regolamento.

Sono i due principi espressi da Cass.Civ. II sez. 21 febbraio 2017 n. 4432 rel. Scarpa: un regolamento di condominio cosiddetto contrattuale, quali ne siano il meccanismo di produzione ed il momento della sua efficacia, si configura, dal punto di vista strutturale, come un contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti e scopo comune; ne consegue che l’azione di nullità del regolamento medesimo è esperibile non nei confronti del condominio (e quindi dell’amministratore), carente di legittimazione in ordine ad una siffatta domanda, ma da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12850 del 21/05/2008).”

“la costituzione di un condominio, che comprenda eventualmente anche soggetti i quali non fossero già comproprietari dei beni che lo stesso art. 1117 c.c. attribuisce automaticamente per la loro accessorietà alle proprietà esclusive, è comunque possibile per effetto del consenso unanime di quelli, ovvero quale conseguenza dell’espressione di autonomia privata, che determini ex contractu l’insorgenza del diritto di comproprietà, e quindi anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlate. Perciò, con il regolamento di condominio di fonte e contenuto contrattuale ben può essere attribuita la comproprietà delle cose, incluse tra quelle elencate nell’art. 1117 cod. civ., a coloro cui appartengono alcune determinate unità immobiliari, indipendentemente dalla sussistenza di fatto del rapporto di strumentalità che determina la costituzione ex lege del condominio edilizio (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1366 del 10/02/1994; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15794 del 11/11/2002)”.

© massimo ginesi 24 febbraio 2017 

locazione: il contratto non registrato è nullo e non produce alcun effetto

Una severissima sentenza in materia di locazioni, depositata ieri dalla Suprema Corte (Cass. civ. III sez. 13 dicembre 2016 n. 25503).

Due i principi di diritto affermati:  a) Il contratto di locazione non registrato è nullo ai sensi dell’articolo 1 uno comma 346 della legge  30/12/2004 n. 311 b) la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dall’articolo 2033 cod.civ. e non dall’articolo 1458 cod.civ.; l’ eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, diritto a risarcimento del danno ex articolo 2043 cod.civ.  o al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art.  2041 cod.civ. 

Ne consegue che dal contratto nullo non potrà scaturire alcun effetto ed  il Giudice non potrà statuire sull’indennità di occupazione senza titolo, commisurandola  al canone pattuito dalle parti, in assenza di specifica domanda in tal senso e della relativa prova fornita dalla parte. La sentenza merita lettura integrale per l’importanza delle questioni affrontate e la rigidissima prospettiva che sottende.

© massimo ginesi 14 dicembre 2016

è nulla la delibera con cui si assegnano ai condomini posti auto nel cortile comune

schermata-2016-11-23-alle-07-49-12

Lo ha stabilito Cass. Civ. II sez. 21 novembre 2016 n. 23660, confermando la decisione del giudice di appello.

La corte territoriale, con ragionamento che il giudice di legittimità ritiene fondato, aveva osservato che: “il senso logico della delibera è chiaramente indirizzato a ripartire i posti auto nel cortile assegnandoli individualmente in uso esclusivo a ciascun condomino ed autorizzandolo ad allestire mia propria tettoia-gazebo a copertura del proprio posto auto, col solo vincolo di uniformare tra loro la natura dei manufatti”. Osserva la Corte locale che “non a caso, vi è perfetta coincidenza tra il numero di appartamenti ed il numero di posti auto e, del resto, il significato sostanzialmente divisionale della decisione appare insito dalla stessa formulazione dell’ordine del giorno, che recita assegnazione posti auto nel cortile condominiale, andando ben oltre la mera disciplina dell’utilizzo”. Rileva ancora la Corte locale che “al punto n. 6 del verbale si dice apertamente che ci sono 24 posti auto uno per ogni appartamento, il che sottende l’intenzione di frazionare la superficie comune per farne pertinenze di ogni appartamento”. Di qui e in coerenza con tale prospettazione, la Corte locale osserva che “al punto n. 7 si propone che venga realizzata la tettoia per chi la vuole pagando ognuno la sua: questo però presuppone una preventiva assegnazione dei posti auto ad ogni appartamento.”

