la revoca dell’amministratore non incide sul suo rendiconto già approvato dall’assemblea.

Corte di Cassazione, sez. II Civile,  11 gennaio 2017, n. 454  Relatore Scarpa

una sentenza che affronta un tema  inusuale e che denota quanto possa essere complessa la materia condominiale (e articolata la fantasia giudiziale dei condomini).

Il giudice territoriale  aveva respinto la domanda di impugnativa della delibera di approvazione del  consuntivo predisposto dall’amministratore successivamente revocato:  i ricorrenti lamentano che ” la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che i due precedenti amministratori del Condominio erano stati revocati per le irregolarità compiute”.

Osserva a tal proposito la Suprema Corte ” è priva di decisività la circostanza che i bilanci consuntivi approvati con la delibera oggetto di impugnazione fossero stati predisposti da amministratori di seguito revocati giudizialmente.
Il provvedimento in camera di consiglio, statuente la revoca dello amministratore del condominio, ha efficacia, ai sensi dell’art. 741 c.p.c., dalla data dell’inutile spirare del termine per il reclamo avverso di esso, sì che gli atti compiuti dall’amministratore in data anteriore a quella d’inizio dell’efficacia del provvedimento camerale dispositivo della sua revoca non sono viziati da alcuna automatica invalidità e continuano a produrre effetti e ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 666 del 01/02/1990).”

La Cassazione sottolinea che, poiché  la revoca giudiziale dell’amministratore  ha efficacia da quando il relativo provvedimento diviene “definitivo”, gli atti da costui compiuti sino a quel momento devono ritenersi validi, salvo specifici motivi di censura che non possono essere ricondotti in via automatica al solo fatto che la condotta dell’amministratore sia stata affetta da irregolarità che ne hanno determinato la successiva revoca .

La sentenza, ritenuto infondato il primo peculiare motivo di ricorso, esamina anche le altre censure, ritornando su principi ormai consolidati, seppur espressi con una  sfumatura di novità dovuta alla particolarità dell’impugnativa.

I ricorrenti si dolgono che le spese approvate a consuntivo dall’assemblea non siano state oggetto di precedente approvazione a preventivo,   avevano inoltre  proposto al giudice territoriale una censura nel merito di dette spese, chiedendo che ne venisse accertata la superfluità.

La Suprema Corte, nel ribadire che compete all’autorità giudiziaria unicamente un sindacato di legittimità sulle delibere condominiali e che il giudice non può entrare nel merito della spesa discrezionalmente deliberata dell’assemblea, compie una esaustiva e interessante disamina in diritto sulle facoltà  dell’assemblea in tema di approvazione della spesa e sui poteri dell’amministratore relativamente alla ordinaria gestione.

Va poi considerato che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, per la validità della delibera di approvazione del bilancio condominiale non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società, essendo, invece, sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione; né si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1405 del 23/01/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9099 del 07/07/2000).

Spetta, comunque, all’assemblea dei condomini approvare il conto consuntivo, come confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l’opportunità delle spese affrontate d’iniziativa dell’amministratore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8498 del 28/05/2012). Com’è noto, il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità. Ne consegue che non è suscettibile di controllo da parte del giudice, attraverso l’impugnativa di cui all’art. 1137 c.c., l’operato dell’assemblea condominiale in relazione alla questione inerente alla approvazione in sede di rendiconto di spese che si assumano superflue. “

Rileva ancora la Corte che, una volta provare legittimamente le spese a consuntivo, non può avere alcun rilievo che le stesse non avessero ricevuto una preventiva deliberazione, atteso che la facoltà di erogare le spese ordinarie rientra fra i poteri dell’amministratore e che a legittimare tale attività è più che sufficiente l’approvazione del rendiconto: ” Infine, è funzione tipica del consuntivo proprio l’approvazione della erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali, le quali non richiedono la preventiva approvazione dell’assemblea dei condomini, in quanto trattasi di esborsi ai quali l’amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell’assemblea.

L’approvazione di dette spese è richiesta soltanto in sede di consuntivo, giacché con questo poi si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo che legittima lo amministratore ad agire contro i condomini per il recupero delle quote poste a loro carico (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5068 del 18/08/1986).
Nella specie, la Corte di Roma ha accertato, con motivazione logica e perciò non emendabile, che le voci di spesa e di entrata erano intelligibili e non estranee alla gestione del condominio. Con specifico riguardo ai lavori di impermeabilizzazione la Corte di Appello di Roma ha ritenuto, inoltre, che, per la loro natura e consistenza, avessero natura di opere di ordinaria manutenzione destinate alla conservazione della cosa comune e che rientrassero, perciò, nelle attribuzioni dell’amministratore “

© massimo ginesi 13 gennaio 2017 

l’amministratore può agire in giudizio a tutela della parti comuni senza autorizzazione assembleare

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La Corte di Cassazione, sez. II Civile con sentenza  sentenza 7 luglio – 23 novembre 2016, n. 23890 conferma un consolidato orientamento giurisprudenziale.

