la cassazione ritorna sull’art. 1134 cod.civ. e le anticipazioni del singolo

Cass.Civ. II sez. 30 ottobre 2014 n. 25729 affronta ancora una volta il tema delle anticipazioni di spesa effettuate da un singolo condomino e il suo diritto ad ottenere rimborso dagli altri, ove l’esborso abbia riguardato interventi su parti comuni.

L’art. 1134 cod.civ. individua il presupposto di tale diritto alla refusione nell’urgenza della spesa e nella sua indifferibilità, che comporterebbe la legittimità dell’intervento del singolo in sostituzione del generale potere gestorio in capo all’amministratore e alla collettività condominiale.

La Corte, con motivazione sinteticissima, cassa una pronuncia del Tribunale di Sassari, resa in appello su pronuncia del giudice di Pace di Alghero, in cui si era ravvisata tale urgenza nella necessità di provvedere alle spese per la difficoltà a raccogliere il consenso  degli altri condomini.

L’urgenza delineata dall’art. 1134 cod.civ. deve essere legata a situazione di indifferibilità  concreta  dell’intervento, che è ancorata ad un dato fattuale significativo ed imprevedibile e non può essere ravvisata nella semplice inerzia degli altri condomini o nella difficoltà a procurarsi il loro consenso o la loro collaborazione.

Una pronuncia che conferma il costante (e condivisibile) orientamento restrittivo della giurisprudenza di legittimità sulla portata dell’art. 1134 cod.civ., che finirebbe altrimenti per diventare un grimaldello per scardinare la gestione collettiva dei beni comuni.

© massimo ginesi 31 ottobre 2017

la notifica del decreto ingiuntivo alla madre non convivente del destinatario è nulla.

Lo ha ribadito la Suprema Corte (Cass.Civ. sez. VI 25 ottobre 2017 n. 25391) ribadendo un orientamento consolidato “Come ha già detto questa Corte in altre occasioni, in tema di notifica effettuata a mani di un familiare del destinatario, la presunzione di convivenza non meramente occasionale non opera nel caso in cui questa sia stata eseguita nella residenza propria del familiare, diversa da quella del destinatario dell’atto, con conseguente nullità della notifica stessa, non sanata dalla conoscenza “aliunde” della notificazione dell’atto di citazione, non accompagnata dalla costituzione del convenuto. (Ordinanza n. 7750 del 05/04/2011).

In termini analoghi Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6817 del 02/07/1999: “In tema di notifica effettuata a mani di un familiare del destinatario, la presunzione di convivenza non meramente occasionale non opera nel caso in cui la notificazione sia stata eseguita nella residenza propria del familiare, diversa da quella del destinatario dell’atto, in tal caso non potendosi ritenere avverato il presupposto della frequentazione quotidiana, sul quale si basa l’ipotesi normativa della presumibile consegna”.

Pertanto, correttamente, la Corte di Appello di Bologna ha rilevato che “(….) il fatto che la raccomandata sia stata ritirata dalla madre dell’appellante non sana il vizio della notifica, né rileva il precedente ritiro da parte della madre dell’appellante di corrispondenza indirizzata sempre a (omissis) trattandosi di una raccomandata specifica il 4 ottobre 1997 prima che l’appellante trasferisse la propria residenza e d’altro lato, nessun valore può rivestire dopo la cancellazione del registro delle imprese avvenuta nel marzo del 1999 (….) La cessazione di ogni collegamento tra l’appellante ed il luogo ove è avvenuta la notifica del decreto ingiuntivo è ulteriormente confermata dall’esito negativo del tentativo di notifica, presso lo stesso indirizzo, del ricorso per dichiarazione di fallimento.”

© massimo ginesi 30 ottobre 2017

l’amministratore non può dar luogo a rimozione coattiva dell’auto dal cortile

Lo afferma, incidentalmente, una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.Civ. VI  26 ottobre 2017 n. 25527 rel. Scarpa), che tuttavia cassa la sentenza di merito per una vizio di motivazione.

 L’assemblea delibera circa l’illegittimità della sosta nelle auto nel cortile condominiale e l’amministratore, con piglio decisamente energico, fa rimuovere l’autovettura di una condomina che viene materialmente spostata e abbandonata sulla via pubblica, ove subisce danni ad opera di ignoti. Per tale ragione la condomina propone azione contro il condominio per vedersi risarcita.

