beni comuni ex art 1117 cod.civ. e pertinenze: due mondi distinti e del tutto autonomi.

Una lunga e dotta sentenza della corte di legittimità ( Cass.Civ. sez.II 6 marzo 2019 n. 6458 rel. Scarpa)  affronta un tema interessante e spesso frainteso: laddove si costituisca una situazione di condominio in conseguenza del frazionamento della unitaria proprietà individuale in unità attribuite a diversi soggetti, i beni comuni e strumentali a tali unità saranno soggetti (ex lege o per titolo) al regime dell’art. 1117 cod.civ.,   non potendosi  invece applicare  la disciplina delle pertinenze.

La vicenda trae origine in terra ligure, da una sentenza del Tribunale di Chiavari, poi appellata dinanzi alla Corte di Genova: “L. C. convenne davanti al Tribunale di Chiavari S. A. T. ed il notaio R.a S., chiedendo di accertare che la prima non avesse alcun diritto di proprietà o comproprietà sulla striscia di terreno aderente alla casa dell’attrice in via T n. 4 di Chiavari (area che invece la signora T. occupava con beni e masserizie, ostruendone il transito), nonché di condannare il notaio S al risarcimento dei danni, per aver erroneamente indicato i confini della proprietà T. nell’atto di acquisto da A C del 19 aprile 2002, nonché in un precedente titolo.

S A T dedusse di essere comproprietaria per un terzo della striscia di terreno in contesa, come da atto di divisione del 20 luglio 1987. Il notaio R S eccepì la prescrizione e chiamò in garanzia la Fondiaria SAI s.p.a. e la Loyd’s of London Rappresentanza Generale per l’Italia.

 Il Tribunale di Chiavari respinse le domande dell’attrice, dichiarando che la striscia di terreno fosse in comunione tra L C, S A T e S P, e, accogliendo la riconvenzionale, condannò la signora C a rimuovere vasi ed altri oggetti dal sedime, nonché a rimborsare le spese alle convenute ed alle assicuratrici chiamate in causa.

La Corte di Genova, rigettando l’appello di L C, osservò che nell’atto di divisione del 20 luglio 1987, stipulato tra i comproprietari originari dell’immobile, era individuata con chiarezza l’esistenza di una striscia di terreno posta tra il fabbricato ed i giardini, definita come “distacco condominiale”, che rimaneva di proprietà comune dei condividenti.

Secondo la Corte d’Appello, la striscia in contesa “come bene condominiale e pertinenza degli appartamenti è stata trasferita agli aventi causa dei condividenti originari, che sono i proprietari attuali della casa: in tanto appartiene per un terzo a L C, per un terzo a S P e per un terzo a S A T.

Per i giudici di secondo grado, nemmeno rileva – in senso contrario – “il fatto che la striscia di terreno in contestazione non sia stata espressamente indicata – come bene pertinenziale – nel titolo di acquisto della signora T. Invero – in forza del principio per cui “accessorium sequitur principale” – gli atti traslativi aventi per oggetto i beni principali ovvero le proprietà individuali facenti parte di un condominio comprendono i beni pertinenziali – ove non sia diversamente disposto – ed i beni condominiali, che siano destinati per la loro funzione all’uso e servizio dei beni di proprietà solitaria.

Nella fattispecie non è sostenibile che la striscia per cui è causa costituisca oggetto di una comunione ordinaria, perpetuatasi tra i proprietari originari dell’immobile, a sé stante e separata dal condominio, trattandosi – al contrario – a tutti gli effetti di un bene pertinenziale, definito espressamente come condominiale nel titolo originale di divisione dagli originari comproprietari della casa ed appositamente escluso dalla divisione, siccome destinato propriamente al passaggio comune”.