L’amministratore agisce in giudizio contro un condomino per ottenere nei suoi confronti condanna ala rimozione di alcune opere da costui realizzate nel cavedio condominiale.

Si tratta di azione volta pacificamente alla tutela di beni comuni, competenza prevista espressamente dall’art. 1130 cod.civ. in capo all’amministratore, e che non comporta alcuna domanda di accertamento sulla titolarità dei diritti. La nuova formulazione dell’art. 1131 cod.civ. (introdotta dalla L. 220/2012, ma già interpretata in tal senso dalla giurisprudenza a far data da Cass. SS.UU. 1833172010)  prevede espressamente che l’amministratore debba essere autorizzato dalla assemblea solo per le cause che esulano dalle sue attribuzioni così come delineate dall’art. 1130 cod.civ.

Eppure la Corte di Appello di Trieste, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto insussistente la legittimazione dell’amministratore in assenza di espressa delibera assembleare di autorizzazione alla promozione della lite.

Il giudice di legittimità cassa la sentenza di secondo grado chiarendo che : “A tanto è pervenuta la Corte territoriale, rifacendosi impropriamente a precedenti decisioni di questa Corte (n.ri 3044/2009, 24764/2005 e 12557/1992) e valutando l’azione posta in essere come azione (reale) non rientrante nel novero delle azioni proponibili direttamente dall’organo rappresentativo condominale.
Senonchè, nella concreta ipotesi per cui è giudizio, l’amministratore del condominio ricorrente …  ha chiesto solo la rimozione della struttura di parte controricorrente, limitante la corretta usufruizione del comune cavedio.
La previa delibera autorizzativa ad litem da parte dell’assemblea condominale non era, pertanto, necessaria. Al riguardo, anche in continuità con il condiviso e consolidato orientamento di questa Corte ( Cass. 1 ° ottobre 2008; n. 24391 e 17 giugno 2010, n. 14626) non può che riaffermarsi il principio – attagliantesi invero alla. fattispecie – secondo cui, ai sensi dell’art. 1130, comma 1, n. 4 e 1131 c.c. l’amministratore del condominio è legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad instaurare un giudizio per la rimozione di opere in quanto tale atto è diretto alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio”.

© massimo ginesi 25 settembre 2016

il distacco dall’impianto di riscaldamento dopo la L. 220/2012

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Il giudice di legittimità  affronta l’annoso problema del distacco del singolo condomino dall’impianto di riscaldamento centralizzato alla luce  dell’art. 1118 cod.civ. nella nuova formulazione  introdotta dalla L. 220/2012.

La Corte di Cassazione,  VI sez. Civile  con sentenza del  3 novembre 2016, n. 22285 ha deciso una controversia  che aveva visto il singolo condomino vittorioso  in primo grado e poi soccombente in appello. La pronuncia è interessante perchè stabilisce che è onere di colui che intende distaccarsi fornire la prova che la sua iniziativa non comporta squilibri o aggravi di spesa.

i fatti e lo svolgimento processuale: “G.C.B. impugnava la delibera dei Condominio di Via (omissis) in (omissis)con la quale l’assemblea condominiale decideva di non concedere il distacco dall’impianto di riscaldamento condominiale alla proprietà C.B., in quanto avrebbe danneggiato le altre unità immobiliari sia dal lato economico, che di rendimento del riscaldamento. Eccepiva il ricorrente l’inefficacia della delibera in violazione dei diritto individuale del condomino di ottenere quanto richiesto.
Si costituiva il Condominio di Via (omissis), eccependo l’incompetenza del giudice adito e sostenendo la competenza del Giudice di Pace. In subordine, contestava le argomentazioni poste a fondamento dell’impugnazione e sosteneva la piena legittimità della delibera. Esperiva domanda riconvenzionale chiedendo il pagamento, delle spese legali sostenute in un precedente accertamento tecnico preventivo intercorso tra le parti ed avente come oggetto l’impianto di riscaldamento centralizzato ed, in particolare, il suo collegamento con i locali di proprietà dei sig. C.B..
II Tribunale dichiarava la competenza del Giudice di pace. II processo veniva riassunto davanti al Giudice di Pace di Milano e si costituiva il condominio richiamando quanto argomentato in precedenza.
II Giudice di Pace, con sentenza n. 108226 del 2012, accoglieva l’impugnazione, dichiarando la nullità della delibera sul punto relativo al distacco del riscaldamento. Dichiarava il diritto di C.B. ad eseguire il richiesto distacco.
Il Tribunale di Milano pronunciandosi sull’appello proposto dal Condominio di via (omissis), con contraddittorio integro, con sentenza n. 8342 del 2014 accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata rigettava l’impugnazione azionata da G.C.B., in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava G.C.B. al pagamento della somma di €. 4.037,75 oltre interessi legali a titolo di risarcimento danni. Condannava C.B. al pagamento delle spese dei doppio grado del giudizio. Secondo il Tribunale di Milano, C.B. non avrebbe dimostrato la sussistenza dei requisiti necessari per operare il distacco del proprio appartamento dal riscaldamento condominiale e, cioè, che per il distacco dal proprio immobile dall’impianto di riscaldamento condominiale non fossero derivati notevoli squilibri di funzionamento od aggravi di spesa per gli altri condomini, non avendo il condomino (omissis) prodotto alcuna relazione termotecnica”

