denunzia gravi vizi nell’appalto: il termine prescrizionale decorre dalla effettiva consapevolezza.

la Corte di legittimità (Cass.Civ. sez. VI 8 febbraio 2019  n. 3891) riprende principi noti e chiarisce, in una sintetica motivazione, come il committente abbia un ampio margine di valutazione in ordine al nesso causale fra difetto e opera realizzata dall’appaltatore e che, tuttavia, il termine annuale per la denunzia derivi dalla effettiva conoscenza di tale nesso; tale consapevolezza può derivare  all’esito di consulenza tecnica può anche sussistere  prima di tale accertamento: competerà a chi eccepisce  l’intervenuta  prescrizione fornire adeguata prova sul punto.

La Corte di appello ha statuito che andava condiviso il granitico orientamento giurisprudenziale sulla decorrenza del termine prescrizionale dal momento in cui il danneggiato acquisisce un grado apprezzabile di conoscenza oggettiva non solo della grave entità ma soprattutto delle cause tecniche al fine di individuarne le responsabilità e solo dalla ctu in via preventiva erano posti in evidenza i difetti, per cui, decorrendo dal deposito dell’elaborato il termine prescrizionale, l’azione ex art. 1669 cc era tempestiva.

La ricorrente denunzia, col primo motivo, violazione dell’art 1669 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., perchè la conoscenza dei vizi risaliva ad una precedente raccomandata e l’atp nulla aveva aggiunto a detta conoscenza; col secondo motivo violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. per la mancata prova dei difetti costruttivi.

In ordine al primo motivo si osserva:

La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto tempestiva la denunzia successiva ad una CTU che accerti il vizio.

L’identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti onde possa individuarsi la “scoperta” del vizio ai fini del computo dei termini deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi quanto al collegamento causale di essi con l’attività espletata, sì che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori, solo all’atto dell’acquisizione d’idonei accertamenti tecnici; per il che, nell’ipotesi di gravi vizi la cui entità e le cui cause, a maggior ragione ove già oggetto di contestazioni tra le parti, abbiano, anche per ciò, rese necessarie indagini tecniche, è consequenziale ritenere che una denunzia di gravi vizi possa implicare un’idonea ammissione di valida scoperta degli stessi tale da costituire il dies a quo per la decorrenza del termine ed, a maggior ragione, tale da far supporre una conoscenza dei difetti di tanto antecedente da implicare la decadenza, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause, per l’un effetto, alla data della denunzia e, per l’altro, a data ad essa convenientemente anteriore (cfr. Cass. 9.3.99 n. 1993, 18.11.98 n. 11613, 20.3.98 n. 2977, 94 n. 8053).

Ciò non significa, come pure ha evidenziato questa Corte con decisioni del tutto coerenti con i principi sopra richiamati, che il ricorso ad un accertamento tecnico possa giovare al danneggiato quale escamotage onde essere rimesso in termini quando dell’entità e delle cause dei vizi avesse già avuta idonea conoscenza, ma solo che compete al giudice del merito accertare se la conoscenza dei vizi e della loro consistenza fosse stata tale da consentire una loro consapevole denunzia prima ed una non azzardata iniziativa giudiziale poi, anche in epoca precedente, pur senza l’ulteriore supporto del parere d’un perito (cfr. Cass. 9.3.99 n. 1993, 2.9.92 n. 1016).

Solo la certezza oggettiva dei vizi legittima la denunzia.”

© Massimo Ginesi 13 febbraio 2019

art. 2051 cod.civ. e caduta: spetta all’agente porre attenzione a dove cammina.

 

L’art. 2051 cod.civ. non è il grimaldello per ottenere sempre e comunque un risarcimento per danni occorsi in seguito a cadute accidentali, anche se nei Tribunali continuano ad abbondare controversie promosse da soggetti che asseriscono di essere inciampati in un gradino troppo alto oppure di essere scivolati nel vialetto condominiale in un giorno di pioggia.

Il primo caso è affrontato da Tribunale Massa 16 maggio 2018 e il secondo da Tribunale Pordenone 5 aprile 2018.

Due sentenze che pongono l’accento su un principio  consolidato nella giurisprudenza di legittimità: deve essere dimostrato il nesso causale fra la cosa oggetto di custodia e l’evento e , soprattutto, la condotta colposa dell’agente integra il caso fortuito idonea ad interromperlo.

Insomma vale il vecchio adagio di guardare bene dove si posano i piedi, perché solo ciò che non è prevedibile con l’ordinaria diligenza o contiene comunque una intrinseca insidiosità può costringere il custode a risarcire il danno.

