decreto rilancio: le novità per l’amministratore di condominio

Prosegue la pessima prassi di annunciare in conferenza stampa provvedimenti legislativi, che vengono poi pubblicati in Gazzetta Ufficiale diversi giorni dopo.

Il 13 maggio 2020 il consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Rilancio (con l’altra discutibile prassi di denominare i provvedimenti normativi con nomi propri), nel quale sarebbero contenute due norme di  rilievo per il mondo condominiale.

Dalle bozze reperibili in internet risulterebbe la seguente formulazione

“Art.212-ter Modifiche all’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 

1. All’articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni: 

b) dopo il comma 21, sono aggiunti i seguenti: “21-bis. Quando il mandato dell’amministratore è scaduto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto o scade entro tre mesi dalla stessa alla data, l’incarico dell’amministratore è rinnovato per ulteriori sei mesi dalla scadenza in deroga a quanto previsto dall’articolo 1129 del codice civile, fermo il diritto dei condomini di procedere alla revoca nella prima assemblea successiva al rinnovo. 

21-ter. In deroga a quanto stabilito dall’articolo 1130, comma primo, numero 10), del codice civile, il termine per la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale annuale con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è differito di 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile”. 

La scarsa  tecnica legislativa che ha caratterizzato i provvedimenti dell’era covid affligge anche queste disposizioni che, da un lato, sono volte a prorogare i poteri dell’amministratore in scadenza in questo periodo (a fronte della difficoltà, laddove non se ne ritenga sussistente un vero e proprio divieto, di convocare assemblee) e, dall’altro a estendere il termine per la convocazione della assemblea per l’approvazione del rendiconto, fissato in 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio a mente dell’art. 1130 n. 10 c.c.

Giova osservare che la norma dispone di fatto una proroga, che tuttavia definisce rinnovo (che invece presuppone  il decorso di un nuovo rapporto contrattuale).  Trattandosi di proroga straordinaria disposta ex lege, è da ritenere che l’amministratore mantenga intatti tutti i poteri (e il diritto al compenso) e non solo quelli ordinari previsti in caso di protrazione del mandato ex art. 1129 comma VI c.c.

La proroga decorrerà dalla data di scadenza dell’incarico originario.

Ancor meno felice appare la formulazione della norma sull’estensione del termine per l’approvazione dei rendiconti, che prevede che l’ampliamento  di dodici mesi non decorra dalla scadenza  del termine di cui all’art. 1130 n. 10 c.c. ma dalla chiusura del rendiconto, nascendo così già assai monco rispetto a quelle chiusure che si collocano alla fine del 2019.

© massimo ginesi 15 maggio 2020 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

dalla terza sezione un nuovo accenno alla prorogatio

la terza sezione civile della cassazione,  con pronuncia che non riguarda espressamente il condominio (Cass.civ. sez. III 30 settembre 2019 n. 24214), richiama esigenze di continuità gestionale che consentono di affermare che negli enti collettivi il legale rappresentante scaduto rimanga in carica sino alla sua sostituzione.

L’operatività degli organi delle associazioni non riconosciute in regime di prorogatio è già stata affermata da questa Corte in riferimento alla fase di scioglimento dell’associazione non riconosciuta (v. Cass. n. 5738 del 2009), per la quale si è affermato tra l’altro che non è necessario, in relazione a questa ipotesi, procedere alla applicazione analogica delle norme dettate per le associazioni riconosciute (e non è necessario, quindi procedere alla richiesta di nomina di un liquidatore), in quanto l’associazione non riconosciuta può procedere alle attività di liquidazione tramite i suoi stessi rappresentanti legali in carica alla data dello scioglimento, operanti in regime di proroga dei loro poteri. Il medesimo principio deve ritenersi regoli la vita ordinaria della associazione, per consentire la realizzazione delle esigenze di continuità nelle sue attività istituzionali.

Medesimo principio è stato affermato, in virtù delle analoghe esigenze di continuità gestionale, a proposito del condominio (Cass. n. 12120 del 2018; Cass. n. 15858 del 2002).

Ne consegue che il soggetto cui sia conferito il potere di agire in giudizio a nome dell’ente associativo (nel caso di specie, il segretario generale) in mancanza di norma statutaria o Delib. assembleare contraria o che regolamenti diversamente il trasferimento di poteri alla scadenza dell’incarico conferitogli, non decade automaticamente dall’incarico e non perde i poteri da esso discendenti allo scadere del periodo per il quale è stato nominato, ma al contrario rimane in carica fino alla sua sostituzione.”