il principio di diritto: la questione relativa al distacco di un condominio dall’impianto centralizzato condominiale trova la sua immediata disciplina nella normativa di cui all’art. 1118 cod. civ. come modificata dalla L. n. 220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, cc. dd. riforma dei condominio. Tale normativa ha, espressamente, ammesso la possibilità dei singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento ma a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto od aggravi di spesa per gli altri condomini. Il condomino che intende distaccarsi deve, in altri termini, fornire la prova che “dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini”, e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale. L’onere della prova in capo al condomino, che intenda esercitare la facoltà del distacco viene meno, come bene ha evidenziato la stessa sentenza impugnata, soltanto nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente autorizzato il distacco dall’impianto comune sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti di cui si è detto Con l’ulteriore specificazione che colui che intende distaccarsi dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale e/o “aggravi” per i restanti condòmini, rinunciare dal porre in essere il distacco perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante. Né, ed è bene precisarlo, l’interessato, ai sensi dell’art. 1118 cod. civ., potrà effettuare il distacco e ritenere di essere tenuto semplicemente a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che dal loro distacco “non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.
Il Tribunale di Milano, nel caso concreto, ha ritenuto che la delibera del 29 marzo 2010 con la quale il Condominio di Via (omissis) in (omissis) ha negato a G.C.B. l’autorizzazione ad effettuare il distacco della propria unità immobiliare dall’impianto di riscaldamento centralizzato era immune da censure perché il condomino C.B. non aveva dimostrato, e lo avrebbe dovuto, la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1118 cod. civ. e cioè la mancanza di squilibri tecnici pregiudizievoli per l’erogazione del servizio e di eventuali aggravi di spesa per i rimanenti condomini scaturenti dal chiesto distacco, e/o, comunque, non ha ritenuto, che la prova dell’insussistenza dei detti pregiudizi fosse presente negli atti dei processo.
Ora, proprio perché il Tribunale ha ritenuto che la prova dell’insussistenza dei pregiudizio di cui si dice non era stata data e/o non era sussistente agli atti del processo, la sentenza non presenta il vizio denunciato di omesso esame di un fatto decisivo. D’altra parte, come chiaramente emerge, dalla sentenza impugnata, le circostanze addotte da C.B.G., che avrebbero dimostrato l’insussistenza dei pregiudizi di cui si dice, sono state valutate e ritenute insufficienti e/o non efficaci al fine che si intendeva raggiungere”