A tal proposito il Giudice di legittimità osserva che: ” La Corte d’Appello di Genova ha qualificato la striscia di terreno corrente tra gli immobili delle parti, siti in via T n. 4 di Chiavari, come “bene condominiale e pertinenza degli appartamenti”, e così considerato che “gli  atti  traslativi  aventi per oggetto i beni principali  ovvero  le  proprietà  individuali facenti parte di un condominio comprendono i beni pertinenziali – ove non sia diversamente disposto – ed  i beni  condominiali,  che siano destinati per la loro funzione  all’uso  e  servizio  dei beni di proprietà solitaria”.

La qualificazione dell’area come condominiale è stata ricavata dai giudici di secondo grado dal “titolo originale di divisione dagli originari comproprietari della casa”, trattandosi di bene  “appositamente  escluso  dalla divisione, siccome destinato propriamente  al  passaggio comune”.

 Ora, la situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti del Codice Civile, si attua sin dal momento in cui  si opera il frazionamento della proprietà  di un  edificio,  a  seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.

La sentenza impugnata individua  l’atto  di frazionamento iniziale, dal quale ebbe  origine  il  condominio  delle unità immobiliari ora appartenenti a L C;  S A T e S P, nella divisione ereditaria del 20 luglio 1987, allorché furono assegnati ai condividenti singoli appartamenti ed una porzione di orto.

Individuato tale momento, doveva reputarsi operante la presunzione legale ex art. 1117e.e.dicomunione”proindiviso”ditutte quelleparti del complessoche, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal primo titolo di frazionamento non risultasse, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente al venditore o ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass.    Sez.    2,    18/12/2014,    n.   26766;   Cass.    Sez. 2,  22/08/2002,  n. 12340;  Cass.  Sez.  2,  07/08/2002,  n. 11877).

 Nella specie, si ha riguardo (per quanto accertato in fatto dai giudici di merito, sulla  base  di  apprezzamento  loro  spettante) ad area strutturalmente destinata a dare  accesso  al  fabbricato ed ai giardini, definita nel titolo “distacco  condominiale”,  in quanto tale facente parte delle cose comuni di cui all’art. 1117 cod.civ. , dovendosi qualificarsi come cortile, agli effetti di tale disposizione, qualsiasi spazio esterno che abbia la funzione non soltanto di dare aria  e luce  all’adiacente  fabbricato,  ma  anche di consentirne l’accesso (Cass. Sez. 2, 29/10/2003, n. 16241; Cass. Sez. 2, 03/10/1991, n. 10309). Tale bene, pertanto, ove manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso nel primo atto di trasferimento qualsiasi univoco riferimento al riguardo, deve essere ritenuto parte comune dell’edificio condominiale,  ai  sensi  del  medesimo  art.  1117  e.e.,  ceduta in comproprietà pro  quota. 

Peraltro,  questa  Corte  ha  ancora di recente ribadito come, al fine di accertare se l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti, sia attribuito ad uno o più condomini, è irrilevante ex se la circostanza che l’area stessa, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712).

Ne consegue che non ha alcun rilievo il contenuto dell’atto traslativo C/T del  19  aprile 2002 (del quale la ricorrente evidenzia che non indicasse espressamente la striscia di terreno), non potendo esso valere quale titolo contrario ex art. 1117 cod.civ. , né validamente disporre della proprietà esclusiva dell’area oggetto di lite, ormai compresa fra le proprietà comuni (rimanendo nulla, al  contrario, la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale venga esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni: cfr. Cass. Sez. 2, 29/01/2015, n. 1680).

La mera circostanza che uno dei successivi atti di vendita di una singola unità immobiliare non contenga espressa menzione del trasferimento anche della comproprietà delle aree comuni non è, in sostanza, in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall’art. 1117 cod.civ. , la quale, al contrario, comporta che all’atto stesso consegua l’alienazione, unitamente alla porzione esclusiva, della corrispondente quota di condominio su dette parti comuni.

Stando, infatti, al consolidato orientamento di questa Corte, una volta accertata la  sussistenza  di  una  situazione  di  condominio  di  edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio “accessorium sequitur principale”, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria  (come,  nella specie, la striscia destinata al passaggio comune), non trattandosi, per quanto accertato in fatto dalla  Corte  di Genova, di area legata agli appartamenti delle parti da mera relazione spaziale (Cass. Sez. 6 – 2, 26/10/2011, n. 22361; Cass. Sez. 2, 27/04/1993, n. 4931).