Il tribunale di Latina rigettava la domanda e così  Corte di Appello di Roma che, tuttavia, riteneva che la condotta dell’amministratore fosse comunque illegittima, poiché  il condominio non può agire in tale ipotesi in  via di autotutela spostando l’auto, ma l’attore non aveva dato sufficiente prova del nesso causale fra la condotta dell’amministratore e il danno lamentato.

“la Corte d’Appello di Roma, dopo aver osservato che la delibera del 12 luglio 2005 non era stata impugnata ex art. 1137 c.c. dalla P., affermava che l’amministratore non avrebbe comunque potuto, in via di autotutela, procedere personalmente alla rimozione coattiva dell’autovettura.

Tuttavia, pur dichiarata illegittima la condotta dell’amministratore T., la Corte d’Appello ha sostenuto che non fosse stata data prova del danno patrimoniale subito dalla P., né comunque “descritti danni che possano essere casualmente e direttamente riconducibili alla condotta posta inessere dalla parte appellata”.

 

il Condomino danneggiato ricorre per cassazione, lamentando il difetto di motivazione da parte del giudice di secondo grado.

Viene criticata dalla ricorrente anche la mancata motivazione sull’esistenza del nesso causale tra la condotta illecita dell’amministratore Telese, che aveva rimosso ed abbandonato l’auto sulla strada pubblica, ed il danneggiamento subito dalla stessa ed accertato il giorno successivo, danneggiamento che non si sarebbe verificato se il veicolo fosse rimasto all’interno dell’area privata condominiale”.

Motivo che fa centro: il giudice di legittimità,  sottolineando l’illiceità della condotta dell’amministratore, cassa con rinvio ad altra sezione della stessa Corte  di appello poiché la motivazione deve ritenersi solo apparente ” perché la Corte di merito ha così pretermesso del tutto l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo impossibile ogni controllo in questa sede sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, quanto al diniego della sussistenza di un nesso di causalità, materiale e giuridica, che leghi storicamente l’accertata condotta illecita del T. e i danni che si pretendono conseguenti a questa nella prospettiva dell’azionata obbligazione risarcitoria aquiliana (ferma la valutazione del giudice del merito in ordine all’eventuale eccessività delle spese occorrenti per la riparazione della vettura rispetto ai valori di mercato); dovendosi tuttavia a tal fine indicare le ragioni per cui la serie causale oggetto di lite appaia del tutto inverosimile, alla stregua dell’art. 1223 c.c., richiamato dall’art. 2056 c.c. (cfr. Cass. Sez. 3, 31/05/2005, n. 11609).

© massimo ginesi 27 ottobre 2017 

acqua e riscaldamento sono servizi indispensabili per la salute e non possono essere sospesi.

Il condomino che non versi i contributi per un semestre, ed incorra dunque in una significativa morosità, può vedersi sospesi i servizi condominiali dei quali sia suscettibile un utilizzo separato, ai sensi dell’art. 63 comma III disp.att. cod.civ.

Anche laddove sia dunque possibile interromperei il servizio al solo moroso, senza arrecare disagio agli altri condomini, l’amministratore non potrà procedere in tal senso quando la sospensione finirebbe per incidere negativamente su un bene essenziale, costituzionalmente tutelato, come la salute.

Lo ha stabilito il Tribunale di Bologna 15 settembre 2017 , rigettando un ricorso ex art 700 cod.proc.civ. con cui col condominio chiedeva di essere autorizzato ad interrompere i servizi di riscaldamento e acqua, oltre a quello di antenna centralizzata, nei confronti di una condomina morosa da lunghissimo tempo, contro la quale  era stato ottenuto decreto ingiuntivo e iniziata esecuzione immobiliare, che si profilava comunque infruttuosa per l’intervento di un creditore fondiario che vantava un privilegio per somme decisamente superiori al valore stesso dell’immobile oggetto di espropriazione  forzata.

Il giudice osserva tuttavia che, pendendo già l’espropriazione forzata, il condominio può comunque ottenere tutela chiedendo al giudice dell’esecuzione la sostituzione del condomino moroso nominato custode.

il Tribunal osserva che “Documentalmente pacifica la durata ultrasemestrale della morosità riferibile alla condomina S ed altrettanto incontestabile la possibilità di godimento separato dei servizi comuni di riscaldamento e acqua, sussistono senz’altro astrattamente i presupposti applicativi dell’art. 63, 3° comma, Disp. Att. c.c., in forza del quale, per l’appunto, “in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l’amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato”.

Senonché da tempo dottrina e giurisprudenza – con risultati, peraltro, divergenti – si sono interrogati sulla necessità o meno di distinguere – a fronte dell’interesse meramente economico del Condominio – fra servizi “essenziali” e non essenziali in funzione della preminente tutela del diritto alla salute, costituzionalmente tutelato (art. 32 Cost.).