La tesi che l’attuale art 1129 comma VIII c.c. riguardi unicamente i doveri dell’amministratore uscente laddove sia già stato nominato un sostituto e lasci intatta l’interpretazione sulla prorogatio diffusa  nella giurisprudenza antecedente alla novella del 2012 (ex multis  Cass.civ. sez. II  16 gennaio 2014, n.821) è assai diffusa in dottrina.

© massimo ginesi 4 ottobre 2019 

 

 

amministratore di condominio e art. 71 bis disp. att. cod.civ. , ma davvero è nullità?

La figura dell’amministratore condominio ha oggi connotazioni normative del tutto nuove, sconosciute al codice del 1942.Un ruolo che allora era indefinito quanto a forma e caratteristiche è stato disegnato dalla L. 220/12 e dalla L. 4/2013, che hanno profondamente inciso sulle caratteristiche necessarie per svolgere l’incarico. L’art. 71 bis disp.att. cod.civ., introdotto dalla legge 220/2012 disciplina i requisiti per lo svolgimento dell’incarico, mentre la L. 4/2013 prevede quelli richiesti per esercitare in forma professionale l’attività.

Le due normative non brillano per coordinamento e lasciano profonde perplessità, poiché introducono parametri simili ma non del tutto coincidenti.

Senza dubbio il legislatore di questi anni ha inteso riconoscere all’amministratore una valenza sociale e una rilevanza significativa quale strumento di tutela di interessi diffusi, pretendendo da una figura destinata al compito delicatissimo e complesso di gestire una rilevante componente del patrimonio immobiliare nazionale parametri di affidabilità e professionalità che travalicano il mero rapporto privatistico che intercorre con i condomini che gli conferiscono l’incarico. Vi è così chi ha letto nella normativa in vigore la caratteristica di norma imperativa, estendendo tale natura non solo alle previsioni a sicura valenza pubblicistica che regolano lo svolgimento della professione ma anche alle disposizioni contenute nell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., così che per alcuni interpreti la mancanza dei requisiti dettati dal codice civile comporterebbe nullità della nomina per contrarietà a norme imperative e – per alcuni lettori estremi – anche nullità di tutti gli atti compiuti dall’amministratore che dovesse trovarsi a svolgere l’incarico in assenza di tali requisiti.

Taluno ha richiamato anche la c.d. nullità di protezione che deriverebbe dall’art. 36 del c.d. codice del consumo, tesi che avrebbe peraltro possibile applicazione solo ove il l’amministratore abbia dolosamente occultato l’assenza dei requisiti e non ove l’assemblea abbia deliberatamente accettato quella assenza

La lettura, non priva di suggestioni, rischia però di diventare estrema e di apparire poco legata al dato testuale; soprattutto il richiamo ad un vizio grave e radicale come la nullità introduce conseguenze assai gravi e dagli esiti imprevedibili, cosicchè è necessario attendere ad una disamina diversa e più ponderata da parte di chi pretenda di porsi dalla parte dell’amministratore, che ha di recente e finalmente trovato una normativa che – seppur assai perfettibile – finalmente ne riconosce il ruolo e la professionalità.

Appare del tutto plausibile che l’amministratore di condominio debba rispondere a parametri che travalicano il mero interesse civilistico ed assicurano alla collettività che quella figura sia rivestita da un soggetto che garantisce affidabilità professionale, patrimoniale e personale. L’intero impianto della L. 4/2013 modula la figura dell’amministratore professionista su parametri astrattamente riconducibili alle professioni ordinistiche, con controlli a natura pubblicistica su formazione, onorabilità, tutela del consumatore, aggiornamento, ovvero tutti quei parametri che paiono idonei a soddisfare interessi pubblici e diffusi che il legislatore mostra di voler tutelare. Si può discutere se il metodo scelto sia idoneo allo scopo, ma è indubitabile che la legge sulle professioni non ordinistiche sia volta a soddisfare quei parametri.