Identificato in  tal modo il contenuto della delibera, ne viene ritenuta la radicale nullità affermando che: “naturalmente, la delibera resta priva di ogni efficacia costitutiva, giacché per attuare davvero un frazionamento sarebbe stata necessaria la stipulazione di un atto notarile”, rilevando pero che “nondimeno, come paventa la difesa appellante, la volontà inespressa crea i presupposti affinché il realizzatore del singolo posto auto coperto possa esercitarvi il possesso e far valere un domani usucapione per sé e per i propri aventi causa”. La Corte locale così conclude il suo ragionamento: “in tal senso, non v’è dubbio che la delibera miri illecitamente a trasformare un’area di uso comune indiviso in porzioni di uso esclusivo, ponendosi in contrasto col disposto dell’art. 1120 comma 2 cod. civ.”. Con l’ulteriore conseguenza che “in accoglimento del gravame, non può che essere dichiarata la nullità della delibera medesima.”

© massimo ginesi 23 novembre 2016

in caso di vendita il parcheggio vincolato segue sempre l’appartamento.

schermata-2016-09-13-alle-07-26-26

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. II Civile,  9 settembre 2016, n. 17844, ribadendo un principio consolidato ma spesso misconosciuto.

La causa inizia nei lontani anni 90: “Nel 1994 gli odierni resistenti sigg. S. e A. hanno agito contro i signori F.N. e L.B.P. , per far dichiarare la nullità dell’atto di vendita con cui avevano acquistato dai convenuti un appartamento in XXXXXXX, nella parte in cui era stata omesso il trasferimento del diritto reale sul box destinato parcheggio”

LA domanda è accolta in primo e secondo grado.

Nel 2011, dopo appena 17 anni (!),  il procedimento arriva in Cassazione: “Vi si sostiene che i ricorrenti non avevano venduto il box che identificava l’area di parcheggio, perché (pag. 7): gli spazi condominiali già consentivano il parcheggio dell’auto in quanto superavano i 363 mq originariamente vincolati a parcheggio; il box individuato in favore dei F. era stato da essi destinato a magazzino con relativa variazione catastale; nell’atto di compravendita del 1991 non era stata evidenziata la alienazione del box. si sostiene che i ricorrenti non avevano venduto il box che identificava l’area di parcheggio, perché (pag. 7): gli spazi condominiali già consentivano il parcheggio dell’auto in quanto superavano i 363 mq originariamente vincolati a parcheggio; il box individuato in favore dei F. era stato da essi destinato a magazzino con relativa variazione catastale; nell’atto di compravendita del 1991 non era stata evidenziata la alienazione del box.”

il principio affermato dalla corte è netto: “La censura è infondata. La Corte di appello ha ispirato la decisione a una ineccepibile lettura dei principi giuridici in materia di aree di parcheggio disciplinare dalla L. n. 765 del 1967.
Come ha ricordato la memoria di parte resistente, la giurisprudenza di questa Corte (per uno svolgimento esauriente si può vedere Cass. 26252/20013) tiene fermo un vincolo di destinazione, di natura pubblicistica, per il quale gli spazi in questione sono riservati all’uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari delle quali si compone il fabbricato o che ad esse abitualmente accedono. Si consente la riserva di proprietà in capo al costruttore venditore purché sia rispettato il vincolo di destinazione.
Si ritiene anche che qualora non vi sia stata alcuna riserva o sia stato omesso qualunque riferimento nei titoli di acquisto, gli spazi destinati a parcheggio vengono a ricadere – per effetto del vincolo pertinenziale – fra le parti comuni di cui all’art. 1117 c.c.”

Infine, afferma la Corte, neanche le variazioni di destinazione o consistenza successivamente apportate possono incidere sul quel vincolo: “Il silenzio dell’atto del 1991 circa la individuazione del box, o la sua variazione catastale, non rilevano a fronte della persistenza di vincoli urbanistici normativamente presidiati, che cagionano la nullità della eventuale riserva: il paradosso che si pretende è quello di voler far dire ad un atto notarile ciò che esso non potrebbe mai dire, cioè che vi era sottesa una clausola nulla, quali sono le clausole degli atti privati, di disposizione degli spazi stessi, difformi dal contenuto vincolato (Cass. 6751/03; 14355/04; 28345/13; v. anche 8220/16)”.