Proprio con riferimento al servizio di riscaldamento ed acqua si sono così confrontati gli orientamenti negativi alla sospensiva in parola per i diritti primari costituzionalizzati (Trib. Brescia 29.9.2014; Trib. Milano 24.10.2013) e quelli positivi (Trib. Roma 27.6.2014; Trib. Alessandria 17.7.2015; Trib. Brescia 17.2.2014 e 21.5.2014), tutti valorizzanti l’aspetto assimilativo della fattispecie al rapporto diretto fra ente erogatore ed utente.

Questo Giudice ritiene di aderire al primo orientamento, non senza sottolineare che dei servizi “essenziali” ha tenuto conto anche la legislazione statale, che, per quanto riguarda il servizio acqua, con il D.P.C.M. 29.8.2016 (Disposizioni in materia di contenimento della morosità nel servizio idrico integrato) ha comunque stabilito che ai soggetti indigenti, seppur morosi, va comunque garantita una fornitura di 50 litri al giorno pro capite.

Ovviamente non è servizio essenziale l’utilizzo dell’antenna televisiva centralizzata, salvo ad osservare che parte ricorrente non ha allegato alcuno specifico costo ordinario in ordine alla stessa.

Quanto in premessa è senz’altro dirimente, apparendo comunque opportuno considerare, sotto altro profilo, che – quanto meno per i servizi comuni principali sopra indicati – l’istituto qui in discussione va in ogni caso riguardato come extrema ratio e che tale situazione non sembra ravvisabile allorché – come nella specie – il Condominio abbia attivato, con il pignoramento, una procedura esecutiva immobiliare nei confronti del condomino moroso, con due conseguenti effetti: a) la possibilità di chiedere al G.E. la sostituzione immediata del custode del bene pignorato in vece del debitore esecutato, con conseguente acquisizione dei frutti derivanti dalla locazione dello stesso oltre che il pagamento delle spese condominiali relative; b) l’attivazione del nuovo custode in ordine alla liberazione dell’immobile, fra l’altro, in caso di inadempienza ai predetti obblighi.”

 © massimo ginesi 25 ottobre 2017

diligenza dell’amministratore: una sentenza anacronistica…

Accade con frequenza che, dati i tempi della giustizia italiana, alcune pronunce di legittimità che affermano principi peculiari riguardino situazioni che, sotto il profilo normativo, non sono più attuali.

E’ ovviamente compito dell’interprete qualificare correttamente la fattispecie e rendersi conto della effettiva portata e residua attualità della sentenza, in forza del principio tempus  regit actum, di tal chè ciò che i giudici di legittimità hanno affermato  per una causa sorta quindici anni fa potrebbe essere principio di diritto non più attuale.

In materia condominiale tale fenomeno è reso ancor più evidente dall’entrata in vigore della L. 220/2012, che radicalmente mutato la disciplina di alcuni istituti, primo fra tutti la figura dell’amministratore di condominio.

Appare allora singolare leggere – nel web e su diverse  pubblicazioni – autori che, a fronte di Cass.Civ.  sez. VI Civile 20 ottobre, n. 24920, affermano che l’amministratore è tenuto ad osservare la diligenza del buon padre di famiglia e non ha l’obbligo ma solo la facoltà di richiedere decreto ingiuntivo.

La sentenza afferma effettivamente tali principi:”l’amministratore ha, nei riguardi dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall’art. 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale (Cass. 9 aprile 2014, n. 8339; Cass. 4 luglio 2011, n. 14589). Nell’esercizio delle funzioni assume le veste del mandatario e pertanto è gravato dall’obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell’art. 1710 c.c.. 

Nel caso di specie la Corte d’appello ha accertato, con apprezzamento in fatto, che l’amministratore nel periodo 2005/2006 aveva più volte sollecitato, anche per iscritto, i condomini morosi al versamento delle quote condominiali, avendo egli la facoltà e non l’obbligo di ricorrere all’emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condomini morosi.
La deduzione appare corretta perché l’art. 63 disp. att. cc. non prevede un obbligo, ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi (“può ottenere decreto di ingiunzione…”) e pertanto non merita censura la decisione impugnata laddove ha escluso la violazione dell’obbligo di diligenza da parte dell’A. per essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (e l’indagine circa l’osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare ex articoli 1708 e 1710 c.c. – anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all’esecuzione del mandato – è affidata al giudice del merito, con riferimento al caso concreto ed alla stregua degli elementi forniti dalle parti, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità: v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 13513 del 16/09/2002 in motivazione).”