© massimo ginesi 7 novembre 2016

IL DISSENSO DEI CONDOMINI RISPETTO ALLE LITI

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L’intera vita condominiale si fonda sul principio espresso dall’art. 1137 I comma cod.civ. che prevede l’obbligatorietà delle delibere assembleari per tutti i condomini.
Si tratta di norma che consente ad una collettività di esprimere una volontà rappresentativa idonea a gestire unitariamente gli interessi comuni su base maggioritaria.
Il principio vede due sole eccezioni, l’una in tema di innovazioni (art. 1121 cod.civ. ) e l’altra in tema di liti (art. 1132 cod.civ. ).
In tali casi il legislatore ha ritenuto di accordare la possibilità ai dissenzienti di sottrarsi al potere vincolante della delibera.
L’art. 1132 cod.civ. prevede che il condomino, esprimendo dissenso da comunicare entro trenta giorni dalla delibera che decide di promuoverla o di resistervi, può separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di soccombenza.
Il dissenso è atto recettizio che deve essere inviato all’amministratore ed è un quid pluris rispetto al semplice voto contrario in assemblea, che ne è presupposto logico e giuridico ma che da solo non produce effetto dissociativo.
LA giurisprudenza ha affermato che il dissenso non richiede la forma solenne che sembra richiamare la norma (notificazione) ma può essere espresso dall’assente e dal dissenziente entro trenta giorni dalla delibera, con comunicazione all’amministratore idonea a rendere incontrovertibile termine e contenuto (raccomandata, pec, consegna a mani).
La suprema corte (Cass. civ., sez. II, 18/06/2014,  n. 13885) ha anche affermato che il dissenso può trovare applicazione solo nelle cause che vedano quali parti il condominio e un terzo, non in quelle interne (ovvero fra condominio e uno o più condomini); in dottrina è invece diffusa la tesi che il dissenso possa riguardare anche queste ultime.
Una volta esercitato legittimamente il dissenso, la delibera che ponga a carico del dissenziente le spese di lite è affetta da nullità e non da semplice annullabilità (Cass. civ. sez. II, 15/05/2006 n. 11126).
E’ ormai pacifico che il dissenso possa essere esercitato solo per quel liti che vedano una deliberazione antecedente (o di successiva ratifica) e che, alla luce di CAss. SS.UU. 18331/2010 e della nuova formulazione dell’art. 1131 cod.civ., comprendono le controversie che esulano dai poteri dell’amministratore individuati dall’art. 1130 cod.civ., mentre per queste ultime può agire senza necessità di avvallo assembleare.
Del resto lo stesso art. 1132 cod.civ. ancora il dies a quo per esprimere il dissenso alla data della delibera e quindi la possibilità di esercitare il dissenso pare necessariamente ancorata alla sussistenza di una volontà assemblare espressa.
Appare comunque ragionevole estendere tale facoltà anche a quelle liti che, pur rientrando nei poteri dell’amministratore, abbiano visto comunque una delibera legittimante.
I giudici hanno invece ritenuto non applicabile la norma ove la lite venga conclusa da transazione, che vincolerà anche il dissenziente (Cass. civ. sez. II, 16/01/2014,  n. 821)
Resta invece notevolmente controversa la portata dello “scudo” predisposto dalla norma.
LA giurisprudenza di legittimità ha sempre sostenuto la mera rilevanza interna della norma (ossia l’impossibilità di opporre il dissenso direttamente al creditore, limitando i suoi effetti al diritto di regresso verso gli altri condomini), affermando altresì che la stessa preservi solo dalle spese che il Condominio è tenuto a pagare alla controparte, lasciando intatto l’obbligo per le spese sostenute dal Condomino per la propria difesa.
Di recente acuta e attenta dottrina (Celeste/Scarpa) ha evidenziato come la mera valenza interna dei criteri di riparto fosse legata alla impostazione solidaristica dell’obbligazione condominiale, tesi venuta meno con CAss. SS.UU. 9148/2008.
Ne consegue che se le Sezioni Unite hanno evidenziato la rilevanza esterna nei confronti del creditore dei criteri di riparto (rilievo che pare sussistere anche oggi a fronte del meccanismo di escussione previsto dal novellato art. 63 disp.att. cod.civ.), non vi sarebbe ragione per non riconoscere tale valenza anche all’art. 1132 cod.civ.
Allo stesso modo, se la ratio della norma è quello di consentire al dissenziente di sottrarsi agli obblighi derivanti da una delibera che non condivide, tale esonero dovrebbe riguardare tutti gli obblighi derivanti da quella delibera e non solo le spese liquidate alla parte vittoriosa.

© massimo ginesi 12 ottobre 2016

supercondominio: la revoca dell’amministratore non spetta ai rappresentanti

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La novella del 2012 ha completamente ridisegnato il volto dell’art. 67 disp.att. cod.civ., dettando una disciplina del supercondominio la cui operatività – a tutt’oggi – lascia ampi margini di dubbio anche fra gli interpreti più accreditati.

Per i complessi con più di sessanta condomini il legislatore ha dettato un farraginoso meccanismo che, astrattamente, intendeva evitare le riunioni fiume, attribuendo l’ordinaria amministrazione ad una assemblea più snella e composta dai rappresentanti dei singoli fabbricati ma che – per la contorta e imprecisa formulazione della norma – lascia aperti forti interrogativi sulle modalità di nomina dei rappresentanti stessi, di convocazione, di partecipazione e di svolgimento  di quella assemblea.