© massimo ginesi 13 settembre 2016 

una sentenza che grida vendetta e una prassi assai poco virtuosa…

Schermata 2016-07-29 alle 15.29.27

E’ fatto arcinoto che l’amministratore può ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti dei condomini morosi.

Altrettanto pacifico che tale iniziativa giudiziale rientri fra i poteri autonomi dell’amministratore (sino al 2013 lo affermava pacificamente la giurisprudenza, oggi è scritto nel novellato art. 63 disp.att. cod.civ. ) e che lo stesso sia provvisoriamente esecutivo al fine di consentire una rapida ed efficiente gestione della vita patrimoniale del condominio.

LA norma richiede unicamente, per la concessione del provvedimento monitorio, la sussistenza di una ripartizione  approvata: ” Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione”

In tal senso vi è costante giurisprudenza, così come le pronunce più recenti escludono la possibilità di sindacare in sede di opposizione vizi della delibera che rientrano nella previsione di cui all’art. 1137 cod.civ.,  che devono essere fatti valere in separato giudizio ed entro il termine di decadenza previsto dalla stessa norma: “Il titolo per agire ex art. 63 disp. Att. c.c., è costituito dalla delibera che integra, da sola, idonea prova del credito anche nella fase dell’opposizione; in ogni caso, il merito delle delibere emesse dall’assemblea di un condominio non è sindacabile in sede di opposizione ex art. 645 c.p.c. in quanto il legislatore prevede uno specifico e tipico mezzo per l’impugnazione dei vizi dell’atto della volontà dell’assemblea e dei fatti nello stesso rappresentati e che pertanto le questioni accertate o i fatti anteriori alla delibera non possono essere introdotti se non nella sede espressamente prevista dal legislatore”. Tribunale Roma, sez. V, 09/01/2015, n. 378, Cass. 17206/05 e Cass. SSUU 4421/07.

Poiché l’assemblea approva lo stato di ripartizione e le relative scadenze, si tratta di un tipico caso di mora ex re, in cui il debitore non deve necessariamente essere costituito in mora trovandosi in posizione inadempiente al semplice maturare del termine (Cass., 25 febbraio 2014, n. 4489), né la norma fa menzione di ulteriori condizioni per la concessione del decreto oltre allo stato di ripartizione e alla relativa delibera di approvazione.

Il preventivo sollecito  non potrà essere condizione per la richiesta del decreto ingiuntivo neanche sia obbligatoriamente previsto dal regolamento contrattuale: “La mancata preventiva messa in mora del condomino inadempiente, in violazione di norma regolamentare che preveda come obbligatoria la formale contestazione della morosità, non preclude all’amministratore condominiale di agire in via monitoria, potendo – al più – la violazione di tale regola di condotta far discendere in capo all’amministratore medesimo una responsabilità da inesatto adempimento del mandato” Cassazione civile, sez. II, 16/04/2013, n. 9181

Ebbene, accade con frequenza che i Giudici di Pace ignorino o –  peggio – leggano in maniera creativa l’art. 63 disp.att. cod.civ. e omettano di concedere la provvisoria esecutorietà (fatto frequentissimo, ad esempio, presso gli uffici di Roma) oppure pretendano la produzione del  sollecito.

Se ciò rappresenta un piccolo e facilmente “sanabile” abuso in corso di procedimento (Giudice di Pace La Spezia 4.4.2016), diventa davvero inquietante quando tali peculiarità  interpretative conducono a sentenze che destano più di una perplessità (Giudice di Pace Taranto 1.3.2016).

La pronuncia del Giudice pugliese accoglie l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo proposta dal comproprietario di un immobile, sull’assunto che sia onere dell’amministratore effettuare un preventivo sollecito di pagamento, in assenza del quale il decreto deve ritenersi nullo.

