edilizia convenzionata, condominio e sottotetto

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Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza  23 novembre 2016, n. 23902
Presidente Manna – Relatore Scarpa

La Suprema Corte affronta due temi interessanti: l’applicabilità delle norme sul condominio agli edifici edificati in regime di edilizia convenzionata e la riconoscibilità del sottotetto alle parti comuni, a mente dell’art. 1117 cod.civ. e avuto riguardo alla sua funzione, in assenza di espressa previsione nel titolo.

La vicenda urge quanto il costruttore dell’edificio conviene in giudizio il Condominio, assumendo di  “aver realizzato, nell’ambito di un piano di edilizia economico-popolare, l’edificio condominiale sito in (omissis), e che l’intervento abilitato prevedeva una volumetria massima, nella quale non erano compresi i sottotetti”, evidenziando che  “tali vani sottotetto non fossero stati oggetto di singole vendite, chiedeva di dichiarare la sua proprietà esclusiva dei sottotetti”

Il Condominio si costituiva eccependo  “il proprio difetto di legittimazione passiva e comunque invocando il disposto dell’art. 1117 c.c., formulando domanda riconvenzionale per ottenere la condanna della Ediltorre S.r.l. a rimuovere le chiusure dei sottotetti ed a risarcire i conseguenti danni”

In primo grado veniva respinta la domanda del costruttore e accolta la riconvenzionale proposta dal condominio mentre in Appello il verdetto veniva ribaltato a favore del costruttore.

La vicenda approda dinanzi al giudice di legittimità, ove vengono affrontati due temi distinti e di grande interesse applicativo.

Quanto alla applicabilità della disciplina condominiale agli edifici di edilizia c.d. convenzionata la Corte osserva che: “Non rileva, ai fini dell’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1117 c.c., il dato che l’intervento edilizio realizzativo del Condominio […] rientrasse nell’ambito della cosiddetta “edilizia convenzionata”, essendo la Ediltorre s.r.l. soggetto attuatore di un programma edificatorio di edilizia residenziale pubblica e concessionaria del diritto di superficie sull’area, in forza di convenzione ex art. 35, legge 22 ottobre 1971, n. 865. Questa legge prevede la stipula di una convenzione tra l’amministrazione comunale ed il cessionario in piena proprietà o, come nella specie, il concessionario del diritto di superficie dell’area, soggetto attuatore dell’intervento edilizio, che può essere, ancora come nella specie, anche un’impresa di costruzione. La convenzione in esame, oltre che il trasferimento della proprietà o la costituzione del diritto di superficie, disciplina termini, modalità, caratteristiche e garanzie dell’intervento edilizio ed urbanistico, nonché la successiva gestione degli alloggi da parte degli acquirenti, determinando i vincoli e le limitazioni alla disponibilità degli alloggi trasferiti. La convenzione predetermina, pertanto, altresì le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare, nonché l’obbligo a praticare prezzi di cessione concordati. Già l’art. 23, comma 2, della legge 17 febbraio 1992, n. 179, abrogò, peraltro, il divieto di alienazione degli alloggi costruiti su area ceduta in proprietà, originariamente previsto dall’art. 35 citato.
Questa Corte ha chiarito, peraltro, che il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della l. n. 865 del 1971, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49 bis, della l. n. 448 del 1998, segue il bene nei passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con efficacia indefinita, attesa la ratio legis di garantire la casa ai meno abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita (Cass. Sez. U, Sentenza n. 18135 del 16/09/2015).
Una volta che si sia verificata l’alienazione in piena proprietà degli alloggi costruiti dall’impresa attuatrice dell’intervento edilizio convenzionato, non vi sono, tuttavia, ostacoli normativi a ritenere pienamente operante la normativa comune sugli edifici in condominio di cui agli artt. 1117 segg. c.c.

quanto alla titolarità del sottotetto viene riaffermata la prevalenza della destinazione e della funzione, in assenza di espressa previsione nel titolo, per determinare la ascrivibilità del sottotetto al novero delle parti comuni: “Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (già così, del resto, indipendentemente dall’integrazione dell’art. 1117 c.c. nel richiamato senso, disposta dalla Riforma del 2012, si erano pronunciate Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6143 del 30/03/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8968 del 20/06/2002; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7764 del 20/07/1999).
Altrimenti, ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c., tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacche lo stesso sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento. La proprietà del sottotetto si determina, dunque, in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto: nel caso in esame, la Corte di appello di Brescia, con apprezzamento di fatto spettante in via esclusiva al giudice del merito, ha accertato che tali locali sottotetto del Condominio […], almeno fino al cambio della serratura, erano stati utilizzati da tutti i condomini e che, pertanto, gli stessi non fossero oggetto di un autonomo godimento, desumendone convincentemente la condominialità dei beni in questione.
Per negare la proprietà condominiale del sottotetto di un edificio che, per ubicazione e struttura, come accertato, sia destinato all’uso comune, occorre allora fare riferimento all’atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti e se, dunque, da esso emerga, o meno, l’inequivocabile volontà delle parti di riservare al costruttore venditore la proprietà di quel bene potenzialmente destinato all’uso comune.”

© massimo ginesi 25 novembre 2016