Il Tribunale di Milano, con sentenza 22 agosto 2016 (estensore Rota), ha statuito che l’assemblea dei rappresentanti ha competenza in materia di nomina dell’amministratore  – che è certamente  materia di ordinaria amministrazione – ma non può invece deciderne la revoca, che competerebbe alla assemblea plenaria.

La sentenza, i cui approdi possono anche apparire poco condivisibili alla luce degli  orientamenti di legittimità su alcuni dei problemi affrontati, ha il pregio di tentare una analisi sistematica dell’istituto del supercondominio così come tracciato dal legislatore del 2012 e merita lettura attenta e integrale.

© massimo ginesi 3 ottobre 2016 

è legittima l’istituzione di fondi cassa deliberata dalla assemblea

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Lo ha stabilito la Suprema Corte con sentenza del 11 agosto 2016 n. 17035, (rel. Giusti) affermando che:

“Questa Corte ha già statuito che appartiene al potere di­screzionale dell’assemblea e non pregiudica né l’interesse dei condomini alla corretta gestione del condominio, né il loro diritto patrimoniale all’accredito della proporzionale somma – perché compensata dal corrispondente minor addebito, in anti­cipo o a conguaglio – l’istituzione di un fondo-cassa per le spese di ordinaria manutenzione e conservazione dei beni comuni (Sez. II, 28 agosto 1997, n. 8167).

Si è anche precisato che l’onere per la costituzione di un fondo speciale per le spese di manutenzione straordinaria va ripartito tra i condomini in base ai criteri fissati nell’art. 1123 cod. civ. se per la realizzazione di interventi non anco­ra specificati è possibile ripartire provvisoriamente la somma destinata alla costituzione del fondo in base ai millesimi di proprietà (Sez. II, 29 gennaio 1974, n. 244)”

La sentenza, per le argomentazioni difensive delle parti e la disamina effettuata dalla corte, merita lettura integrale.

© massimo ginesi 17 agosto 2016

il merito bizzarro – un lastrico lunare…

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Spesso davanti ai Giudici di merito arrivano liti che non hanno del temerario ma dell’incredibile…

Un condomino impugna la delibera con cui il condominio ha deciso di provvedere alla straordinaria manutenzione di una terrazza a livello posta all’ultimo piano del fabbricato condominiale e che si estende sui quattro lati dell’edificio.

La vicenda è decisa con sentenza del Tribunale di Massa in data 28.10.2015.

Il contenuto del procedimento: “L’attrice ha proposto impugnazione della delibera adottata dall’assemblea del Condominio convenuto in data 25.10.2014 assumendo tre profili di illiceità:

– Trattandosi di terrazza a livello (pur ostinandosi le parti a definirlo lastrico solare) di proprietà esclusiva il condominio non avrebbe potuto deliberarne il rifacimento, poiché in tal modo la decisione inciderebbe su beni di proprietà individuale e dovrebbe dunque ritenersi nulla.

– Poiché l’assemblea ha deciso di provvedere alla manutenzione del solo lato monti/strada, avrebbero dovuto votare solo i condomini che sono coperti da tale porzione

– La delibera sarebbe nulla/annullabile in quanto alla assemblea ha espresso il proprio voto la figlia della signora M.O., condomina danneggiata dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico, non munita di delega scritta”

osserva il giudice che:

“Quanto alla proprietà esclusiva della terrazza a livello, va rilevato che la diversa appartenenza del diritto inerente il suo utilizzo non vale ad escludere la sua natura di bene comune con la quale concorre, sicchè il manufatto è idoneo a fornire due distinte utilità, l’una al singolo l’altra alla collettività condominiale. Tale circostanza incide sul criterio di imputazione delle spese per il suo rifacimento, che dovrà informarsi ai principi dettatati dall’art. 1126 cod.civ., non già sulla legittimazione dell’assemblea a disporre il relativo intervento, che pertanto risulta correttamente oggetto di deliberazione dell’organo condominiale: “Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, poichè il lastrico solare dell’edificio svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo” Cass. 18164/2014. Apparirebbe peraltro assai bizzarro far ricadere sui condomini, nella misura dei due terzi, una spesa per un intervento che secondo le tesi di parte attrice dovrebbe decidere in via del tutto personale ed autonoma il solo proprietario del lastrico.”