Si tratta tuttavia di pronuncia che giudica l’operato di un amministratore che aveva avuto la prima sentenza di merito  nel 2009 e che, quindi, chiaramente agiva sotto la vigenza di norme affatto diverse.

Oggi gli arti. 1129 e 1130 cod.civ. prevedono obblighi ben precisi in ordine alle modalità obbligatorie di attivazione per la richiesta di decreto ingiuntivo (sulla cui richiesta solo l’assemblea può decidere proroghe ex art 11291 comma IX cod.civ. ) e l’art. 71 bis disp.att. cod.civ., (unitamente al dm 140/2014) prevede una figura di amministratore ancorata a parametri di professionalità, dati che difficilmente consentono – dal 18 giugno 2013 – di ritenere l’amministratore un mero mandatario e non un professionista tenuto a rispondere secondo le regole dell’arte, così come commentare  oggi che la richiesta di decreto ingiuntivo costituisca una facoltà e non un obbligo rappresenta mera disinformazione.

© massimo ginesi 24 ottobre 2017 

registrazione contratto di locazione, nullità e sanatoria: le Sezioni Unite si pronunciano.

Le Sezioni unite civile della Cassazione, con sentenza 9 ottobre 2017 n. 23601 affrontano il complesso e tormentato tema della mancata registrazione del contratto di locazione quale causa di nullità.

A breve una disamina completa della pronuncia.

23601SSUUlocazione

© massimo ginesi 23 ottobre 2017 

il rendiconto condominiale deve ispirarsi al criterio di cassa

Lo afferma, con una articolata motivazione, il tribunale capitolino  (Trib. Roma sez. V, 2 ottobre 2017) che, in un giudizio relativo all’impugnativa della delibera che ha approvato il consuntivo, è chiamato a giudicare sulla correttezza dell’operato dell’amministratore nel redigere uno degli atti cardine della sua gestione, ovvero il rendiconto.

Il condomino che agisce lamenta che la  delibera di approvazione deve ritenersi  illegittima in quanto viola i principi in tema di rendiconto dettati dall’art. 1130-bis c.c., in particolare perchè nello stato patrimoniale non era stato riportato il saldo del conto corrente alla data del 31-12-2014.

Il giudice richiama principi giurisprudenziali risalenti in tema di rendiconto condominiale e li armonizza con quanto oggi prevede l’art. 1130 bis cod.civ., tracciando un binario molto stretto sul quale l’amministratore è chiamato ad operare.

il rendiconto, predisposto dall’amministratore, risponde all’esigenza di porre i condòmini in grado di sapere come effettivamente sono stati spesi i soldi versati.

Non si ritiene che il bilancio debba essere redatto in forma rigorosa posto che non trovano diretta applicazione, nella materia condominiale, le norme prescritte per i bilanci delle società.

Pur tuttavia, per essere valido, il rendiconto deve essere privo di vizi intrinseci e deve essere accompagnato dalla documentazione che giustifichi le spese sostenute.

Inoltre deve essere intellegibile onde consentire ai condomini (i quali generalmente non hanno conoscenze approfondite sul come un bilancio debba essere formato e ‘letto’) di poter controllare le voci di entrata e di spesa anche con riferimento alla specificità delle partite atteso che tale ultimo requisito, come si desume dagli artt 263 e 264 c.p.c. che prevedono disposizioni applicabili anche al rendiconto sostanziale, costituisce il presupposto fondamentale perchè possano essere contestate, appunto, le singole partite.

Invero il rendiconto che viene portato all’approvazione dell’assemblea non è un mero documento contabile contenente una serie di addendi ma un atto con il quale l’obbligato giustifica le spese addebitate ai suoi mandanti si che vi sono delle regole minime che debbono essere rispettate.

Ed il bilancio, o meglio, il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa; l’inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell’effettivo pagamento, così come l’inserimento dell’entrata va annotato in base alla data dell’effettiva corresponsione.

La mancata applicazione del criterio di cassa (Cass. 10153/11), contrariamente a quanto affermato dal convenuto, è idonea ad inficiare sotto il profilo della chiarezza, dalla quale non si può prescindere, il bilancio.

In particolare, non rendendo intelligibili e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino, non si evidenzia la reale situazione contabile.

