ristorante in condominio: le molestie olfattive sono reato.

Anche se l’impianto di scarico dei fumi a sevizio di un ristorante risulta essere a norma, ove nel cortile condominiale (o in altre parti comuni) si diffondano odori sgradevoli, la condotta può ritenersi penalmente illecita  ove superi  soglie di stretta tollerabilità.

Lo ha stabilito di recente la Suprema Corte (Cass.pen. VII sez. 26 settembre 2017 n. 44257)    che ha ritenuto legittima la condanna di un ristoratore per getto pericoloso di cose, ai sensi dell’art. 674 cod.pen.

Nel 2016 il tribunale di Roma aveva condannato il ristoratore alla pena di 500 euro di ammenda, ritenendolo colpevole del reato contravvenzione previsto dall’art. 674 cod.pen., “per aver provocato l’emissione di fumi e vapori  maleodoranti nel cortile condominiale, atti a molestare i soggetti di cui al capo di imputazione”

Osserva la Corte di legittimità che

il criterio fondante è quello della stretta tollerabilità“nel caso in esame trovano applicazione i seguenti principi, enunciati dalla giurisprudenza sopra richiamata:

a) l’evento del reato consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo sufficiente quello del limite della stretta tollerabilità;

b) qualora difetti la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testimoni, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti”

© massimo ginesi 4 ottobre 2017

 

la Cassazione ritorna sul rumore. l’accertamento della intollerabilità e il risarcimento del danno.

Abbiamo segnalato ieri una serie di pronunce sull’art. 844 cod.civ. in condominio e oggi se ne aggiunge un’altra, sempre in tema di immissioni.

La vicenda attiene ad una complessa controversia fra  parenti, proprietari di due unità immobiliari vicine, in una delle quali viene svolta attività di fabbro che – sostengono gli altri – arreca grave pregiudizio alla vita quotidiana.

Cass. civ. II sez. 20 gennaio 2017 n. 1606 rel. Scarpa  traccia i limiti probatori riguardo al giudizio relativo all’accertamento della tollerabilità: “Vertendosi in giudizio relativo ad immissioni (nella specie di rumori ed esalazioni provocati dallo svolgimento di attività di officina fabbrile), i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità previsto dall’art. 844 c.c. costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica, che vengono di regola compiuti mediante apposita consulenza tecnica d’ufficio con funzione “percipiente”, in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l’intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone. Mentre, in tale materia, la prova testimoniale rimane ammissibile soltanto quando verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti, e non si riveli espressione di giudizi valutativi (come tali vietati ai testi: cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1245 del 04/03/1981; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2166 del 31/01/2006).”

Quanto alla intensità delle immissioni la Corte ribadisce un orientamento ormai consolidato, sulla  rilevanza degli accertamenti sotto il profilo civilistico e pubblicistico, chiarendo con motivazione ineccepibile la larga autonomia di giudizio del Giudice chiamato a valutare nel merito la intollerabilità delle immissioni fra privati: “in tema, appunto, di immissioni sonore, le disposizioni dettate, con riguardo alle modalità di rilevamento o all’intensità dei rumori, da leggi speciali o regolamenti perseguono finalità di carattere pubblico, operando nei rapporti fra i privati e la P.A. sulla base di parametri meno rigorosi di quelli applicabili nei singoli casi ai sensi dell’art. 844 c.c., e non regolano, quindi, direttamente i rapporti tra i privati proprietari di fondi vicini, per i quali vige la disciplina dell’art. 844 c.c., disciplina che, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle stesse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6223 del 29/04/2002; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2319 del 01/02/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10735 del 03/08/2001; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5697 del 18/04/2001; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 939 del 17/01/2011).

I criteri dettati dal d.m. 16 marzo 1998 attengono, piuttosto, al superamento dei valori limite differenziali di immissione di rumore nell’esercizio o nell’impiego di sorgente di emissioni sonore, di cui all’art. 6, comma 2, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, e sono volti a proteggere la salute pubblica mediante predisposizione di apposito illecito amministrativo (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28386 del 22/12/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26738 del 13/12/2006).

Perciò la Corte d’Appello di Venezia ha definito irrilevante accertare per quante ore al giorno venissero utilizzati gli strumenti da lavoro rumorosi, ed ha invece stimato decisiva la verifica, confortata dalle risultanze peritali, che ogni singola macchina adoperata nell’officina fabbrile cagionasse un rumore percepito nell’abitazione dei vicini come eccedente di 3 db rispetto al rumore ambientale di fondo. La sentenza impugnata ha correttamente considerato, in sostanza, prive di significatività le disposizioni ministeriali sulle modalità di rilevamento dei rumori cosiddetti “a tempo parziale”, valutando comunque illecite le immissioni sulla base di un giudizio di tollerabilità formulato ai sensi dell’art. 844 c.c., tenendo presente, fra l’altro, la vicinanza dei luoghi e i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni. Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è, invero, mai assoluto, ma relativo proprio alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicché la valutazione ex art. 844 c.c, diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale. Spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa, supponendo tale accertamento un’indagine di fatto, sicché nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte di Cassazione di prendere direttamente in esame l’intensità, la durata, o la frequenza dei suoni o delle emissioni per sollecitarne una diversa valutazione di sopportabilità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17051 del 05/08/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3438 del 12/02/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17281 del 25/08/2005).”

La corte affronta poi il tema del risarcimento al danneggiato per le  immissioni pregiudizievoli che il Giudice di merito abbia ritenuto sussistenti: “il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi a seguito della cd. “comunitarizzazione” della Cedu (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20927 del 16/10/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26899 del 19/12/2014). La Corte di Venezia ha proprio affermato l’esistenza di un pregiudizio alla libera e normale esplicazione della personalità ed alla qualità della vita di B.P., M. Z., G. P.  e A. P., pregiudizio riconducibile allo stress ed al grave disagio provocato dalle immissioni sonore provenienti dalla vicina officina e percepibili nell’abitazione di quelli.”

La Corte si sofferma infine sulla rilevanza della riconoscibilità della situazione a fattispecie di rilevanza penale, ai fini del risarcimento del danno a norma dell’art. 2059 cod.civ. “Al riguardo, la Corte di Venezia ha ritenuto nella specie ravvisabili gli estremi del reato di cui all’art. 659 c.p. (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone), sussistendo la potenzialità del rumore ad investire tutti coloro che ne sono a contatto, mentre ha escluso la configurabilità dell’art. 674 c.p. (Getto pericoloso di cose), non essendo verificata l’attitudine del materiale per la verniciatura utilizzato da E. P. a creare offesa o molestia. Il sesto motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale sono infondati in quanto quel che rileva ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 185 c.p., non è che il fatto illecito integri, in concreto, un reato piuttosto che un altro, né occorre una condanna penale passata in giudicato, ma è sufficiente che il fatto stesso sia soltanto astrattamente previsto come reato, sicché è sufficiente a tal fine l’accertamento, da parte del giudice civile, della sussistenza, secondo la legge penale, degli elementi costitutivi di una fattispecie incriminatrice (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13085 del 24/06/2015; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22020 del 19/10/2007).”

© massimo ginesi 21 gennaio 2017