Tale normativa viene emanata nel gennaio 2013, a pochi mesi di distanza dalla legge 220/2012 che prescrive a sua volta parametri assai vincolanti anche per lo svolgimento dell’incarico; appare improbabile che il legislatore abbia manifestato così tanta schizofrenia – sovrapponendo normative inconciliabili – così che assimilare i due testi in una unica lettura a carattere pubblicistico potrebbe essere fuorviante: in realtà l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. prevede alcuni requisiti di onorabilità e alcuni requisiti culturali per svolgere l’incarico. L’uso del termine “svolgere” e non di quello “assumere” sembra spostare l’attenzione del legislatore sul momento di esecuzione della prestazione e non su quello genetico della stessa.

A ciò si aggiunga che la stessa norma prevede – per il solo venir meno dei requisiti soggettivi di onorabilità – il rimedio espresso della cessazione dall’incarico, mentre nulla prevede ove non sussistano quelli relativi alla formazione.

Se il rimedio della cessazione appare di lineare applicabilità ove i requisiti vengano meno durante lo svolgimento dell’incarico (condanna passata in giudicato, protesto cambiario, etc.) ci si chiede quali conseguenze comporti l’assenza di tali presupposti sin dal momento della nomina, ovvero in quei casi in cui l’assemblea intenda coscientemente nominare amministratore un soggetto che non risponde a tutti i parametri della norma.

Soccorre in tale senso autorevolissima dottrina (Bianca, Di MArzio) che afferma che la previsione contrattuale che violi norme imperative (ammesso che all’art. 71 bis disp.att. cod.civ. debba riconoscersi tale natura) non riconduce necessariamente all’applicazione rigida dell’art. 1418 cod.civ. in tema di nullità del contratto, poiché la stessa norma prevede che tale gravissimo vizio colpisca il contratto solo ove espressamente la legge lo preveda. Nello stesso solco interpretativo si pone un rilevante orientamento giurisprudenziale che ascrive alla c.d. nullità virtuale tale ipotesi: “in difetto di espressa previsione in tal senso (cd. “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità” Cass. 2394/2015

Il tema è complesso e richiede un approfondimento che travalica i limiti di queste riflessioni, tuttavia appare assai plausibile – alla luce degli orientamenti appena rammentati – una lettura che si discosti dalla tesi della nullità e si arresti al dato testuale della cessazione dall’incarico, tenuto conto che la stessa norma non ascrive la necessaria presenza di quei requisiti al momento genetico del rapporto ma al suo svolgimento, con il prodursi degli effetti della loro mancanza nel momento dell’adempimento e sul piano dell’efficacia e della responsabilità fra contraenti, categorie che anche sotto il profilo sistematico appaiono più pertinenti alla collocazione e connotazione civilistica della norma di attuazione.

Ne consegue che, se tale lettura ha un senso, la mancanza dei requisiti in capo all’amministratore sin dall’origine, lungi da introdurre pericolassime nullità (che potrebbe far valere, in ogni momento, chiunque vi abbia interesse, anche estraneo al condominio) al più legittimerebbe il condomino dissenziente a ricorrere al giudice per veder dichiarata l’inefficacia della nomina e dunque la cessazione dall’incarico dell’amministratore nominato in violazione, con eventuale ricorso all’art. 1105 cod.civ. ove non si riesca a nominarne altro. La sola assenza dei requisiti culturali, che il legislatore mostra di considerare di minor rilievo non ancorando alla loro mancanza alcuna sanzione diretta e addirittura considerandoli superflui per il soggetto che amministri uno stabile in cui ha una proprietà, darebbe invece luogo a mera revoca ai sensi dell’art. 1129 cod.civ.

© massimo ginesi giugno 2016

nel senso di una lettura non rigoristica della norma e della assenza di automatismi legati alla mancanza dei requisiti culturali  si è di recente espresso il Tribunale di Genova

 

l’incarico di amministratore è rinnovato per un altro anno alla prima scadenza – ulteriori conferme

Lo ha stabilito il Tribunale di Brescia con ordinanza 15.4.2016, richiamando analogo provvedimento della Corte d’Appello di Venezia, seconda sezione, pubblicata il 14/1/15 R.G. 364/2014 V.G.

La formulazione dell’art. 1129 X comma cod.civ. introdotta dalla L. 220/2012, come è ben noto, non è del tutto felice: “L’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata. L’assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore”.

La tesi che, alla luce di tale norma,  l’amministratore ritualmente nominato duri in carica un anno e, alla scadenza, il suo incarico si rinnovi per un altro anno senza necessità di alcuna delibera assembleare è ormai fatta propria da diversi giudici di merito (in precedenza si erano espressi in tal senso i Tribunali di Milano, Cassino, Roma).