Pertanto laddove l’assemblea abbia approvato un consuntivo (che deve essere, come detto, un bilancio di ‘cassa’) che non sia improntato a tali criteri e violi, quindi, i diritti dei condòmini lo stesso ben potrà essere dichiarato illegittimo (Cass. 10153/11).

Il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettive per il periodo di competenza, consente infatti di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune.

Laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa e che di competenza (cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro) i condomini possono facilmente essere tratti in inganno se non sono chiaramente e separatamente indicate le poste o non trovino riscontro documentale.

Inoltre, con il bilancio, devono sempre essere indicati (con possibilità di facile riscontro documentale) la situazione patrimoniale del condominio e gli eventuali residui attivi e passivi, l’esistenza e l’ammontare di fondi di riserva obbligatori (ad esempio l’accantonamento per il trattamento di fine rapporto del portiere) o deliberati dall’assemblea per particolari motivi (ad esempio fondo di cassa straordinario).

Ovviamente la situazione patrimoniale deve rispettare il prospetto approvato nella gestione precedente onde verificare la possibilità di un’eventuale ‘scomparsa’ di somme di danaro. Il criterio di cassa consente altresì di fare un raffronto tra le spese sostenute ed i movimenti del conto corrente bancario intestato al Condominio; a ciascuna voce di spesa deve corrispondere un prelievo diretto a mezzo assegno o bonifico sul/dal conto corrente condominiale.

Inoltre, per consentire ai condomini di apprezzare e valutare il bilancio, l’amministratore dovrà indicare ed inviare ad ogni condomino un elenco delle spese sostenute (con data e causale dell’importo) già diviso per categorie secondo il criterio di ripartizione (come spese generali, acqua riscaldamento, ecc), l’indicazione delle quote incassate dai condomini e quelle ancora da incassare, l’indicazione delle spese ancora da sostenere, le eventuali rimanenze attive (fondi, combustibile ed altro) ed il piano di riparto che indichi per ogni condomino e per ogni categoria di spesa il criterio di riparto e la quota a suo carico.

Modalità di predisporre il bilancio previste anche dal legislatore con il novellato art. 1130-bis c.c.. Onde la mancanza di tali indicazioni, che conferiscono certezza e chiarezza al bilancio, ovvero la presenza di elementi che ne inficino la veridicità quali l’omissione o l’alterazione dei dati (ad esempio sugli interessi dei depositi) determina l’illegittimità del bilancio stesso che si estende alla delibera che l’approvi e che sia oggetto di contestazione.

Ebbene, nel caso in esame, a tali regole l’amministratore non si è attenuto in particolare non avendo riportato, neanche nella situazione patrimoniale, il saldo ed i movimenti del conto corrente, dati essenziali per la verifica della corretta ricostruzione contabile posto che l’esame della movimentazione del conto (che proviene da un terzo, la banca) rappresenta il riscontro di tutte le entrate e le spese in danaro (che l’amministratore ha l’obbligo di rendere tracciabili). Irrilevante che sul conto confluiscano anche le spese per il riscaldamento, circostanza che avrebbe dovuto, anzi, essere più chiaramente portata a conoscenza dei partecipanti.

Ed inoltre, nel caso in esame, la mancata indicazione del dato richiesto appariva collegata con anticipazioni dell’amministratore che sono rimaste sconosciute ai condomini. Emergenza che rende evidente il mancato rispetto dei necessari richiesti criteri contabili suesposti. “

© massimo ginesi 23 ottobre 2017 

processo telematico e deposito tardivo: non sempre compete la rimessione in termini.

L’introduzione del processo telematico e dell’obbligo di deposito solo in via informatica degli atti endoprocessuali ha posto nuovi problemi relativi al rispetto dei termini di decadenza.

Il Tribunale di Massa, in una recente sentenza (Trib. Massa 13 ottobre 2017)  affronta il problema dei malfunzionamenti del sistema informatico ministeriale e della condotta dell’avvocato che non riesca a depositare la memoria istruttoria ex art 183 VI comma c.p.c.

Qualora il deposito sia pacificamente effettuato fuori dai termini concessi dal Giudice, per essere rimessi in termini non è sufficiente addurre il generico malfunzionamento del sistema, ma è necessario dimostrare di aver compiuto tutte le attività di parte necessarie  e di essere esenti da colpevolezza, tenuto conto che rimane onere della parte dimostrare di essere incorsa senza sua colpa nella decadenza e che l’ordinamento prevede ipotesi specifiche in cui il giudice – ove sia provato il malfunzionamento – può comunque autorizzare il deposito cartaceo.