Quanto ai soggetti legittimati a deliberare, va osservato che le foto prodotte dalla stessa parte attrice dimostrano l’esistenza di una terrazza di copertura che corre sui quattro lati dell’edificio senza alcuna soluzione di continuità, costituendo un unico piano di calpestio che svolge una unitaria funzione di copertura per le unità sottostanti. Tale circostanza comporta che l’intervento sul manto di copertura debba essere deliberato dalla intera collettività condominiale che se ne giova, atteso che non sono rinvenibili – nella fattispecie in esame – caratteristiche di autonomia funzionale e strutturale della porzione interessata che possano ricondurla ad ipotesi di parziarietà: “In materia condominiale le spese di manutenzione del tetto o del lastrico di copertura dell’edificio devono essere suddivise tra tutti i condomini secondo i millesimi di proprietà. E infatti, le spese effettuate per la conservazione delle parti comuni dello stabile condominiale e aventi lo scopo di preservarlo dagli agenti atmosferici sono assoggettate alla ripartizione in base al valore delle singole proprietà esclusive ex art.1123, comma 1, c.c., non rientrando esse tra le spese contemplate dai commi 2 e 3 della medesima norma, ovvero quelle relative a cose comuni suscettibili di essere destinate in misura diversa al servizio dei condomini o al godimento di una parte di essi. Ne deriva che la spesa per il rifacimento del tetto che è destinato a proteggere l’intero edificio e non solo gli ultimi piani dagli agenti atmosferici, coerentemente con quanto disposto dall’art. 1117 c.c., non può essere posta a carico dei soli proprietari delle unità immobiliari poste nella verticale sottostante la porzione da riparare o solo a carico dei proprietari degli immobili siti all’ultimo piano. “ Trib. Roma 18080/2013″

last but not least appare poco fondata anche la questione della delega scritta:

Di nessun pregio appare neanche la terza censura, relativa al voto espresso della figlia della condomina O. che sarebbe statao sfornita di delega. Il dato non risulta in realtà dal verbale di assemblea, ove è genericamente indicata la presenza di O. per millesimi 67, ma la partecipazione della figlia è pacificamente ammessa dal Condominio convenuto che tuttavia contesta l’asserita assenza di delega, osservando che per dimenticanza non è stata annotata la delega esistente (e che tuttavia non è stata prodotta). In assenza di prova sulla esistenza della procura scritta, va tuttavia rilevato che la votazione in assemblea espressa da un soggetto non munito di tale documento, oggi richiesto espressamente dall’art. 67 disp.att. cod.civ., lungi dal costituire nullità del deliberato, può al più condurre alla impossibilità di computare validamente il suo voto ai fini delle maggioranze necessarie alla costituzione e alla votazione. Nel caso di specie la decisione è stata assunta in seconda convocazione con il voto favorevole di 13 condomini su 14 presenti per millesimi 684, come risulta dal relativo verbale. Essendo i condomini del fabbricato in numero di 17, l’eventuale sottrazione del voto espresso dalla O., per una testa e 67 millesimi, non è idonea a incidere sulle maggioranze per la costituzione in seconda convocazione né su quelle necessarie per dar corso a lavori di straordinaria manutenzione così come previste dall’art. 1136 III e IV comma cod.civ., entrambe ampiamente raggiunte anche senza il suo voto”

© massimo ginesi 20 luglio 2016

non sempre necessari i giustificativi di spese postali e di copia

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Accade con frequenza che l’amministratore porti a consuntivo spese minute per adempimenti postali e di segreteria (fotocopie) senza che adduca per ciascuna il relativo giustificativo di spesa.

nel caso di specie, che affonda ancora le proprie radici nella stagione della lira, il giudice di primo rado aveva stabilito che “per quel che riguardava il rimborso richiesto richiesto dall’amministrazione per Lire 100.000 per spese difficilmente documentabili, non era contra legem la delibera di approvazione pur in assenza delle conservazione dei documenti giustificativi”

La vicenda giunge infine in Cassazione ove viene statuito che “si sottrae al sindacato di legittimità la delibera dell’assemblea condominiale la quale – in relazione alla natura oltrechè all’entità – in relazione alla natura oltrechè all’entità – liquidi forfettariamente importi che non sono relativi a spese strettamente inerenti alla stessa gestione dell’amministrazione condominiale, come quelle sostenute per fotocopiature e spedizione di raccomandate”.

Dunque all’amministratore competerà il rimborso di quelle spese anche in assenza delle singole ricevute di spesa, in quanto è potere dell’assemblea liquidare comunque le ordinarie spese correnti di amministrazione ove risultino congiure e pertinenti, mentre all’improvvido  condomino quelle centomila lire di spese postali e fotocopie sono costate, per solo il grado di cassazione di quell’impugnativa di delibera,   2.500 euro oltre accessori di spese di lite.

Cass. Civ. Sez. II 24 giugno 2016 n. 13183

© massimo ginesi 19 luglio 2016

delega all’amministratore e conflitto di interessi, art. 67 disp.att. cod.civ.