Meno felice appare il contenuto dell’ordinanza bresciana laddove affronta i poteri dell’amministratore alla cessazione.

qui il testo del provvedimento

© massimo ginesi giugno 2016 

gennaio 2016 – durata dell’incarico e gravi irregolarità

L’incarico all’amministratore ha durata annuale e si rinnova per un altro anno senza necessità di alcuna delibera assembleare, salvo revoca. Al termine del secondo anno l’assemblea dovrà procedere a nomina con le modalità ordinarie. (massima non ufficiale)

 

Tribunale di Cassino 21 gennaio 2016, decreto n. 1186

 

Il Tribunale di Cassino, nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione attinente alla nomina dell’amministratore, ritorna sulla vexata questio della durata dell’incarico e delle attività che l’assemblea deve porre in essere, allineandosi alla lettura già data dai giudici milanesi alcuni mesi or sono e commentata su queste pagine.

Alcuni condomini ricorrono al Tribunale affinché nomini un amministratore giudiziale, attese le gravi irregolarità commesse da quello in carica e, soprattutto, evidenziando che costui “avrebbe omesso di inserire all’ordine del giorno, nemmeno dell’ultima assemblea del 24.8.15, l’argomento relativo alla conferma o revoca del suo incarico, vista la scadenza annuale”

Il Tribunale, con il provvedimento in commento, respinge il ricorso, osservando che : “a norma di quanto disposto dall’art 1129 comma 10° c.c., l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata; pertanto, non v’era necessità alcuna di convocare l’assemblea per decidere se rinnovare o meno l’incarico all’amministratore, salva sempre la facoltà per la medesima di deliberarne la revoca; per altro, l’assemblea del 24.10.15, discutendo sull’istanza della sig.ra V. per la sua revoca, espressamente affermò di riservarsi di esaminare la questione allo scadere del biennio esprimendo ringraziamento nei suoi confronti per il lavoro di ricostruzione contabile delle amministrazioni precedenti ed apprezzamento in toto per il lavoro svolto “

Il provvedimento, infine, merita menzione per l’ampia disamina di merito che svolge delle possibili gravi irregolarità così come delineate oggi dalla nuova formulazione dell’art. 1129 cod.civ. “ Ebbene, come replicato dai convenuto, il Collegio riscontra preliminarmente che nessuna di tali denunziate inadempienze e scorrettezze rientrerebbe in ogni caso nell’analitico elenco delle gravi irregolarità dell’amministratore di cui all’art 1129 comma 12 c.c., nel suo testo riformato dall’art 9 della L n. 220/12. Nello specifico, poi, deve osservarsi: essendo l’amministratore mero esecutore di quanto deliberato in seno all’assemblea, in alcun modo egli può esser ritenuto investito della sua conduzione e della previa verifica della regolarità del suo insediamento e dei suoi deliberati (operazione rimessa agli stessi partecipanti sotto la direzione del presidente); l’amministratore ha fornito prova documentale della spedizione tramite la “Sail Post” delle lettere raccomandate di convocazione della ricorrente a tutte le indicate assemblee: tanto basta a ritener assolto il suo compito, l’eventuale mancata ricezione delle missive dovendo costituire oggetto di riscontro in seno all’assemblea; a fronte della sua nomina avvenuta nell’agosto del 2014, già in occasione dell’assemblea tenutasi il 31.1.15 risultavano pervenuti 7 preventivi a fronte dei quali l’assemblea, e non certo l’amministratore, deliberò di affidare ad una commissione costituita da condomini l’esame dei medesimi; il ricorso ex art 700 c.p.c. venne notificato il 7.1.15 per l’udienza del 16.1.15, sicché legittimamente egli diede immediato incarico a legale di sua fiducia; la Cassazione ha precisato: “Alla luce delle considerazioni svolte va enunciato il seguente principio di diritto: “L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione” (ss.uu. n. 18331/10); nel nostro caso, stante l’evidente impossibilità di convocare preventivamente l’assemblea, tale operato dell’amministratore venne ratificato dall’assemblea tenutasi il 31.1.15 (all. 3 parte ricorrente); l’intervento di asfaltatura del viale condominiale ben può esser considerato, per la modestia del suo complessivo ammontare e per la sua incontestata necessità, quale atto di ordinaria manutenzione per la conservazione delle parti comuni

© massimo ginesi

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