Non valea sanare la tardività, in ogni caso, l’invio dell’atto via pec ai colleghi avversari, atteso che il deposito in cancelleria è atto ontologicamente diverso dalla scambio.

Stupisce che parte attrice, ancora nelle difese finali, affermi che “La seconda memoria scadeva il 21.01.2017 (non il 23.01.2017 come detto dal Giudice)”: il 21 gennaio 2017 cadeva di sabato e, in forza di quanto disposto dall’art. 155 V comma c.p.c. (introdotto dalla L. 263/2005), la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno non festivo, ovvero lunedì 23 febbraio 2017.
La circostanza non è affatto secondaria per valutare la sussistenza o meno della non colpevolezza di colui che è incorso in decadenza, alla luce di quanto in appresso si dirà.

Va innanzitutto osservato che il provvedimento che informava della sospensione dei servizi informatici, prodotto dallo stesso attore, prevedeva l’inizio della interruzione alle 17 del 20 gennaio 2017 con riavvio del sistema dalle 24 del 21 gennaio 2017 e sino, al massimo, alle ore 8 del 23 gennaio 2017.

Lo stesso provvedimento preannunciava la continuità dei servizi di posta elettronica certificata con possibilità dunque di deposito telematico, salva la possibilità che non si ottenesse l’esito dell’invio e segnatamente la PEC sui controlli automatici di sistema.

Il documento dunque attesta la sussistenza di un disservizio che non appare affatto impedire il deposito, così come lamentato dall’attore; ben può essere che in realtà l’interruzione dei servizi informatici abbia avuto anche tali conseguenze, ma il relativo onere della prova incombeva su chi intendeva far valere la circostanza ai fini della rimessione in termini.

A tal fine va rilevato che la difesa di parte attrice, per assolvere a tale onere, ha prodotto un semplice file PDF che rappresenterebbe (senza peraltro neanche una attestazione circa la corrispondenza) la schermata del proprio terminale con cui tentava di provvedere all’invio telematico, elemento che già sotto il profilo formale appare inidoneo a provare alcunchè in astratto, atteso che con riguardo al processo telematico deve essere depositato – ove possibile – documento informatico; in tema di notifiche via PEC e dunque in disciplina che, mutatis mutandis, nei principi ispiratori ben può applicarsi anche al caso di specie, l’art. 9 comma 1 bis e comma 1 ter della L. n. 53/94 prevedono il prioritario obbligo del deposito di documento informatico, solo ove per l’avvocato non sia possibile fornire la prova dell’avvenuta notifica con modalità telematiche, il difensore potrà procedere mediante deposito cartaceo ai sensi dell’art. 9 comma 1-bis della L. n. 53/94, quindi estraendo copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e attestarne la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Anche a voler accedere ad una interpretazione di favore e a voler considerare il file pdf prodotto dall’attore come effettivamente corrispondente alla schermata del computer del difensore all’atto del tentativo di deposito della memoria istruttoria, giova osservare che la schermata riprodotta non denota affatto un avvenuto deposito, ma semplicemente attesta che – con riguardo alla attività “tribunale di massa deposito memoria n. 2 183 cpc rg 373/16” – risulta “in attesa di essere inviato”, dunque non una attività in itinere e pervenuta a destinazione in ritardo ma, almeno per quel che risulterebbe da tale messaggio, una attività non compiuta.


Va ancora rilevato che, a mente dell’art. 51 Decreto Legislativo 24 giugno 2014, n. 90 coordinato con le modifiche della Legge 11 agosto 2014, n. 114, il procedimento di deposito telematico degli atti consta di quattro diversi passaggi – corrispondenti in realtà a quattro messaggi pec, il primo inviato da colui che deposita e gli altri tre inviati dal sistema di cancelleria telematica, e si intende perfezionato con la ricevuta di avvenuta consegna della pec, di talché almeno il messaggio di invio dipende dal soggetto che si accinge alla notifica, essendo poi rimesso al sistema ministeriale l’avviso di consegna, l’avviso dell’esito dei controlli automatici e l’avviso di accettazione.

Dunque almeno l’invio della prima PEC dovrebbe sussistere nel sistema informatico dell’attore, pur potendosi in ipotesi attribuire a disguido la mancata ricezione delle altre tre pec: di tale elemento tuttavia non è stata fornita alcuna indicazione, né risulta comunque desumibile dalla schermata prodotta, dove il messaggio risulta ancora in attesa di essere inviato e dunque, a tutto voler concedere, attesta semmai un malfunzionamento del sistema del depositante.