Sono diverse le affermazioni “forti” contenute nella pronuncia tarantina.

di fondamentale importanza il decreto ingiuntivo non era stato preceduto da alcuna intimazione e messa in mora; in data 15.10.2014, infatti, il dott. S. riceveva unicamente copia del verbale relativo all’assemblea del 06.10.2014 di approvazione del rendiconto 22.07.2013 – 31.08.2014 nonché copia dello stesso rendiconto senza che, con la relativa lettera di accompagnamento o separato atto di diffida stragiudiziale, gli venisse intimato alcunché;”

“si consideri, infine, che il dott. S. è comproprietario, insieme ad altri eredi, dell’unità (immobiliare sita nel Condominio di via (…) sicché ancora più evidente è l’avventatezza dell’azione giudiziale senza prima accertamento dell’interessamento degli altri partecipanti al pagamento delle quote richieste.”

A tal riguardo, il Condominio opposto non ha provato di aver eseguito la messa in mora nei confronti di tutti gli aventi diritti e comproprietari dell’unità immobiliare e poi la successiva richiesta del decreto ingiuntivo e successiva notifica del precetto ad uno solo degli intestatari dell’unità immobiliare interessata, se ne ricorrono le condizioni, atteso che tutte le spese (compresa la corrispondenza) vanno a carico del condomino inadempiente o moroso. Dette circostanze non possono essere provate tramite testi, in quanto devono essere private solo documentalmente”.

Con buona pace dell’art. 63 disp.att. cod.civ., della solidarietà fra comproprietari di una stessa unità (Cassazione civile, sez. II, 21/10/2011, n. 21907), della mora ex re e anche della Conservatoria RR.II. (la lettura della sentenza farà comprendere le ragioni di tale ultima notazione).

© massimo ginesi 29 luglio 2016

Tribunale di Milano: locazioni, il contratto non registrato è nullo

Schermata 2016-07-25 alle 12.49.08

Una sentenza interessante e importante su un tema assai caldo, oggetto di avvicendamenti legislativi e giurisprudenziali  sempre lineari.

Secondo Tribunale Milano 6782/2016  con l’articolo 13 della legge 431/98 (così come modificato  dall’articolo 1, comma 59, della legge 208/2015 )  “il legislatore ha esercitato il potere di disciplinare le situazioni in precedenza regolate dalla normativa dichiarata incostituzionale e tale facoltà di intervento è stata attuata dettando una nuova disciplina della materia, con incidenza limitata e diversa rispetto al precedente intervento, che aveva semplicemente “prorogato”, fino al 31.12.2015, gli effetti della norma illegittima. Tra l’altro, il legislatore ha ora previsto conseguenze ancor meno “invasive” sul diritto di proprietà, escludendo la durata legale del contratto fino ad una scadenza successiva (come era, invece, previsto dal D.L.vo 23/11 e dalla L.80/14). In sostanza, la nuova normativa non incorre nelle censure mosse dalla Corte alle precedenti , affrettate, iniziative: la disciplina è ora contenuta nell’art.13 della L.431/98, norma stabile e fondamentale in materia di locazione di immobili urbani e che per i contratti, quale quello di specie, prevede un regime temporaneo idoneo a salvaguardare l’interesse dei conduttori, improvvisamente divenuti gravemente morosi per aver fatto affidamento su una disciplina legale del canone, caducata per effetto delle sentenze di illegittimità costituzionale; interesse dei condutt01i che è stato, però, equamente contemperato con quello dei locatori, limitando a un periodo contenuto la riduzione legale del canone ed escludendo (a differenza delle precedenti disposizioni dichiarate illegittime) vincoli sulla durata del rapporto”

Deve, invece, ritenersi che la nullità di cui trattasi, introdotta dal legislatore nell’ambito dell’azione di contrasto all’evasione fiscale e con l’evidente intento di provocare l’emersione delle c.d. locazioni in nero, abbia a ragion veduta richiamato la sanzione della nullità, condizionando la validità del contratto all’adempimento della registrazione. Con la conseguenza che, fino al completamento della fattispecie (stipulazione del contratto fra le parti e registrazione dello stesso) il negozio non può considerarsi valido. Tale chiave interpretativa è chiaramente determinata dall’opzione normativa per la sanzione della “nullità”: il legislatore, cioè, non può aver usato il termine “nullità” se non in senso tecnico e letterale, intendendo evidentemente richiamare integralmente la disciplina degli artt.1418 e ss. e.e. (nullità prevista dalla legge -ultimo comma dell’art. cit.).  Ne consegue l’esclusione, anche concettuale, di una “convalida” successiva (art.1423 e.e.) per effetto del tardivo adempimento fiscale”.