Non  è  pertinente   all’acclarata   situazione   di  fatto   la censura, contenuta     nel    secondo     motivo,     di    violazione     e   falsa applicazione dell’art. 817 cod.civ.

 La relazione di accessorietà  tra parti comuni ed unità immobiliari,  tipica  del  condominio  di edifici, ex artt. 1117 e ss. e.e.,  esula  dalla  figura  delle pertinenze ex art. 817  cod.civ.  

Nel condominio, il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, le facciate,  i  tetti,  i  cortili,  gli  impianti che servono all’uso comune, non sono «cose» distinte e autonome   rispetto   alle   porzioni   di   proprietà   individuale, ma «parti» indivisibili di un tutto.

Le parti elencate o richiamate dall’art. 1117 cod.civ. non offrono, invero, alcuna utilità  autonoma e compiuta, in quanto la loro utilizzazione oggettiva e il loro godimento soggettivo sono unicamente strumentali all’utilizzazione o al godimento degli appartamenti.

Le pertinenze  di cui  all’art.  817 cod.civ. , per contro, suppongono due «cose» che mantengono la loro identità, e che sono non congiunte    fisicamente,    quanto   combinate   in   forza   di   una «destinazione durevole» (cioè, di una destinazione  non episodica, ma comunque temporanea) al  servizio  o all’ornamento l’una  dell’altra.  Perché,  peraltro,  si  crei un’efficace destinazione pertinenziale, basta essere proprietario o titolare di altro diritto reale sulla sola cosa principale, mentre non     occorre     affatto     essere     anche     proprietario     (o  comproprietario) della cosa destinata a pertinenza.

Ed ancora, il proprium della res accessoria è la sua non indispensabilità, ovvero la sua separabilità dal tutto, mentre la divisibilità delle parti comuni dell’edificio condominiale è rigidamente condizionata, in base all’art. 1119 e.e., al raffronto tra  i vantaggi che i singoli condomini ritraevano in precedenza da esse e i vantaggi che ne ricaverebbero dopo la divisione (oltre che al “consenso di tutti i partecipanti al condominio”, presupposto esplicitamente aggiunto dalla legge n. 220/2012).

Né vi è alcuna contraddizione tra l’accertamento della condominialità della striscia di terreno e la mancata condanna della signora T a rimuovere i vasi  e  gli  oggetti posizionati su tale area, in quanto è noto come le due fondamentali limitazioni poste dall’art. 1102  cod.civ.   all’uso  della cosa comune da parte di ciascun  condomino, ovvero  il  divieto  di alterarne la destinazione e l’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri comproprietari, non impediscono al singolo partecipante, entro i limiti  ora  ricordati,  di  servirsi  di  essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, quali, nella specie, come denuncia la ricorrente, la collocazione di masserizie e di oggetti ornamentali (cfr., fra le tante, Cass. Sez. 2, 05/12/1997, n. 12344; Cass. Sez. 2, 06/05/1988, n. 3376).”

La Corte esclude infine qualunque responsabilità del notaio: “la mancata menzione da parte del notaio, nella stipula di uno dei successivi atti di vendita di una singola unità immobiliare compresa in un condominio edilizio, del trasferimento anche della comproprietà di alcuna delle aree comuni, ex art. 1117 cod.civ., non concreta alcuna violazione delle regole posta dall’ordinamento professionale a tutela delle esigenze della pubblica fede e della certezza degli strumenti della vita giuridica, tale da trascendere la sfera giuridica dei partecipi dell’atto redatto dal notaio e ledere i terzi, i quali abbiano interesse a fare affidamento sulla validità dell’atto, secondo il generale canone del neminem laedere (arg. da Cass. Sez. 3, 24/05/1960, n. 1327).”

© massimo ginesi 14 marzo 2019