Giova infine osservare che – dal documento allegato dall’attore alla propria istanza di rimessione e che rappresenterebbe la sequenza dei tentati invii – risulta che il primo deposito viene tentato venerdì 20 gennaio nel pomeriggio, riscontrando problemi, nulla viene tentato sabato 21, vengono effettuati due tentativi di invio domenica 22 e altri tre lunedì mattina 23 gennaio, giorno di scadenza del termine.
Il messaggio che compare è identico in tutte le occasioni e nulla attesta circa il malfunzionamento del sistema pubblico, rimettendo il mancato invio del messaggio ad un problema non determinato ma ascrivibile alle modalità di invio del depositante: sostanzialmente colui che deposita deve veder partire la propria pec, se il sistema funziona, indirizzata alla cancelleria del Tribunale di destinazione, ove poi non riceva conferma della consegna (ovvero del momento perfezionativo del deposito) e ciò sia imputabile a disservizio del sistema pubblico, potrà eventualmente essere rimesso in termini.

Nel caso di specie già dalla schermata prodotta risulta che il messaggio fosse in attesa di invio, circostanza che fa propendere per un problema ascrivibile all’utente, circostanza che non giova ai fini della rimessione in termini, essendo onere del difensore compiere correttamente le attività a lui demandate e mantenere in efficienza e sotto controllo il proprio apparato telematico ( argom. Da Trib. Milano 8.10.2015, Cass. 14827/2016, Trib. Milano 20 aprile 2016)

Va ancora osservato che il difensore che ha incontrato tali problemi, ben poteva il giorno 23 gennaio 2017 recarsi in cancelleria e farsi rilasciare attestazione circa l’effettiva sussistenza del malfunzionamento e l’impossibilità a depositare atti in via telematica e, al contempo, chiedere di essere autorizzato al deposito in forma cartacea, secondo quanto disposto dall’art. 16 bis, 4° comma, del D.L. 179/2012 convertito nella Legge n. 221/2012 laddove chiarisce che il Presidente del Tribunale può autorizzare il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza (Tribunale, Milano, sez. IX civile, ordinanza 12/01/2015).

Ove invece avesse appurato che il problema era ascrivibile al proprio sistema ben avrebbe potuto risolverlo e provvedere nei termini Nulla di tutto ciò, che avrebbe consentito un deposito tempestivo o comunque l’attestazione di un impedimento incolpevole che avrebbe potuto legittimare la rimessione in termini, è stato posto in essere dalla difesa di parte attrice, che ha preferito inoltrare istanza sulla scorta della semplice istantanea di una schermata, che nulla prova e che deve pertanto essere ritenuta inidonea a giustificare la richiesta di rimessione.

Nessun rilievo, sotto tale profilo, possono avere le comunicazioni via pec inviate ai difensori del convenuto e del terzo chiamato (peraltro anch’esse inviate oltre il termine, in data 24 gennaio 2017), atteso che il deposito della memoria deve avvenire in cancelleria, adempimento che non può ritenersi surrogato da una mera comunicazione inter partes, atteso che la funzione del deposito ricevuto dal cancelliere è quello di inserire ufficialmente l’atto nel fascicolo (cartaceo o telematico che sia) a disposizione di tutti le figure del processo.

Parimenti ininfluente appare il provvedimento 6.2.2017, che si limita a non provvedere sull’istanza di rimessione in termini, salva la verifica della effettiva ricezione dell’atto.
Non avendo dunque l’attore dedotto tempestivamente prove sull’an, la sua domanda risulta non provata e deve essere respinta.”

© massimo Ginesi 20 ottobre 2017 

mansarde e vincolo pertinenziale

Il regime delle pertinenze è affrontato dalla corte di legittimità ( Cass.civ. sez. VI-2 ord. 17 ottobre 2017 n. 24432 rel. Scarpa)  in una vicenda assai singolare: un soggetto acquista all’asta giudiziale un appartamento e agisce poi contro i proprietari della sovrastante mansarda per accertare che tale bene deve ritenersi pertinenziale all’unità immobiliare di cui è divenuto proprietario.

G S ha domandato che venisse dichiarato inefficace il contratto di compravendita del 9 febbraio 2009 intercorso tra i compratori TT e M C ed il venditore G C, in quanto avente ad oggetto una mansarda sovrastante l’appartamento acquistato dall’attore in una procedura di vendita giudiziaria, deducendo il legame di pertinenzialità tra i due beni agli effetti degli artt. 817-818 c.c.”