© massimo ginesi 25 luglio 2016

quando la firma dell’amministratore nella procura alle liti è illeggibile

Schermata 2016-07-11 alle 09.26.20

la causidicità delle parti nei processi italiani non ha spesso limiti né confini…

L’amministratore del Condominio firma la procura al difensore e appone il proprio segno grafico che risulta non leggibile, il difensore sbaglia nell’indicare correttamente le sue generalità nel corpo dell’atto (sostituisce una R con una S) e la controparte recepisce la nullità della procura.

Peraltro il condomino che eccepisce il vizio conosce perfettamente il nome del suo amministratore e lo ha reiteratamente citato nel proprio atto (!).

Afferma la Cassazione (Cassazione civile, sez. II, 14/04/2016,  n. 7406) che  si tratta di nullità relativa che la parte, a fronte della eccezione sollevata dall’avversario, può sanare alla prima udienza utile:

“Preliminarmente deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di nullità della procura speciale del ricorrente, sollevata dall’intimata in considerazione della divergenza esistente tra il cognome dell’amministratore del condominio riportato nell’intestazione del ricorso ( M.) e quello invece rilevabile dal corpo della procura speciale ( M.), aggiungendosi da parte della P., al fine di corroborare la proposta eccezione, che la corretta individuazione delle generalità dell’amministratore non sarebbe nemmeno evincibile dalla firma in calce alla procura, trattandosi di sottoscrizione illeggibile.
Rileva il Collegio che trattasi all’evidenza di un mero lapsus calami e che, come si ricava dalla stessa lettura del controricorso, le corrette generalità dell’amministratore del condominio erano ben note alla stessa attrice, atteso che nel controricorso, nel riepilogare il contenuto del materiale istruttorio raccolto nel corso del giudizio di primo grado, si fa menzione delle dichiarazioni rese da tal M.F., espressamente qualificato come amministratore del condominio convenuto.
E’ evidente pertanto che non sussisteva alcun dubbio, anche in considerazione delle pregresse conoscenze acquisite dalla parte nel corso del giudizio, in ordine a quale fosse la corretta identità di colui che aveva sottoscritto la procura in qualità di amministratore del condominio.
In ogni caso, appaiono applicabili alla fattispecie i principi desumibili dall’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza del 7/3/2005 n. 4810, nella quale si è affermato che l’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d’autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell’atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese. In assenza di tali condizioni, ed inoltre nei casi in cui non si menzioni alcuna funzione o carica specifica, allegandosi genericamente la qualità di legale rappresentante, si determina nullità relativa, che la controparte può opporre con la prima difesa, a norma dell’art. 157 c.p.c., facendo così carico alla parte istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’amore della firma illeggibile; ove difetti, sia inadeguata o sia tardiva detta integrazione, si verifica invalidità della procura cd inammissibilità dell’atto cui accede.
Da tali affermazioni, e seppur con specifico riferimento al condominio, qualificabile, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, quale mero ente di gestione, appare possibile affermare la regola secondo cui ove emergano delle contraddittorie indicazioni in ordine alle esatte generalità del sottoscrittore della procura, contraddittorietà non risolvibile mediante il riscontro con la firma, per l’incomprensibilità dei segni grafici utilizzati, a fronte della specifica eccezione sollevata dalla controparte, è data la possibilità nella prima difesa di poter chiarire quale sia l’effettivo nominativo del rappresentante. Nella vicenda in esame il Condominio, nel controricorso al ricorso incidentale ha chiarito che il cognome dell’amministratore era ” M.”, provvedendo in tal modo a sanare la nullità denunziata dalla P., e risultando pertanto superfluo anche il rilascio di una nuova procura a ratifica del precedente operato del difensore del condominio.”