A proposito della caduta sul vialetto bagnato dalla pioggia il tribunale friulano  afferma che : “In caso analogo a quello per cui è causa condivisibile giurisprudenza ha ritenuto che: “In tema di danno causato da cose in custodia, costituisce circostanza idonea ad interrompere il nesso causale e, di conseguenza, ad escludere la responsabilità del custode di cui all’art. 2051 cod. civ., il fatto della vittima la quale, non prestando attenzione al proprio incedere, in un luogo normalmente illuminato, inciampi in una pedana (oggettivamente percepibile) destinata all’esposizione della merce all’interno di un esercizio commerciale, con successiva sua caduta, riconducendosi in tal caso la determinazione dell’evento dannoso ad una sua esclusiva condotta colposa configurante un idoneo caso fortuito escludente la suddetta responsabilità del custode” (Cass. 993/2009).

Nel caso di specie il sig. B. afferma di essere caduto nel vialetto del Condominio in cui risiedeva già da quattro mesi, sicché deve ritenersi che lo stesso fosse a conoscenza sia dello stato dei luoghi che della asserita “pericolosità” degli stessi in caso di precipitazioni piovose.

Il B., pertanto, consapevole delle condizioni metereologiche e del contesto in cui si inseriva il vialetto e considerate le caratteristiche esteriori dello stesso (l’incidente si sarebbe verificato, secondo quanto allegato, in pieno giorno e con condizioni di visibilità ottimali), avrebbe dovuto prestare particolare attenzione alla pavimentazione bagnata e prevedibilmente scivolosa.”

Per ciò che invece attiene alla caduta dovuta ad un gradino di diversa altezza il tribunale apuano rileva che: “Lo stato dei luoghi oggetto di causa è raffigurato da alcune fotografie, che peraltro rappresentano la scalinata della piscina comunale che non nasconde insidia di sorta, che è perfettamente visibile a chi la percorre e che – tuttavia – è ritenuta dalla attrice quale elemento generatore di danno per la differente altezza del suo ultimo gradino, su cui ella stessa  asserisce di essere caduta.

Già tali elementi, in ossequio alla copiosa giurisprudenza sul punto (ampiamente richiamata dal convenuto nella propria difesa finale), consentono di escludere qualunque responsabilità dell’Ente proprietario dell’impianto, poiché non vi è dubbio che è onere del soggetto che percorra un tracciato perfettamente visibile adeguare il proprio passo alle caratteristiche del terreno: appare quantomeno bizzarro sostenere che la caduta sia ascrivibile alle caratteristiche del bene quando un utente mediamente accorto e diligente avrebbe semplicemente adeguato il proprio passo all’ostacolo concreto da superare, né si può ritenere che l’attrice si muovesse con una sorta di camminata presuntiva, sulla scorta dell’altezza degli scalini precedentemente superati, poiché era suo ovvio e intuitivo onere valutare il terreno dinanzi a sè e adeguare allo stesso la propria camminata. ..

La caduta, stando così i fatti e alla luce di quanto testè evidenziato, pare dunque ascrivibile ad una mancata attenzione o ad una inadeguata condotta in capo alla attrice.

In ogni caso, come si è rilevato, i testi non descrivono il dinamismo della caduta, hanno solo riferito di aver visto (o addirittura sentito) cadere la L. e di aver poi verificato che in quel punto vi è un gradino di diversa altezza, sicchè difetta anche prova adeguata sul nesso fra bene ed evento: su caso del tutto analogo, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 21/03/2013 n° 7112…

Quel nesso tuttavia ben può essere mitigato, sino ad eliderlo completamente, dalla concorrente  responsabilità dell’agente, condotta che laddove risulti  idonea – come nel caso di specie – ad essere da sola causa dell’evento, esclude la responsabilità del custode

L’elemento selettivo in base al quale limitare la portata dell’art. 2051 c.c. riguarda pertanto, esclusivamente, il nesso di causalità, essendo estraneo alla natura dell’imputazione il profilo del comportamento del custode.

Tuttavia, la prova del nesso causale si presenta particolarmente delicata nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (ad es. scoppio della caldaia, frana della strada etc.), ma richieda che al modo di essere della cosa si unisca l’agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo essa di per sè statica ed inerte (cfr. Cass. 29.11.2006, n. 25243); pertanto, la buca nella strada, il tombino sporgente, il dislivello delle pertinenze stradali et similia non manifestano di per sè soli il collegamento causale – necessario ed ineliminabile – con la caduta del passante, ove questi non provi che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, la caduta.

In ipotesi di tal fatta, risultano dunque necessari ulteriori accertamenti quali la maggiore o minore facilità di evitare l’ostacolo, il grado di attenzione richiesto ed ogni altra circostanza idonea a stabilire se effettivamente la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l’oggettiva responsabilità del custode (cfr. Cass. 5.2.2013, n. 2660). Del resto, anche in relazione all’ipotesi di responsabilità gravante sul custode, la giurisprudenza ha più volte precisato che il comportamento colposo del danneggiato può – secondo un ordine crescente di gravità – atteggiarsi come concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell’art. 1227 co. 1 c.c., ovvero addirittura giungere ad escludere del tutto la responsabilità del custode” (Tribunale Massa 16.6.2016 n. 623)”

© massimo ginesi 16 maggio 2018