Il giudice di primo grado respinge la domanda, mentre l’appello viene dichiarato inammissibile in quanto prima facie infondato (art. 348bis c.p.c.): “Il Tribunale negava quindi che emergesse dagli atti di proprietà la destinazione della mansarda a servizio dell’appartamento poi acquistato in sede giudiziale da GS, così come escludeva il rilievo del fatto che sussistessero una scala interna di collegamento tra i due immobili, nonché condutture comuni, dati fattuali che potevano incidere sul possesso ai fini di un non dedotto acquisto per usucapione. Ancora, la sentenza del Tribunale di Sassari escludeva la valenza decisiva del regolamento condominiale, ed evidenziava come il pignoramento della procedura esecutiva immobiliare avesse riguardato il solo appartamento aggiudicato a G S.”

Nonostante la debacle nei due giudizi di merito, l’attore non si da per vinto r ricorre in cassazione; la Corte di legittimità tuttavia respinge il ricorso osservando che “Il ricorso è infondato perché parte dall’errato presupposto che possa ravvisarsi il vincolo di subordinazione tra l’accessorium (nella specie, la mansarda) e il principale (nella specie, l’appartamento), richiesto dall’art. 817 c.c., e perciò affermata la natura pertinenziale del primo bene, in base alla sola relazione materiale esistente tra le due cose (nella specie, il nesso strutturale fra la mansarda e l’appartamento ad esso collegato da una scala e da un impianto idrico comune).

E’ invece consolidata l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui per la costituzione del vincolo pertinenziale è necessario non soltanto l’elemento oggettivo, consistente nella materiale destinazione del bene accessorio ad una relazione di complementarietà con quello principale, ma anche l’elemento soggettivo, consistente nella effettiva volontà del titolare del diritto di proprietà, o di altro diritto reale di godimento, sui beni collegati, giacchè soltanto chi abbia la piena disponibilità giuridica di entrambi i beni può utilmente attuare la destinazione della “res” al servizio o all’ornamento del bene principale, occorrendo altrimenti un rapporto obbligatorio costituito tra i rispettivi proprietari (Cass. Sez. 2, 20/01/2015, n. 869; Cass. Sez. 2, 10/06/2011, n. 12855; Cass. Sez. 2, 28/04/2006, n. 9911; Cass. Sez. 2, 02/03/2006, n. 459 Cass. Sez. 2, 29/04/2003, n. 6656; Cass. Sez. 2, 30/07/1990, n. 7655).

Grava sul compratore del bene principale, che rivendichi la proprietà del bene secondario, l’onere di provare la sussistenza di un rapporto pertinenziale (Cass. Sez. 3, 27/01/1997, n. 808), e quindi anche la destinazione a pertinenza attuata dall’unico proprietario del bene principale e di quello accessorio (sicchè, solo una volta che si abbia per accertato anche l’elemento soggettivo correlato alla volontà destinatoria del comune proprietario dei beni collegati, sarebbe irrilevante, agli effetti dell’art. 2912 c.c., l’omessa menzione della pertinenza, ad esempio, nel decreto di trasferimento emesso a seguito procedimento espropriativo: Cass. Sez. 2, 20/01/2015, n. 869).

L’accertamento in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi che caratterizzano il rapporto pertinenziale fra due immobili, come anche della cessazione del vincolo pertinenziale ai sensi dell’art. 818 c.c., comportano, in ogni modo, un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se espresso con motivazione adeguata ed immune da vizi logici (Cass. Sez. 2, 02/03/2006, n. 4599; Cass. Sez. 2, 10/05/2000, n. 6009).

Il Tribunale di Sassari ha accertato che l’unico comune proprietario originario dell’appartamento e della mansarda (la I CA s.r.I.) avesse separatamente venduto quest’ultima con atto pubblico del 22 novembre 1995 a M F, il quale poi ne aveva disposto per testamento in favore di G C, dante causa di T T e M C. Per effetto di tale atto volontario di disposizione separato della mansarda, anteriore alla vendita della cosa principale, era quindi in ogni caso venuto meno ogni vincolo pertinenziale tra la mansarda stessa e l’appartamento acquistato dal S, atteso che, agli effetti dell’art. 818 c.c., pur ove si sia costituito un rapporto pertinenziale tra beni a seguito della destinazione operata dal proprietario della cosa principale che ha la piena disponibilità anche della cosa accessoria, il compimento di un atto di disposizione avente ad oggetto la sola pertinenza determina comunque la cessazione della destinazione dapprima impressa (Cass. Sez. 2, 26/05/2004, n. 10147).”

© massimo ginesi 19 ottobre 2017