© massimo ginesi 11 luglio 2016 

la nullità della delibera può essere fatta valere anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo

E’ nota la posizione ormai consolidata della giurisprudenza sulla proprietà esclusiva dei balconi aggettanti, da riconoscere in capo ai titolari delle unità cui servono,  laddove gli stessi non abbiano caratteristiche decorative e architettoniche che consentano di qualificarli come elementi costituenti il prospetto architettonico dell’edificio. (Cass. 1156/2015)

Ove i balconi siano di proprietà esclusiva, la decisione in ordine al loro ripristino e alle relative spese è materia che esorbita dalla competenza della assemblea di condominio e da luogo a nullità della delibera. In tal senso si è espressa anche di recente la Suprema Corte  (  Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 1 dicembre 2015 – 12 gennaio 2016, n. 305), la quale ha rilevato che, in tal caso, il vizio radicale può essere fatto valere da chi vi abbia interesse anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.

Non altrettanto può dirsi del vizio che dia luogo a semplice annullabilità della delibera (tardiva o omessa convocazione, maggioranza insufficiente), di cui il giudice della opposizione non può essere investito e che deve essere fatto tempestivamente valere dall’interessato in autonomo giudizio. (Cassazione civile, sez. II, 12/11/2012, ud. 12/07/2012, n. 19605

Sui rapporti fra giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e vizi delle delibere e sullo spinosissimo tema del c.d. supercondominio e della sua gestione secondo le modalità delineate dall’art. 67 disp.att. cod.civ. si è svolto ieri a Roma un interessante convegno cui hanno partecipato come relatori il dr. Claudio Tedeschi, Giudice presso il Tribunale di Roma, e il dr. Alberto Celeste, noto studioso del diritto condominiale e sostituto procuratore presso la Corte di Cassazione.

 Schermata 2016-07-08 alle 16.05.04

delega all’amministratore e conflitto di interessi, art. 67 disp.att. cod.civ.

Schermata 2016-06-29 alle 16.17.17

L’art. 67 V comma disp.att. cod.civ., così come introdotto dalla L. 220/2012, prevede che “All’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”.

Oggi il divieto è  espressamente previsto dalla legge, anteriormente alla novella del codice la giurisprudenza aveva comunque ritenuto che la delega a partecipare alla assemblea, conferita da un condomino  all’amministratore, ove avesse riguardo a  delibere relative alla nomina o revoca dell’amministratore o all’approvazione del bilancio esponesse la decisione  a vizio di annullabilità per conflitto di interesse.

Il Tribunale di Larino ha ritenuto di recente che anche la delega al socio accomandante della società in accomandita semplice, che svolgeva l’incarico di amministratore del fabbricato,  urtasse contro il divieto della norma attuativa.

Osserva il Giudice  molisano che Fondata è l’eccezione di nullità della deliberazione impugnata, in quanto adottata in palese violazione dell’art. 67, co. 4, disp. att. c.c., che vieta espressamente il conferimento all’amministratore di condominio di “deleghe perla partecipazione a qualunque assemblea”. Nella fattispecie, dalla deliberazione in esame risultano conferite dai condomini Ci. e Le. le rispettive deleghe a partecipare in loro nome e per loro conto alla suddetta assemblea all’avv. An.Lo., la quale, come dimostrato per tabulas dalla parte attrice (visura camerale – all. n. 1 del fascicolo di parte attrice), riveste la posizione di socio accomandante della medesima amministratrice “St.Ae. S.a.s.”. Di conseguenza, parimenti fondata è anche l’ulteriore eccezione di illegittimità e di conseguente annullabilità della deliberazione in parola, stante l’evidente conflitto di interessi tra la società amministratrice ed il Condominio “To.” in relazione tanto all’approvazione del bilancio consuntivo 2013/14 e del relativo riparto delle spese, oltre che delle rate del bilancio preventivo del 2015 e del relativo riparto delle spese, quanto della conferma o della revoca della medesima società amministratrice.”