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L’art. 67 V comma disp.att. cod.civ., così come introdotto dalla L. 220/2012, prevede che “All’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”.

Oggi il divieto è  espressamente previsto dalla legge, anteriormente alla novella del codice la giurisprudenza aveva comunque ritenuto che la delega a partecipare alla assemblea, conferita da un condomino  all’amministratore, ove avesse riguardo a  delibere relative alla nomina o revoca dell’amministratore o all’approvazione del bilancio esponesse la decisione  a vizio di annullabilità per conflitto di interesse.

Il Tribunale di Larino ha ritenuto di recente che anche la delega al socio accomandante della società in accomandita semplice, che svolgeva l’incarico di amministratore del fabbricato,  urtasse contro il divieto della norma attuativa.

Osserva il Giudice  molisano che Fondata è l’eccezione di nullità della deliberazione impugnata, in quanto adottata in palese violazione dell’art. 67, co. 4, disp. att. c.c., che vieta espressamente il conferimento all’amministratore di condominio di “deleghe perla partecipazione a qualunque assemblea”. Nella fattispecie, dalla deliberazione in esame risultano conferite dai condomini Ci. e Le. le rispettive deleghe a partecipare in loro nome e per loro conto alla suddetta assemblea all’avv. An.Lo., la quale, come dimostrato per tabulas dalla parte attrice (visura camerale – all. n. 1 del fascicolo di parte attrice), riveste la posizione di socio accomandante della medesima amministratrice “St.Ae. S.a.s.”. Di conseguenza, parimenti fondata è anche l’ulteriore eccezione di illegittimità e di conseguente annullabilità della deliberazione in parola, stante l’evidente conflitto di interessi tra la società amministratrice ed il Condominio “To.” in relazione tanto all’approvazione del bilancio consuntivo 2013/14 e del relativo riparto delle spese, oltre che delle rate del bilancio preventivo del 2015 e del relativo riparto delle spese, quanto della conferma o della revoca della medesima società amministratrice.”

Interessanti le riflessioni sulla portata dell’art. 67 disp.att. cod.civ. “Deve rilevarsi in proposito che la ratio della norma introdotta dal legislatore con il novellato art.67, co. 4, disp. att. c.c. è ispirata non solo all’esigenza di consentire la partecipazione personale dei singoli condomini alla relativa assemblea, ma anche all’esigenza di scongiurare situazioni di conflitto di interesse come quella in discorso. Proprio in relazione a siffatte situazioni la giurisprudenza formatasi prima della novella legislativa del 2012 ha affrontato la questione della validità o meno della delega conferita all’amministratore, esprimendo l’indirizzo consolidato secondo cui quando gli argomenti sottoposti al vaglio ed alla decisione dell’assemblea dei condomini comportino un giudizio sulla persona e sull’operato dell’amministratore riguardo a materie inerenti alla gestione economica della cosa comune, come avviene nel caso delle delibere di approvazione del bilancio consuntivo e di conferma o revoca dell’amministratore, sussiste una situazione di conflitto di interessi tra amministratore e condominio, che può essere fatta valere da qualsiasi partecipante alla collettività condominiale (Cass. civ., 22.07.2002, n. 10683).”

Per non farsi mancare nulla il Condominio aveva anche omesso di indicare a verbale i soggetti votanti, così che non era dato comprendere chi avesse espresso il proprio voto: ulteriore profilo che da sempre costituisce vizio.

Il Tribunale sembra graduare nella motivazione i profili di vizio, attribuendo alla violazione dell’art. 67 disp.att. cod.civ. la più grave nullità e alle altre due violazioni la sanzione della annullabilità: “Nel caso di specie, l’approvazione del bilancio consuntivo del 2013/14 e la conferma di “St.Ae. S.a.s.” come amministratore del Condominio “To.” risultano essere state decise in difetto di qualsiasi indicazione del numero e dei nominativi dei votanti, di quelli favorevoli e contrari, dissenzienti ed astenuti, nonché delle rispettive quote millesimali rappresentate, cosicché non risulta con quale maggioranza siano stati assunti i suddetti deliberati e, stante l’illegittimità delle deleghe conferite all’avv. An.Lo. dai condomini Ci. e Le. in violazione del divieto sancito nell’art.67, co. 4, disp. att. c.c., se l’eventuale votazione espressa sui predetti punti dell’ordine del giorno dal rappresentante dei due condomini, in quanto portatore di un interesse contrastante con quello del Condominio convenuto, sia stato o meno computato al fine del raggiungimento delle maggioranze prescritte nell’art. 1136 c.c., atteso l’obbligo di astensione dalla votazione gravante sul medesimo rappresentante in conflitto di interessi. Peraltro, l’illegittimità della deliberazione in parola, derivante a priori dalla violazione del predetto divieto legislativo, neppure potrebbe escludersi sulla scorta dell’operatività ipotetica della presunzione della conformità degli interessi dei condomini deleganti con quello del delegato (Cass. civ., sez. II, 22.07.2002, n. 10683), poiché è da ritenersi che l’appartenenza di quest’ultimo nella veste di socio accomandante, alla società amministratrice del Condominio “To.” ben era e ben è conoscibile ai terzi e, quindi, ai suddetti condomini deleganti in forza della funzione di pubblicità dichiarativa assolta dalla relativa iscrizione nel registro delle imprese tenuto dalla C.C.I.A.A. di Campobasso, così come risulta dalla visura camerale prodotta dalla parte attrice”