Interessanti le riflessioni sulla portata dell’art. 67 disp.att. cod.civ. “Deve rilevarsi in proposito che la ratio della norma introdotta dal legislatore con il novellato art.67, co. 4, disp. att. c.c. è ispirata non solo all’esigenza di consentire la partecipazione personale dei singoli condomini alla relativa assemblea, ma anche all’esigenza di scongiurare situazioni di conflitto di interesse come quella in discorso. Proprio in relazione a siffatte situazioni la giurisprudenza formatasi prima della novella legislativa del 2012 ha affrontato la questione della validità o meno della delega conferita all’amministratore, esprimendo l’indirizzo consolidato secondo cui quando gli argomenti sottoposti al vaglio ed alla decisione dell’assemblea dei condomini comportino un giudizio sulla persona e sull’operato dell’amministratore riguardo a materie inerenti alla gestione economica della cosa comune, come avviene nel caso delle delibere di approvazione del bilancio consuntivo e di conferma o revoca dell’amministratore, sussiste una situazione di conflitto di interessi tra amministratore e condominio, che può essere fatta valere da qualsiasi partecipante alla collettività condominiale (Cass. civ., 22.07.2002, n. 10683).”

Per non farsi mancare nulla il Condominio aveva anche omesso di indicare a verbale i soggetti votanti, così che non era dato comprendere chi avesse espresso il proprio voto: ulteriore profilo che da sempre costituisce vizio.

Il Tribunale sembra graduare nella motivazione i profili di vizio, attribuendo alla violazione dell’art. 67 disp.att. cod.civ. la più grave nullità e alle altre due violazioni la sanzione della annullabilità: “Nel caso di specie, l’approvazione del bilancio consuntivo del 2013/14 e la conferma di “St.Ae. S.a.s.” come amministratore del Condominio “To.” risultano essere state decise in difetto di qualsiasi indicazione del numero e dei nominativi dei votanti, di quelli favorevoli e contrari, dissenzienti ed astenuti, nonché delle rispettive quote millesimali rappresentate, cosicché non risulta con quale maggioranza siano stati assunti i suddetti deliberati e, stante l’illegittimità delle deleghe conferite all’avv. An.Lo. dai condomini Ci. e Le. in violazione del divieto sancito nell’art.67, co. 4, disp. att. c.c., se l’eventuale votazione espressa sui predetti punti dell’ordine del giorno dal rappresentante dei due condomini, in quanto portatore di un interesse contrastante con quello del Condominio convenuto, sia stato o meno computato al fine del raggiungimento delle maggioranze prescritte nell’art. 1136 c.c., atteso l’obbligo di astensione dalla votazione gravante sul medesimo rappresentante in conflitto di interessi. Peraltro, l’illegittimità della deliberazione in parola, derivante a priori dalla violazione del predetto divieto legislativo, neppure potrebbe escludersi sulla scorta dell’operatività ipotetica della presunzione della conformità degli interessi dei condomini deleganti con quello del delegato (Cass. civ., sez. II, 22.07.2002, n. 10683), poiché è da ritenersi che l’appartenenza di quest’ultimo nella veste di socio accomandante, alla società amministratrice del Condominio “To.” ben era e ben è conoscibile ai terzi e, quindi, ai suddetti condomini deleganti in forza della funzione di pubblicità dichiarativa assolta dalla relativa iscrizione nel registro delle imprese tenuto dalla C.C.I.A.A. di Campobasso, così come risulta dalla visura camerale prodotta dalla parte attrice”

Da sottolineare anche il rilevo processuale, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., della ingiustificata mancata partecipazione del Condominio alla mediazione.

Non del tutto congruente invece appare il dispositivo della sentenza con quanto espresso nella motivazione, atteso che, dopo aver ascritto alla nullità il vizio formale relativo alla violazione dell’art. 67 disp.att. cod.civ., il Tribunale  si limita a disporre annullamento della delibera ex art. 1137 cod.civ.

© massimo ginesi giugno 2016