Da sottolineare anche il rilevo processuale, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., della ingiustificata mancata partecipazione del Condominio alla mediazione.

Non del tutto congruente invece appare il dispositivo della sentenza con quanto espresso nella motivazione, atteso che, dopo aver ascritto alla nullità il vizio formale relativo alla violazione dell’art. 67 disp.att. cod.civ., il Tribunale  si limita a disporre annullamento della delibera ex art. 1137 cod.civ.

© massimo ginesi giugno 2016 

Le spese ordinarie e straordinarie in condominio

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La Cassazione  (II sezione civile, 10865/2016, rel. Scarpa) ritorna su due temi caldi.

Quanto alle diverse categorie di spesa e ai poteri  dell’amministratore, osserva la Corte che “Vi si allega che l’appalto dei servizi di manutenzione del verde condominiale, nonche’ di derattizzazione e disinfestazione delle aree comuni, involgono contratti rientranti nella straordinaria amministrazione, e percio’ sarebbe illegittima la delibera  che dava generico mandato all’amministratore al riguardo. La Corte d’Appello ha ritenuto che si trattasse di contratti che “rientrano chiaramente nell’ordinaria amministrazione, in quanto tendono alla conservazione delle cose comuni, e quindi nella competenza dell’amministratore”, sicche’ la deliberazione  sarebbe valsa soltanto come “sollecitazione” a quest’ultimo a provvedere ad atti di sua competenza. E’ noto che i contratti conclusi dall’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni ed inerenti alla manutenzione ordinaria dell’edificio ed ai servizi comuni essenziali, ovvero all’uso normale delle cose comuni, sono vincolanti per tutti i condomini in forza dell’articolo 1131 c.c., nel senso che giustificano il loro obbligo di contribuire alle spese, senza necessita’ di alcuna preventiva approvazione assembleare delle stesse, intervenendo poi tale approvazione utilmente in sede di consuntivo (Cass. 18 agosto 1986, n. 5068). L’elemento distintivo dell’ordinaria amministrazione dell’obbligazione assunta, come tale sottratta al presupposto autorizzativo dell’assemblea, risiede, pertanto, al pari di quanto si sostiene per le amministrazioni commerciali, nella normalita’ dell’atto di gestione condominiale rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni. Mentre, solo laddove si verta in ipotesi di spese che, seppure dirette alla migliore utilizzazione di cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino per la loro particolarita’ e consistenza un onere economico rilevante, superiore a quello normalmente inerente alla gestione, l’iniziativa contrattuale dello stesso amministratore, senza la preventiva deliberazione  dell’assemblea, non e’ sufficiente a fondare l’obbligo dei singoli condomini, salvo che non ricorra il presupposto dell’urgenza contemplato nella fattispecie di cui all’articolo 1135 c.c., comma 2. “

Quanto alla legittimazione processuale dell’amministratore, in linea con le Sezioni Unite del 2010 e con le modfiche apportate all’art. 1131 cod.civ. dalla novella del 2012, il Giudice di legittimità ribadisce che “deve conclusivamente affermarsi, quanto al primo motivo di ricorso, che l’amministratore di un condominio, per conferire procura al difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che non esorbitano dalle sue attribuzioni, agli effetti dell’articolo 1131 c.c., commi 2 e 3 (quale, nella specie, la resistenza all’impugnazione di una Delib. proposta da un condomino), non ha bisogno dell’autorizzazione dell’assemblea dei condomini, ed un’ eventuale Delib. sul punto avrebbe il significato di mero assenso alla scelta gia’ validamente effettuata dall’amministratore”

© massimo ginesi giugno 2016